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Il processo per la gestione dei fondi della Santa Sede Il processo per la gestione dei fondi della Santa Sede

Processo vaticano, Segreteria di Stato: 177 milioni di risarcimento per danni morali e reputazionali

La legale di parte civile Paola Severino ha quantificato la grave “lesione” provocata dalla vicenda della compravendita del palazzo di Londra, al centro di una campagna mediatica in 130 Paesi: “Fortemente danneggiati” da “mercanti nel tempio” a cui rappresentanti dell’istituzione hanno aperto le porte. Richiesta provvisionale di 98 milioni. Lo Ior chiede la restituzione di 206 milioni di fondi. Domani terza udienza dedicata alle parti civili con gli avvocati di Apsa e Asif

Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

“Sperpero”, “saccheggio”, “operazioni spregiudicate”, “scempio economico”, “speculazione”. In “50 mila articoli tra stampa e web” e in “migliaia di interazioni” si è parlato in questi termini della vicenda Sloane Avenue, la compravendita del palazzo di Londra al centro del processo in corso da oltre due anni per la gestione dei fondi della Santa Sede. Giudizi e commenti che “hanno provocato un grave pregiudizio” della immagine della Segreteria di Stato che ora chiede 177 milioni di risarcimento per danni morali e reputazionali ai dieci imputati, tra cui il cardinale Giovanni Angelo Becciu.

Abusi e raggiri dei mercanti del tempio

È stata l’avvocato di parte civile, Paola Severino, stamane nella sessantanovesima udienza nell’Aula dei Musei vaticani, a quantificare il danno causato dallo scandalo che ha investito “una delle primarie istituzioni della Santa Sede”, vittima di “abusi e raggiri” da parte di “mercanti del Tempio” a cui hanno aperto le porte rappresentanti stessi della Segreteria di Stato, costretta ora a sostenere una “campagna reputazionale mirata a riabilitare l’onore intaccato dai reati commessi”. “Si è scritto che la Prima Sezione si è trasformata in centrale investimenti… Si è affermato che questo caso è assimilabile al peggior scandalo di corruzione che portò al suicidio di Roberto Calvi”, ha detto l’ex ministro della Giustizia italiano. “Lo dico non perché i giornalisti sostituiscono i giudici ma perché danno idea dell’ampiezza della lesione subita”.

Valutazione dei danni

Per “valutare lo sforzo per i danni provocati dagli imputati”, la Segreteria di Stato si è affidata ad una “società esperta”, la Volocom srl, che ha calcolato un valore oscillante tra 98 e 177 milioni (138 milioni, la giusta mediazione). “Uno degli importi più alti mai calcolati a titolo di danno d’immagine”, ha sottolineato Severino alla fine di un lungo intervento in aula partito dalla efficace e puntuta ricostruzione - “tutta basata sugli atti” - delle “gravi condotte” e architetture finanziarie poste in essere prima dell’affaire Londra. A partire, quindi, dalla proposta di investimento su pozzi di petrolio in Angola, avanzata nel 2014 da Becciu su spinta dell’imprenditore Antonio Mosquito, sua vecchia conoscenza. Investimento mai realizzato ma che ha rappresentato un cambio di rotta rispetto alle operazioni finanziarie passate della Segreteria di Stato, più prudenti, conservative e caratterizzate da basso profilo di rischio. Soprattutto l'operazione cristallizza “il momento dell’ingresso dei mercanti del tempio, ampiamente accompagnato e acconsentito da Sua Eminenza Becciu”, ha affermato Severino.

Ricostruire i fatti

“Il passato è il prologo”, per dirla alla Shakespeare, quindi ripartire dalla ricostruzione della storia aiuta a dimostrare, secondo la legale, come le operazioni seguite alla proposta dell’Angola siano state “il cavallo di Troia che ha consentito a Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi (i due manager imputati, ndr) a ottenere per lungo tempo l’incondizionato e incontrastato controllo del patrimonio della Segreteria di Stato”. Il tutto con il “fattivo contributo” di altri rappresentanti della istituzione che avrebbero dovuto invece tutelarne gli interessi: Fabrizio Tirabassi, funzionario dell’Ufficio amministrativo, ed Enrico Crasso, dagli anni ’90 consulente finanziario che nell’affare londinese aveva visto forse “l’occasione per assumere un ruolo di primo piano”.

La sessantanovesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede
La sessantanovesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede

Accertamento della verità, lo scopo del processo

“Questa parte civile si reputa fortemente danneggiata”, ha ribadito Severino: “L’accertamento della verità è lo scopo del processo, non la vendetta, non il regolamento dei conti, non gli interessi di carattere personale. Questo riafferma la forza della Chiesa di fronte alla fallacia degli uomini. Aver voluto questo processo è un fatto simbolico”.

Dalla proposta dell'affare in Angola in poi

Dopo numerose udienze (domani, 29 settembre, la settantesima con gli avvocati di Apsa e Asif) i fatti sono ormai noti. Severino li ha elencati cronologicamente: la proposta dell’affare Falcon Oil in Angola, la due diligence affidata a Mincione con parere negativo (“Prima si raccoglie tutto, si crea il mezzo con cui gestire, poi si dice dopo più di un anno ‘no, l’investimento è troppo rischioso’”), la proposta di acquisto di un immobile in una via prestigiosa della capitale britannica dal prezzo “sovrastimato” tra i 101 e i 56 milioni di sterline, con danni per l'istituzione che aveva il 45%. Ancora, l’investimento nella “peculiare e onerosa forma” del Credit Lombard, l'acquisto di una quota del palazzo tramite l'Athena Capital Fund facente capo allo stesso Mincione, altri “investimenti finalizzati a soddisfare gli interessi dei gestori piuttosto che del sottoscrittore, gravati da consistenti perdite” e via dicendo.

L'avvocato Severino in aula
L'avvocato Severino in aula

Operazioni "fallimentari"

Operazioni che hanno dato vita a un clima di sospetto in Vaticano, con Segreteria per l’Economia e Ufficio del Revisore che pressavano per avere chiarimenti sulle operazioni “fallimentari” di Mincione, attuate peraltro “in una situazione di costante conflitto d’interessi”. Il broker ha proseguito tuttavia “a operare in assoluta autonomia”, finché “dopo l’estate del 2018 diventa chiaro che occorre cambiare strategia perché – per usare parole dello stesso Mincione – i giochi sono finiti”.

"Si è giocato con i soldi della Segreteria di Stato"

Sì, perché di “giochi” si parla o, almeno, così li hanno definiti Severino e le due collaboratrici di studio, gli avvocati Daniela Sticchi ed Elisa Scaroina, intervenute nel pomeriggio. “Si è giocato tante volte con i soldi della Segreteria di Stato: nel 2013, nel 2014, si è rigiocato nel 2018…”. È questo l’anno in cui inizia la “seconda fase” della storia: il passaggio dal fondo Gof di Mincione al Gutt di Torzi. Nel novembre 2018, infatti, si svolge la nota riunione a Londra in cui viene firmato il Framework agreement con cui Torzi si impegna ad acquistare per conto della Segreteria di Stato le azioni di Mincione, “previo conguaglio” di 40 milioni di sterline. E si firma pure lo Share Purchase Agreement, con cui la Segreteria di Stato acquista da Torzi 30 mila azioni senza diritto di voto al prezzo simbolico di 1 euro, “laddove Torzi resta proprietario delle sole mille azioni aventi diritto di voto”. Quelle che gli danno diritto di vendere o decidere una qualsiasi destinazione.

Gli accordi firmati a Londra

A Londra sono presenti Tirabassi e Crasso. La riunione per Severino è stata una “trappola”, perché i due sono “convinti di partecipare a un incontro per individuare una exit strategy rispetto a una gestione finanziaria non gradita”. Invece si trovano un piatto pronto per formalizzare “illeciti accordi”. La Segreteria di Stato passa dalle mani di Mincione a quelle “altrettanto abili e interessate” di Torzi che, come primo gesto, manda via Tirabassi dal board.

Un momento dell'udienza
Un momento dell'udienza

L'intervento di Peña Parra

“Chi trova un amico trova un tesoro, in questo caso il tesoro della Segreteria di Stato”, ha ironizzato Scaroina. “Torzi e Mincione realizzano i loro in parte comuni obiettivi”, ha fatto eco Severino. “In questo meccanismo ben oliato” arriva un “sassolino” che ne inceppa l’ingranaggio: l’avvento del nuovo Sostituto, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, subito messo in allarme sul fatto che con la firma dei contratti a Londra la Segreteria di Stato “aveva di fatto acquisito una scatola vuota”. Peña Parra, ha ricordato Severino, comprende che “occorre trovare una via di uscita dalla situazione, preservando per quanto possibile l’investimento”. Si rivolte a Ior e Asif e tenta di "recuperare il recuperabile". Inizia quella che lo stesso sostituto ha definito più volte “una vera e propria Via Crucis”. Con l’oneroso mutuo di Chayne Capital, tra affitti non pagati o di favore, la Santa Sede perde somme sempre più ingenti: “Il sostituto non ci dormiva la notte”, ha evidenziato Scaroina.

Estorsione

L’ultima stazione della Via Crucis, al termine di una tortuosa trattativa, è il pagamento - dopo anche il parere dell’autorevole studio legale Mishcon De Reya - di 15 milioni di euro a Torzi che "aveva il coltello dalla parte del manico" per ottenere il pieno controllo del palazzo: 10 milioni per cedere le mille azioni e 5 milioni come compenso per i sei mesi di gestione. Torzi cede l’immobile il cui valore nel frattempo è aumentato da 230 milioni di sterline a 275 milioni in modo "del tutto ingiustificato". Ma il broker trasmette “causali del tutto diverse”: è il “colpo di coda” di quella che l’accusa configura come estorsione. “L’intera trattativa è stata una dimostrazione del potere e della forza di cui erano dotati mentre la Segreteria di Stato era impotente”, ha detto Severino.  

Le richieste della parte civile

La professoressa ha parlato poi di “varie corruzioni”, “castelli di frodi”, distrazioni di risorse e altri “gravi illeciti”, ma la vicenda di Londra è quella ad aver “avuto maggiore eco mediatica” in 130 Paesi del mondo. Quindi quella che ha provocato profonde “lesioni” alla Segreteria di Stato. Da qui la richiesta di risarcimento per danni reputazionali pari a 177,818 milioni di euro necessari per una “campagna di ristoro”, poi la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale da pagare all’atto di eventuale condanna di primo grado pari a 98 milioni 473 mila euro (la cifra più bassa della forbice stabilita dalla perizia).

La richiesta di risarcimento dello Ior

A queste richieste si aggiunge quella presentata oggi dall'avvocato di parte civile dello Ior, Roberto Lipari, di risarcimento dei fondi che sarebbero stati sottratti dagli imputati nella vicenda oggetto del processo e che avrebbero intaccati i 700 milioni di euro conferiti in sedici anni dall'Istituto alle necessità della Santa Sede e accantonati dalla Segreteria di Stato. La richiesta di restituzione viene stabilita in 206 milioni 493 mila 665 euro, che si aggiungono ai danni morali, di cui Lipari ha chiesto al Tribunale una "liquidazione equitativa", e a quelli reputazionali, stabiliti da una perizia in 987 mila 494 euro.

Domani l'avvocato di parte civile dell'Apsa, Giovanni Maria Flick, presenterà la sua richiesta di risarcimento per danni patrimoniali all'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, da dicembre 2020 proprietaria di fondi e immobili della Santa Sede per volontà del Papa. 

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28 settembre 2023, 18:30