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Un'udienza del processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede. (Foto d'archivio) Un'udienza del processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede. (Foto d'archivio) 

Processo vaticano, il legale dello Ior: "Visto dagli imputati come un bancomat”

La prima udienza, dopo l’estate, del procedimento penale sulla gestione dei fondi della Santa Sede è stata dedicata alle richieste dell’avvocato dell’Istituto per le Opere di Religione, che si è costituito parte civile. “Gli imputati restituiscano i soldi sottratti, il primo offeso è il Papa”. Domani è previsto l’intervento della legale della Segreteria di Stato e venerdì di quello dell’Apsa. Le repliche delle difese dei dieci imputati dal 5 ottobre al 6 dicembre

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Il processo aperto nel luglio di due anni fa sulla gestione dei fondi della Santa Sede, ripreso dopo la pausa estiva e le richieste di condanna dei dieci imputati avanzate dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, prosegue con gli interventi e le richieste dei legali delle parti civili. Nell’udienza numero 68, tenuta questo pomeriggio nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, è intervenuto, per più di quattro ore, l’avvocato dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior) Roberto Lipari. Il difensore degli interessi della banca vaticana ha condiviso le richieste di condanna del promotore Alessandro Diddi, ha chiesto “la restituzione di quanto illecitamente sottratto” alle finalità del Papa, e il risarcimento dei danni morali e reputazionali allo Ior. Domani sarà la volta della legale della Segreteria di Stato e venerdì 29 settembre degli avvocati dell’Apsa e dell'Asif, mentre alle repliche delle difese degli imputati saranno dedicate, come ha ricordato il presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, quindici udienze, dal 5 ottobre al 6 dicembre.

Investimenti speculativi con i fondi Ior

Il legale dello Ior ha esordito, poco dopo le 15, sottolineando che la requisitoria del promotore di giustizia, conclusa il 26 luglio con le richieste di condanna, “è uno spaccato efficacissimo dei fatti” oggetto del processo, e non è necessario aggiungere altro. Ha ricordato che L’Istituto per le Opere di Religione, la cui denuncia al promotore di giustizia, insieme a quella del revisore generale, ha fatto partire l'inchiesta sulla compravendita del palazzo di Londra, si è costituito parte civile per tutti i capi d'imputazione e per tutti gli imputati.

San Giovanni Paolo II e i doveri di chi lavora per la Santa Sede

E per far capire il disvalore del reato di peculato, contestato a cinque imputati, dal quale poi “scaturiscono gli altri reati”, ha citato la Lettera di San Giovanni Paolo II del novembre 1982 al suo segretario di stato, cardinale Agostino Casaroli, sui doveri e lo spirito di servizio dei dipendenti della sede apostolica. Per sottolineare che non è finalità istituzionale della Santa Sede la produzione di beni economici e il profitto. “Perché la base primaria per il suo sostentamento – ha chiosato il legale - è costituita dalle offerte. Il Papa ci dice che la Santa Sede vive di carità”. Ed è quindi incompatibile con le sue finalità ogni investimento speculativo, soprattutto perché i contributi dei fedeli vanno “utilizzati solo per le finalità indicate dagli offerenti”. Il peculato oggetto del processo “ha offeso tutti coloro che hanno fatto sacrifici per donare questi fondi".

I 600 milioni di euro accantonati dalla Segreteria di Stato

Lipari ha ricordato l’ammontare dei fondi a disposizione della Segreteria di Stato. Tra il 2004 e il 2020 lo Ior le ha dato contributi per quasi 700 milioni di euro, con versamenti di circa 50 milioni ogni anno: si tratta di versamenti al Papa e per le necessità della sede apostolica. Quindi per il legale dello Ior, “era il Papa l’unico soggetto legittimato a decidere come utilizzare questi fondi, con sua espressa disposizione. E per le necessità della Chiesa, suoi bisogni impellenti, che non erano certo l’acquisto del palazzo di Londra e altre speculazioni”. Nel processo, ha ricordato l’avvocato, sia monsignor Alberto Perlasca, ex direttore dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stati, e il revisore generale, come testimoni, che il cardinal Angelo Becciu, all’epoca dei fatti sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, come imputato, “hanno confermato il Papa non ha mai dato indicazioni sull’utilizzo di quei fondi”. Si tratta del cespite di più di 600 milioni, ha spiegato Lipari, che il cardinal Becciu ha detto di aver trovato al suo arrivo in Segreteria di Stato, nel 2012.

Nessun reale controllo sull’utilizzo dei fondi

Un patrimonio ingente, ha commentato il legale di parte civile, sul quale nel 2012 non c’era nessun controllo, tanto da far dire al cardinale, ha ricordato Lipari, che “eravamo in una torre d’avorio”. Lo stesso Becciu, nel lasciare la gestione a Perlasca, e agli imputati Fabrizio Tirabassi ed Enrico Crasso, che era il “semaforo” che autorizzava gli investimenti, chiese al finanziere di valutare l’investimento del fondo Athena di 200 milioni e 500 mila dollari. Investimento poi realizzato, senza nessun reale controllo. E senza chiedere una valutazione allo Ior, “l’unico ente che può valutare se un investimento è compatibile col diritto canonico”, ha sottolineato il legale dell’Istituto.

Lo Ior visto solo “come un bancomat”

Gli imputati legati alla Segreteria di Stato, per Lipari, da monsignor Mauro Carlino a Tirabassi, “guardavano allo Ior come un bancomat, che doveva sempre rispondere positivamente alle loro richieste”. Il legale dell’Istituto ha portato ad esempio l’investimento, poi non effettuato, nel petrolio angolano, quando Tirabassi e Crasso hanno chiesto un finanziamento prima ad Ubs e poi a Credit Suisse, ma non allo Ior, “perché sapevano che non l’avrebbe concesso”. Ma la prima delle due banche svizzere rinunciò all’affare e all’investimento “perché era troppo rischioso, non in linea col profilo dell’investitore, la Santa Sede”. Come non lo era anche l’investimento, questo sì realizzato, “in un fondo chiuso in cui tutto il potere è in mano al gestore”.

La valutazione sui reati contestati agli imputati

Successivamente Lipari ha passato in rassegna prima il reato di corruzione e poi quello di truffa, citando molte mail, messaggi whatsapp e minute cartacee agli atti come prove a carico degli imputati. Infine quello di estorsione a carico del broker Gianluigi Torzi e di abuso d’ufficio, reato contestato a tutti gli imputati legati alla Santa Sede, compresi Renè Brülhart, già presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif) e il direttore Tommaso Di Ruzza. In conclusione, il legale dell’Istituto per le Opere di religione ha ricordato che in questo processo “abbiamo visto il ricorso a strumenti finanziari nei quali l’amministratore di beni ecclesiastici perdeva ogni possibilità di controllo e l’impiego del denaro della Chiesa senza alcun controllo e accuratezza. Abbiamo visto alcuni interni della Santa Sede solidarizzare con gli estorsori della Santa Sede stessa”. E infine “abbiamo visto travisate tutte le indicazioni della lettera di san Giovanni Paolo II, da persone che hanno tradito il mandato ricevuto dalla Chiesa”.

Le richieste di risarcimento dello Ior

Al termine del suo intervento, alle 19.20, l’avvocato Lipari ha richiesto al Tribunale la condanna degli imputati per tutti i reati contestati, e la restituzione delle somme illecitamente sottratte alla disponibilità esclusiva del Santo Padre, da depositare presso lo Ior. "Il soggetto offeso dalle condotte degli imputati - per il legale di parte civile - è in primo luogo il Santo Padre" essendo stata vanificata la destinazione al Papa dei 700 milioni di euro erogati negli anni dall'Istituto per le finalità del Pontefice e accantonati dalla Segreteria di Stato. Ed ha infine chiesto la liquidazione equitativa del danno morale (plurimo) e di quello reputazionale subito dall’Istituto per le Opere di Religione, stimato da una perizia in 987,494 mila euro.

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27 settembre 2023, 18:46