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Francesco ad Asti: Cristo, Re dalle braccia aperte, ci vuole coinvolti e non spettatori

Nell'omelia della Messa in cattedrale ad Asti, per la solennità di Cristo Re dell'universo, il Papa ricorda che sulla croce Gesù ti dice “che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti e salvarti così come sei, con i tuoi peccati”. Chiede però di chiamarlo per nome, e di sporcarci le mani insieme a Lui e intercedere per le sofferenze del mondo, "facendoci servi per regnare con Lui". E confida: "Sono venuto per ritrovare il sapore delle radici"

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Il nostro Re “apre la braccia a tutti” dal trono della croce, e “non punta il dito contro nessuno”, e “a brasa aduerte” ti dice “che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti e salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati”. Ci chiede però di chiamarlo per nome, come ha fatto sul Calvario il buon ladrone, in confidenza con lui, non da spettatori ma da “coinvolti”, e intercedere per le sofferenze del mondo, sporcandoci le mani, insomma “di farci servi per regnare con Lui”. Questo il messaggio dell’omelia di Papa Francesco nella Messa per la solennità di Cristo Re dell’universo, celebrata nella cattedrale di Asti. (Ascolta qui il servizio con la voce del Papa)

Il rito dell'accolitato per il giovane Stefano Accornero

Nel grande tempio gremito di più di 4 mila persone, il Papa fa il suo ingresso dopo il saluto alla città in papamobile, accompagnato dall’inno della Giornata Mondiale della Gioventù di Roma 2000 “Jesus Christ, you are my life”, e dai giovani dell’equipe di pastorale giovanile che portano la croce realizzata per la celebrazione. Poi istituisce accolito il seminarista astigiano Stefano Accornero, invitando tutti “a pregare per lui, perché vada avanti nella sua vocazione e sia fedele” all’inizio dell’omelia. Ma chiede anche di pregare “per questa Chiesa di Asti, perché il Signore invii vocazioni sacerdotali, perché come voi vedete la maggioranza sono vecchi, come me. ci vogliono preti giovani, come alcuni di qua che sono bravissimi. Preghiamo il Signore perché benedica questa terra”.

E da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici. Ma oggi è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede. Esse si trovano nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza.

Il saluto del vescovo di Asti Marco Prastaro
Il saluto del vescovo di Asti Marco Prastaro

Gesù, un Re "appeso ad un patibolo"

Con la sua morte Gesù, ricorda Francesco, “ci ha dato la vita eterna”. E guardando a Lui, al Crocifisso, vediamo che è un “re dei Giudei” come  scritto sulla croce, diverso da tutti gli altri. Non “un uomo forte seduto su un trono”, ma tutto il contrario, “appeso ad un patibolo”.

Il Dio che «rovescia i potenti dai troni» (Lc 1,52) opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa aduerte.

Si è fatto insultare, perchè gli umiliati non siano più soli

Solo entrando nel suo abbraccio, prosegue il Pontefice, noi capiamo che Dio si è spinto “fino al paradosso della croce”, proprio per abbracciare tutto di noi, anche “la nostra morte, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità”.

Si è fatto servo perché ciascuno di noi si senta figlio; si è lasciato insultare e deridere, perché in ogni umiliazione nessuno di noi sia più solo; si è lasciato spogliare, perché nessuno si senta spogliato della propria dignità; è salito sulla croce, perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio.

Questo è il Re che festeggiamo. Ma lo è della mia esistenza?

“Ecco il nostro Re”, sottolinea Papa Francesco, “Re dell’universo perché ha valicato i confini più remoti dell’umano, è entrato nei buchi neri dell’odio e dell’abbandono per illuminare ogni vita e abbracciare ogni realtà”. Questo “è il Re che festeggiamo!” Ma credo in Lui, si chiede poi, “è il Re della mia esistenza?”. Quindi, rivolto al candidato al ministero di accolito:

E tu che oggi incominci questa strada verso il sacerdozio non dimenticarti che questo è il tuo modello: non gli onori, aggrapparti… no, questo! Se tu non sei sacerdote come questo, meglio fermati lì.

Il Signore "a brasa aduerte" ci abbraccia e ci ama

E se fissiamo “gli occhi in Gesù Crocifisso”, Lui “non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui

Ma rimane lì, a brasa aduerte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti e salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati. Ma Signore, è vero? Con le mie miserie tu mi ami così? Ognuno in questo momento pensi alla propria povertà: “Ma, tu mi ami con queste povertà spirituali che ho, con queste limitazioni?” E Lui sorride e ci fa capire che ci ama e ha dato la vita per me.

I fedeli in cattedrale. In prima fila, la cugina del Papa Carla Rabezzana e altri parenti
I fedeli in cattedrale. In prima fila, la cugina del Papa Carla Rabezzana e altri parenti

Lui perdona sempre, noi "facciamo la croce" sugli altri

Lui, chiarisce il Papa, “ti dà la possibilità di regnare nella vita, se ti arrendi al suo amore mite” che si propone ma non s’impone, “che sempre ti perdona”, “ti rimette in piedi”, sempre “ti restituisce la tua dignità regale”.

Noi, tante volte ci stanchiamo di perdonare la gente e facciamo la croce e le facciamo la sepoltura sociale. Lui non si stanca mai di perdonare.

Salvati da un Dio vicino, tenero e misericordioso

La salvezza, prosegue il Pontefice, “viene dal lasciarci amare da Lui, perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela”. Per questo, “mettiamoci spesso davanti al Crocifisso, e lasciamoci amare, perché quelle brasa aduerte dischiudono anche a noi il paradiso, come al ‘buon ladrone’”. Anche a noi Gesù dice le sue uniche parole sulla croce: “Con me sarai nel paradiso”.

Questo vuole dirci Dio ogni volta che ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, ma un Dio vicino.  la vicinanza è lo stile di Dio: la vicinanza, con tenerezza e misericordia. Tenero e compassionevole, le cui braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re!

Le due strade possibili: spettatori o coinvolti

Le strade allora per noi sono due, chiarisce Papa Francesco: di fronte a Gesù in croce “c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge”. I primi sono la maggioranza: il Vangelo di Luca dice che “il popolo stava a vedere”.

Non era gente cattiva, tanti erano credenti, ma alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare.

Un momento dell'omelia in cattedrale
Un momento dell'omelia in cattedrale

Indifferenza è anche non guardare gli occhi del povero

“Avranno espresso giudizi e pareri” prosegue il Papa, e “qualcuno si sarà lamentato, ma tutti sono rimasti a guardare con le mani in mano, a braccia conserte”. Altri spettatori, vicini alla croce, sono i capi del popolo, i soldati, e uno dei malfattori, che scarica su Gesù la sua rabbia. “Deridono, insultano, si sfogano”. Tutti dicono a Cristo: “Se sei re, salva te stesso!” e questa frase di sfida contagia, “l’onda del male raggiunge quasi tutti”. E quella “gente parla di Gesù ma non si sintonizza neanche un momento con Gesù. È il contagio letale dell’indifferenza”.

Una brutta malattia l’indifferenza, sai? “questo non tocca me, non tocca me…indifferenza verso Gesù e indifferenza anche verso i malati, verso i poveri, verso i miseri della terra. A me piace domandare alla gente, e domando ad ognuno di voi; so che ognuno di voi dà l’elemosina ai poveri, e io vi domando: “Quando tu dai l’elemosina ai poveri, li guardi negli occhi? Sei capaci di guardare agli occhi? Di quel povero o quella povera che ti chiede le elemosina? Quando tu dai l’elemosina ai poveri, tu butti la moneta o gli tocchi la mano? Sei capace di toccare una miseria umana?” Ognuno poi faccia la risposta oggi.

Se la fede non è pratica, siamo cristiani all'acqua di rose

L’onda del male, chiarisce Francesco “si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze”, poi si pensa “solo a ciò che interessa e ci si abitua a girarsi dall’altra parte”.

È un rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria e non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco. Allora si diventa cristiani all’acqua di rose, che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo e anche, non interessa Dio, né la pace. Questi cristiani soltanto di parola, superficiali.

I fedeli all'esterno della cattedrale
I fedeli all'esterno della cattedrale

Il "buon ladrone" ci insegna la confidenza con Dio

Ma c’è anche, sottolinea, “l’onda benefica del bene”, che coinvolge il “buon ladrone”. “Gli altri ridono del Signore, Lui gli parla e lo chiama per nome”. Solo chiede al Signore una cosa che diventa una bella preghiera per noi, da fare “tutti i giorni” sulla strada della santità: “Gesù ricordati di me”. Così “un malfattore diventa il primo santo: si fa vicino a Gesù per un istante e il Signore lo tiene con sé per sempre”. Il Vangelo parla del buon ladrone “per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori. Da dove cominciare?”

Dalla confidenza, dal chiamare Dio per nome, proprio come ha fatto il buon ladrone, che alla fine della vita ritrova la fiducia coraggiosa dei bambini, che si fidano, chiedono, insistono. E nella confidenza ammette i suoi sbagli, piange ma non su sé stesso, bensì davanti al Signore.

La preghiera di intercessione: "Ricordati Signore"

E noi, si chiede ancora il Pontefice, “abbiamo questa fiducia, portiamo a Gesù quello che abbiamo dentro o ci mascheriamo davanti a Dio, magari con un po’ di sacralità e di incenso?”. E’ “la spiritualità del trucco: quella è noiosa. Davanti a Dio: acqua e sapone, soltanto”. Chi, come il “buon ladrone” pratica la confidenza impara l’intercessione, “a portare a Dio quello che vede, le sofferenze del mondo, le persone che incontra”; a dirgli, come lui: “Signore ricordati!”. Non siamo al mondo “solo per salvare noi stessi, ma per portare i fratelli e le sorelle nell’abbraccio del Re”. Ma noi, chiede ancora Papa Francesco, “quando preghiamo, intercediamo?”. Gli chiediamo di ricordarsi della nostra famiglia, di questo problema, “attirare l’attenzione del Signore?”.

Sporcarsi le mani, perchè tante cose non vanno

Oggi, conclude il Papa, il nostro Re dalla croce “ci guarda a brasa aduerte. Sta a noi scegliere se essere spettatori o coinvolti”. Guardando le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione... Che cosa facciamo? “Ci limitiamo a fare teorie, a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dai “se” delle scuse ai “sì” della preghiera e del servizio?”. Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, anche nella Chiesa, “tante cose non vanno nella Chiesa”, ma poi facciamo qualcosa?

Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare? Oggi, mentre Gesù, spogliato sulla croce, toglie ogni velo su Dio e distrugge ogni falsa immagine della sua regalità, guardiamo a Lui, per trovare il coraggio di guardare a noi stessi, di percorrere le vie della confidenza e dell’intercessione, di farci servi per regnare con Lui. “Ricordati Signore, ricordati”: Facciamo questa preghiera più spesso.

Guarda il video integrale della Messa nella cattedrale di Asti

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20 novembre 2022, 12:16