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Il dolore del Papa per le inondazioni in Mozambico, Zimbabwe e Malawi

Al termine dell’udienza generale, Papa Francesco ha espresso la sua vicinanza per le popolazioni delle regioni africane colpite dalle inondazioni provocate dal ciclone Idai con 200 morti accertati ma si teme che il bilancio possa ancora salire

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Dolore e vicinanza: sono i sentimenti espressi da Papa Francesco al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, per le popolazioni colpite dal ciclone Idai che ha devastato intere aree tra Mozambico, Zimbabwe e Malawi. Questo l’appello del Pontefice:

“[ In questi giorni, grandi inondazioni hanno seminato lutti e devastazioni in diverse regioni del Mozambico, dello Zimbabwe e del Malawi. A quelle care popolazioni esprimo il mio dolore e la mia vicinanza. Affido le molte vittime e le loro famiglie alla misericordia di Dio e imploro conforto e sostegno per quanti sono colpiti da questa calamità]”

L'appello dei vescovi del Malawi

"Mentre lottiamo insieme per rispondere al disastro che ci ha colpito, facciamo appello a tutti i cattolici e alle persone di buona volontà, alle agenzie per lo sviluppo e ai partner internazionali perché ci aiutino a sostenere i nostri fratelli e sorelle rimasti intrappolati dalla catastrofe”. È l’appello, riportato dall'agenzia Fides, della Conferenza Episcopale del Malawi (ECM), dopo le inondazioni che hanno colpito il Paese dopo il passaggio del ciclone Idai. Nella loro dichiarazione i vescovi hanno espresso le condoglianze per la morte di 45 persone ed hanno lanciato l’appello per far fronte ai notevoli danni alle proprietà e al bestiame . Tra le necessità urgenti vi sono: cibo, tende, medicine, potabilizzatori. Si segnalano oltre 45 vittime, più di 570 feriti , quasi 148mila sfollati. 

L’aiuto delle Caritas locali

“Terrificante”. Così viene definita dai soccorritori la situazione nella vasta area tra i tre Paesi africani colpiti nei giorni scorsi dal ciclone Idai.  Una settimana di intense piogge torrenziali ha provocato la distruzione di case ed edifici pubblici ed interrotto le più importanti vie di collegamento stradale.  Molto alto il numero delle vittime: almeno 200 i morti accertati, anche se altre stime si spingono a cantarne un migliaio; gli sfollati sono centinaia di migliaia. In soccorso delle popolazioni sono scese in campo le Caritas dei tre Paesi colpiti distribuendo beni di prima necessità e cercando di evitare il diffondersi di epidemie.  “Il nostro aiuto è difficile ma necessario. Stiamo facendo il possibile e non ci fermeremo finché la situazione non sarà normalizzata” spiega Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’Ufficio Africa di Caritas Italiana, in questa intervista di Federico Piana:

Ascolta l'intervista a Fabrizio Cavalletti di Caritas Italiana

R. - Di ora in ora questa gravità si fa sempre più terrificante in quanto c’è la città di Beira in particolare -  la città costiera del Mozambico con oltre 500mila persone – che è stata di fatto rasa al suolo. Dunque si teme veramente che le vittime crescano in modo esponenziale nelle prossime ore. Le notizie arrivano frammentate. Certamente il ciclone è stato di una violenza inaudita e questo indubbiamente anche a causa dei cambiamenti climatici. È chiaro che da questo punto di vista è importante sempre non essere definitivi sulle cause e sugli effetti, perché in queste aree ovviamente i cicloni ci sono da sempre, ma gli studi ci dicono che l‘intensità e la frequenza – ahimè - negli ultimi decenni è aumentata. Questo anche a causa del riscaldamento globale. 

Di cosa c’è bisogno?

R. - Al momento le operazioni di soccorso sono molto difficili a causa dell’inaccessibilità di molte aree. Infatti per capire l’entità della catastrofe ci sono voluti alcuni giorni e ancora non si è capita fino in fondo. Quindi al momento si sta cercando di salvare vite umane; questo lo stanno facendo le autorità locali con l’aiuto delle agenzie internazionali. La Chiesa locale si è mobilitata immediatamente; come Caritas italiana siamo in contatto con loro e stiamo cercando di sostenerli come possiamo. Ovviamente c’è bisogno di assistenza agli sfollati al momento, soprattutto a livello di beni di prima necessità e ripari di urgenza. Bisogna cercare di prevenire le epidemie, che in questi casi sono il rischio più grande. Le Chiese stanno cercando di lavorare per cercare di ridurre il rischio il più possibile.

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20 marzo 2019, 11:01