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 San Francesco d'Assisi e il Sultano d'Egitto AL-Kamil nell'anno 1219 San Francesco d'Assisi e il Sultano d'Egitto AL-Kamil nell'anno 1219 

Francesco nei Paesi dell’Islam per costruire ponti di fraternità

I viaggi e gli incontri di Francesco con le popolazioni musulmane in tutto il mondo all’insegna dell’amore per tutta l’umanità

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Grande l’­attesa per l’arrivo di Francesco negli Emirati Arabi Uniti, la prima visita di un Papa nella penisola arabica, culla della religione  islamica, a suggellare l’impegno che caratterizza questo pontificato di costruire ponti di conoscenza e dialogo tra cristiani ed musulmani, nella fiducia reciproca di essere fratelli.

Le virtù proclamate dall’Islam

Tanti i viaggi di Francesco in Paesi a maggioranza musulmana dall’inizio della sua missione petrina nel mondo intero. Ricordiamo nel maggio del 2014 durante la sua visita in Giordania, prima tappa del suo pellegrinaggio in Terra Santa, le parole rivolte nell’incontro ad Amman con re Abdullah II, quando volle “rinnovare il profondo rispetto e la stima per la comunità musulmana”, lodando il ruolo guida svolto dal sovrano giordano “nel promuovere una più adeguata comprensione delle virtù proclamate dall’Islam e la serena convivenza tra i fedeli delle diverse religioni” e auspicando in quell’occasione di poter contribuire “ad incrementare e promuovere buone e cordiali relazioni tra cristiani e musulmani”.

Il rispetto e la fiducia reciproca

Nel settembre 2014 l’arrivo del Papa a Tirana, offriva l’opportunità a Francesco di rallegrarsi “per una felice caratteristica dell’Albania da preservare con ogni cura e attenzione: la pacifica convivenza e la collaborazione tra gli appartenenti a diverse religioni. Il clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani è un bene prezioso per il Paese e acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo”.

La preghiera comune per la pace

Così al ritorno del viaggio a novembre in Turchia ad Istanbul, Francesco spiegava ai giornalisti: "Sono andato in Turchia come pellegrino, non come turista. Quando sono andato in moschea ho visto quella meraviglia, il Muftì mi spiegava bene le cose con tanta mitezza, mi citava il Corano là dove si parlava di Maria e di Giovanni Battista. In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. Gli ho chiesto: preghiamo un po'? Lui mi ha risposto: "Sì, sì". Io ho pregato per la Turchia, per la pace, per il Muftì, per tutti e per me... Ho detto: "Signore, ma finiamola con queste guerre, eh!". È stato un momento di preghiera sincera".

La fratellanza di cristiani e musulmani

Un anno dopo nel novembre 2015, nella Repubblica Centrafricana, il Papa entrava nella Moschea centrale di Bangui, dove incontrando la comunità musulmana osservava: "Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev'essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni".

Dio non giustifica i fondamentalismi

In Azerbaigian, l’anno seguente nel novembre 2016, la voce di Francesco riecheggiava nella moschea di Baku: "Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane".

La violenza travestita di presunta sacralità

Nel cuore dell’islam sunnita, nell’aprile del 2017, il Papa in visita in Egitto, recatosi nella moschea e università di al-Azhar, dopo aver abbracciato il Grande imam Ahmad Muhammad Al-Tayyib, sottolineava: “In quanto responsabili religiosi, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”. “A poco o nulla – proseguiva Francesco - serve infatti alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione”.

La vera fede incompatibile con gli atti di morte

“Abbiamo tutti il dovere – sollecitava ancora il Papa incontrando il presidente egiziano Al Sisi - di insegnare alle nuove generazioni che Dio non ha bisogno di essere protetto dagli uomini, anzi è Lui che protegge gli uomini. Egli non può né chiedere né giustificare la violenza, anzi la detesta e la rigetta. Abbiamo il dovere di affermare insieme che la storia non perdona quanti proclamano la giustizia e praticano l’ingiustizia; non perdona quanti parlano dell’eguaglianza e scartano i diversi. Abbiamo il dovere di smascherare i venditori di illusioni circa l’aldilà, che predicano l’odio per rubare ai semplici la loro vita presente e il loro diritto di vivere con dignità, trasformandoli in legna da ardere e privandoli della capacità di scegliere con libertà e di credere con responsabilità. Abbiamo il dovere di smontare le idee omicide e le ideologie estremiste, affermando l’incompatibilità tra la vera fede e la violenza, tra Dio e gli atti di morte”. “Un viaggio di unità, di fratellanza”, “convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire”, spiegava Francesco ai giornalisti, al ritorno dall’Egitto.

Le differenze religiose siano una forza per il perdono

La pace e la riconciliazione in cima ai pensieri del Papa nel viaggio in Myanmar e Bangladesh. “Le differenze religiose non devono essere fonte di divisione e di diffidenza, ma piuttosto una forza per l’unità, per il perdono, per la tolleranza e la saggia costruzione del Paese”, ribadiva Francesco nell’incontro a Yangon con le autorità e la società civile.

Sostituire cultura del conflitto con cultura dell’incontro

Ed ancora a Dacca, Francesco evidenziava: "Quando i capi religiosi si pronunciano pubblicamente con una sola voce contro la violenza ammantata di religiosità e cercano di sostituire la cultura del conflitto con la cultura dell'incontro essi attingono alle più profonde radici spirituali delle loro varie tradizioni”.

Gli abbracci con il Grande Imam di al-Azhar

Da rilevare anche i quattro incontri del Papa con il leader mondiale dell’Islam sunnita Ahmad Muhammad Al-Tayyib, all’insegna dall’impegno comune per la pace contro fondamentalismi ed estremismi (23-5-2016; 28-4-2017; 7-11-2017; 16-10-2018). Prossimo incontro negli Emirati Arabi (programma del viaggio), dove entrambi parteciperanno alla Conferenza internazionale sulla Fraternità umana, organizzata ad Abu Dhabi dal Consiglio degli Anziani musulmani, che radunerà più di seicento esponenti di diverse comunità religiose.

 

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31 gennaio 2019, 14:23