Cerca

Un legame di secoli, in mostra “Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”

Fino al 23 giugno, a Palazzo Braschi di Roma, è aperta la mostra dedicata all’arte nipponica più celebre, quella del periodo Edo, tra XVII e XIX secolo. Difficilmente prorogabile, data la delicatezza delle opere esposte, rappresenta un’occasione unica per vedere tutte insieme opere provenienti dalle collezioni del Museo Orientale di Genova e del Museo delle Civiltà di Roma. Contemporaneamente, alla Gregoriana, ripresentata la mostra sui martiri e cristiani nascosti in Giappone, "Thesaurum Fidei"

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Il Giappone e l’Italia. Due mondi lontani sulla carta geografica ma dal lungo legame nella storia, dimostrato dai rapporti artistici tra i due Paesi. Di questo e di molto altro parla la mostra “Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”, aperta al pubblico da oggi al 23 giugno prossimo nella sede di Palazzo Braschi, storico museo nel cuore di Roma. La mostra è promossa da Roma Capitale, dall’Assessorato alla Cultura, dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dalla coproduzione e organizzazione dalla Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto Cultura. Curatrice è la professoressa Rossella Menegazzo, docente di Archeologia, Storia dell’Arte e Filosofie dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano.

Un momento della Conferenza Stampa della mostra a Palazzo Braschi, cui hanno partecipato l’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, la direttrice della Direzione Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina, Ilaria Miarelli Mariani, l’amministratore delegato di MondoMostre, Simone Todorow di San Giorgio e la curatrice Rossella Menegazzo
Un momento della Conferenza Stampa della mostra a Palazzo Braschi, cui hanno partecipato l’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, la direttrice della Direzione Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina, Ilaria Miarelli Mariani, l’amministratore delegato di MondoMostre, Simone Todorow di San Giorgio e la curatrice Rossella Menegazzo

La poeticità eterea, promessa dal titolo della mostra, è dimostrata dalle opere esposte dove prendono forma le suggestioni che affascinano noi occidentali, tanto che oggi il Giappone accende l’immaginario anche dei più giovani, attraverso i fumetti manga, eredi della grande arte giapponese: la fine del percorso espositivo della mostra è dedicata alla loro fortuna in Italia, esplicata da molti nomi di disegnatori italiani, affermati nel mondo internazionale, e dalla Scuola internazionale Comics. Lungo le sale della mostra è possibile scoprire le calligrafie, i colori delicati o intensi dei dipinti, dei paraventi, i lunghi rotoli, gli strumenti musicali, i giochi da tavolo, uno splendido soprakimono (uchikake) azzurro e oro, accessori del corredo femminile e maschile alla moda, in tutto ben centocinquanta opere di epoca Edo, tra Seicento e Ottocento, di stile Ukiyoe, parola che letteralmente significa “immagini del mondo fluttuante”, composta da tre caratteri (uki, fluttuante; yo, mondo terreno; e, raffigurazione, immagine). Questo filone artistico, che tanta influenza ebbe nell’arte occidentale, è forse il momento dell’arte giapponese più conosciuto, corrisponde anche a un periodo di pace e di benessere, all’ascesa di nuovi ceti sociali, alla vita di città - Edo è il toponimo antico di Tokyo - a una tregua rispetto a un passato rigido e severo, prima della restaurazione dell’impero Meiji, nel 1868.

L'allestimento di una sala della mostra
L'allestimento di una sala della mostra

Un’arte replicabile grazie alla tecnica della xilografia, stampa su matrice in legno e frutto del lavoro d'équipe dell’artista, che eseguiva il disegno originale, con gli intagliatori che lo riportavano su matrice in legno, poi stampato su carta. Grazie alla loro serialità, queste opere ebbero grande diffusione, nel primo periodo solo in bianco e nero, in seguito colorate a mano. Un’arte non ufficiale e solenne come quella precedente dei samurai ma espressione della domanda di una borghesia colta, educata alla letteratura, all’arte, alla musica, che vuole vivere il ritrovato benessere e suona strumenti musicali, popola giardini, va a teatro, si riunisce per fare giochi di strategia.

Set composto di scatola per cancelleria (ryōshibako) e scatola da scrittura (suzuribako) contenente pietra in ardesia per la preparazione dell’inchiostro, coltellino e pennello; decorazione con motivo esterno di stemma di famiglia a paulownia e interno con coppia di gru in volo e corso d’acqua con piante lacustri, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo), Legno laccato nero e decorazione dorata (makie) all’esterno, lacca marrone con polvere d’oro (nashiji) all’interno, pigmento rosso e nero, 42,5 x 32,7 x 17 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa
Set composto di scatola per cancelleria (ryōshibako) e scatola da scrittura (suzuribako) contenente pietra in ardesia per la preparazione dell’inchiostro, coltellino e pennello; decorazione con motivo esterno di stemma di famiglia a paulownia e interno con coppia di gru in volo e corso d’acqua con piante lacustri, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo), Legno laccato nero e decorazione dorata (makie) all’esterno, lacca marrone con polvere d’oro (nashiji) all’interno, pigmento rosso e nero, 42,5 x 32,7 x 17 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa

Un’opera “iconica”

Eccolo occhieggiare, arrivati quasi alla fine dell'allestimento, su una parete, isolata: La grande Onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai (1830-1831) è il simbolo che riassume da solo tutto il Giappone. Campeggia anche nella locandina della mostra. Per chi l’ha vista prima soltanto nella diffusissima riproduzione sui poster, può rimanere interdetto: la xilografia esposta, uno dei diversi esemplari sparsi in tutto il mondo, misura solo 25,7 x 37,9 centimetri. In fondo è ciò che succede di fronte a molte opere famose, anzi famosissime – una per tutte la Gioconda – che dal vivo sono molto più piccole di quanto ci si aspetti. Non ci si sente sovrastati, ma anzi arriva un sentire di tenerezza, di rassicurazione. Ci si deve avvicinare per riconoscere la potenza dell'onda con la sua spuma bianca, il tratto felice e modernissimo del flutto enorme racchiuso nello spazio della cornice, la sicurezza dinamica delle linee della magnifica intuizione dell’artista, che attinge dalla tradizione cinese, giapponese e occidentale insieme.

L'allestimento della mostra. Isolato sul fondo blu della parete, La grande onda di Hokusai
L'allestimento della mostra. Isolato sul fondo blu della parete, La grande onda di Hokusai


Ma non è l’unica opera notevole della mostra: ce ne sono altre dello stesso Hokusai, quelle vedute dove il monte Fuji sovrasta un orizzonte sereno, ma anche di artisti influenti come Kitagawa Utamaro e Keisai Eisen che, in ordine cronologico e divise per sezioni, forniscono un quadro multiforme del periodo.

Katsushika Hokusai, La grande onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 ca., Silografia policroma, 26 x 37,6 cm, ©Courtesy of Museo d’Arte Orientale E. Chiossone
Katsushika Hokusai, La grande onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 ca., Silografia policroma, 26 x 37,6 cm, ©Courtesy of Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

Una mostra che si snoda su più livelli di lettura

“Questa mostra ha diversi intenti e può essere letta su più livelli”, spiega ai media vaticani la curatrice della mostra, Rossella Menegazzo, alla quale ne chiediamo gli obiettivi e la lettura. “Innanzitutto è una mostra d'arte giapponese che ci racconta di questo filone del mondo fluttuante che è stato il più importante a partire dalla metà del Seicento e fino alla fine dell'Ottocento, con oltre trenta artisti presenti in mostra che ne rappresentano le varie scuole. Sicuramente ci racconta del Giappone, di quell'epoca e anche dei tanti cambiamenti che ci furono a livello sociale, educativo, artistico ed economico, perché i soggetti delle opere raccontano quella società contemporanea. Sono tutte quelle cose che erano diventate di moda: i luoghi che si volevano visitare, che nascono come mete turistiche o di gita o di viaggio che non tutti potevano permettersi, ma che comunque si desiderava in qualche modo possedere, almeno come immagine. Le mode riguardano ovviamente il vestiario, i kimono, le acconciature, gli accessori che portavano donne e uomini alla moda, ma ci racconta anche il mondo del teatro, il kabuki, che è un teatro nuovo, anche questo, e inizia a partire dal 1600 e diventa popolare rispetto al teatro Nō più aristocratico, legato alla classe samurai. Un teatro di intrattenimento e non più disciplina come lo era invece il Nō.

Ascolta l'intervista a Rossella Menegazzo

Il secondo livello di lettura della mostra riguarda il collezionismo italiano perché tutte le opere esposte provengono da due grandi collezioni: quella di Edoardo Chiossone del Museo Orientale di Genova e la collezione di Vincenzo Ragusa, oggi del Museo delle Civiltà di Roma.
Ci parla di un collezionismo di due personaggi che in realtà fanno parte di un gruppo di artisti e di professionisti invitati dal governo Meiji alla fine dell'Ottocento per essere formatori nelle varie discipline artistiche. Edoardo Chiossone per l'incisione e per il disegno, Vincenzo Ragusa per la scultura, insieme a loro c'erano poi Antonio Fontanesi per la pittura, Giovanni Vincenzo Cappelletti per l'architettura. E ci parla anche di un periodo di apertura del Giappone durante il quale tanti primi viaggiatori andarono in Giappone dall'Italia e si fermarono lì aprendo delle attività commerciali, instaurando un network tra di loro che avrebbe portato alla nascita delle maggiori collezioni italiane.

Ventaglio rigido bilobato (uchiwa) con motivo di due fenici, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo). Struttura in legno laccato decorato con motivi di nuvole e floreali (karakusa) dorati piani (hiramakie) su fondo in polvere d’oro a buccia di pera (nashiji), superficie in garza di seta con applicazioni di pigmenti colorati, applicazioni in ottone in forma di foglia di paulownia, 48 x 25,5 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa
Ventaglio rigido bilobato (uchiwa) con motivo di due fenici, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo). Struttura in legno laccato decorato con motivi di nuvole e floreali (karakusa) dorati piani (hiramakie) su fondo in polvere d’oro a buccia di pera (nashiji), superficie in garza di seta con applicazioni di pigmenti colorati, applicazioni in ottone in forma di foglia di paulownia, 48 x 25,5 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa

Storia dell’arte, storia del collezionismo

In mostra abbiamo due pezzi importanti, oltre ai tanti collezionati da Ragusa e da Chiossone, esposti per la prima volta: uno è un koto, uno strumento a corde appartenuto a Cristoforo Robecchi, il primo console italiano in Giappone, l’altro è un soprakimono imbottito, tutto decorato con fili d'oro, d'argento e colorati, portato invece in Italia da Enrico di Borbone conte di Bardi, che fu il fondatore della collezione del Museo d'Arte Orientale di Venezia, un acquisito illuminato, questo, del Museo Pigorini che lo ha salvato dall’esportazione verso l'estero nel momento in cui in cui la collezione di Bardi venne svenduta dalla moglie dopo la morte del marito. Ci racconta di un collezionismo italiano puntuale, diversificato anche negli scopi e nel modo di collezionare e di un Giappone che in 250 anni cambia tantissimo: anche all'interno di questo nuovo filone artistico arrivano le novità dall'Europa, prima ancora che l'Europa acquisisse quelle nuove derivate dall'Ukiyoe”.

Soprakimono uchikake imbottito con manica lunga (furisode) e motivo di due fenici e foglie di paulownia, Periodo Edo (XIX secolo) Seta, tintura indaco, ricamo in filo d’oro, d’argento e colorato, 175 x 125 cm, Roma, Museo delle Civiltà, collezione Enrico di Borbone conte di Bardi, inv. 79093
Soprakimono uchikake imbottito con manica lunga (furisode) e motivo di due fenici e foglie di paulownia, Periodo Edo (XIX secolo) Seta, tintura indaco, ricamo in filo d’oro, d’argento e colorato, 175 x 125 cm, Roma, Museo delle Civiltà, collezione Enrico di Borbone conte di Bardi, inv. 79093

Ricchissime collezioni italiane

Alla domanda se nella mostra ci siano dei prestiti dal Giappone, Menegazzo risponde di no, perché “In questo caso è stata proprio una volontà, il desiderio di valorizzare le nostre collezioni e di creare un percorso che portasse finalmente al pubblico italiano la bellezza di opere che non sono quasi mai tutte esposte per motivi conservativi, ma anche per motivi legati agli spazi museali italiani”. Infatti, molte opere sono su carta, un materiale particolarmente deperibile, e su seta. La professoressa prosegue: “Ci sono rotoli illustrati, quindi dipinti a pennello con inchiostri su seta o su carta, rotoli verticali, ma anche rotoli orizzontali. E poi per lo più stampe, in foglio singolo, in trittici o anche in polittici che arrivano a dieci fogli, stampate in policromia piena negli ultimi anni. Nella mostra è possibile seguire i primi sviluppi quando ancora si utilizzava l'inchiostro nero e qualche tocco di colore dato a mano di rosso, verde e giallo”.

Liuto a tre corde, sanshin (o jabisen) di Okinawa, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo), Legno, pelle di rettile, seta, 77 x 19 x 8,4 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa
Liuto a tre corde, sanshin (o jabisen) di Okinawa, Periodo Edo (XVIII-XIX secolo), Legno, pelle di rettile, seta, 77 x 19 x 8,4 cm, ©Museo delle Civiltà, Collezione Vincenzo Ragusa

Lo scambio tra Paesi si capisce da molte cose come l’introduzione di pigmenti che il Paese nipponico non conosceva, ad esempio il blu di Prussia. “Le stampe Ukiyoe in particolare ci mostrano intanto una tecnica che è quella della stampa da matrice in legno importata dalla Cina proprio a partire del Seicento. E anche questo ci mostra l'apertura continua verso la Cina, da cui si importano novità di ogni sorta. Abbiamo l'introduzione, a partire dai primi decenni del Settecento, della prospettiva europea che non esisteva all'interno delle tecniche di rappresentazione di paesaggio giapponese e arriva e viene importata dall'Europa tramite le navi mercantili olandesi. Abbiamo l'importazione poi di marchingegni, di piccoli oggetti come i visori ottici attraverso i quali si guardavano le stampe prospettiche per ottenere una visione tridimensionale, un effetto illusionistico di tridimensionalità che era una cosa magica e quindi veniva utilizzata come giocattolo, come intrattenimento, un po’ come i teatrini. E infine, negli anni 30 dell'Ottocento, osserviamo l'assorbimento del blu di Prussia, che non era stato presente fino ad allora, ma importato in quegli anni dall'Europa, tant'è che viene chiamato Berlin Blu o il blu di Berlino e darà il via a tutta la produzione dei paesaggi di Hokusai, ad esempio nelle 36 vedute del Monte Fuji. La Grande Onda è un capolavoro in cui il Blu di Prussia la fa da padrone”, dice la curatrice della mostra.

Una sala della mostra
Una sala della mostra

Ukiyoe, una parola dal significato che muta con la storia

Il titolo della mostra è sicuramente suggestivo, anzi poetico, come d’altra parte tutta la cultura giapponese. “Perché Ukiyoe vuol dire proprio mondo fluttuante, ed è formato da due caratteri cinesi che in realtà indicano il mondo terreno, quello radicato e quindi tutto ciò che è evanescente e transitorio. Fino al 1600 questo termine era utilizzato con un senso negativo, cioè tutto ciò da cui si doveva rifuggire per ricercare l'illuminazione: il percorso buddhista era Ukiyoe. Con l'emergere di una nuova classe cittadina arricchita, benestante, di un periodo di pace dopo tanti secoli di guerre, si raggiunge anche la consapevolezza del godimento quotidiano, delle arti, del teatro, della danza, della gita fuoriporta, delle festività ma anche delle attività quotidiane. Quindi Ukiyoe diventa un mondo fluttuante, nel senso del godimento dell'attimo fuggente, di tutto ciò che è transitorio, evanescente, ma che si deve pienamente godere. E Ukiyoe è alla fine la rappresentazione di tutto quel mondo alla moda”.

La mostra Thesaurum Fidei all'Università Pontificia Gregoriana
La mostra Thesaurum Fidei all'Università Pontificia Gregoriana


In contemporanea, una seconda mostra sul Giappone alla Università Gregoriana

A dimostrazione del legame storico tra l'Italia e il Giappone, è una felice coincidenza il fatto che oggi, fino al 23 febbraio, sia nuovamente aperta al pubblico, presso la Pontificia Università Gregoriana, la mostra “Thesaurum Fidei. Missionari martiri e cristiani nascosti in Giappone. 300 anni di eroica fedeltà a Cristo”, curata da monsignor Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, e dalla professoressa Olimpia Niglio dell’Università di Pavia, dopo l’esposizione dello scorso anno a Lucca e dei mesi scorsi alla Pontificia Università Urbaniana.

Ritratto del beato Orsucci, Palazzo Orsucci, Lucca
Ritratto del beato Orsucci, Palazzo Orsucci, Lucca

Si tratta di un’occasione preziosa per approfondire la storia del cristianesimo giapponese anche nel quadro della mostra a Palazzo Braschi, e così avere una visione storica ancora più nitida. I cartonati che si susseguono nella grande sala d’ingresso colonnato della Gregoriana ci parlano dei missionari, del primo cristianesimo, a partire dal gesuita san Francesco Saverio nel 1549 e della figura del lucchese beato Angelo Orsucci, martirizzato nel 1622. Parla delle persecuzioni sui cristiani e non stupisce che tra gli artisti che hanno raffigurato alcuni momenti salienti - quelli che più colpirono per crudeltà l’occidente - fu uno dei più grandi incisori del Seicento, il francese Jacques Callot, celebre per le sue acqueforti, tecnica a matrice come la xilografia,  che invece connota l’arte Ukiyoe.

Jacques Callot, Morte per crocifissione dei 26 martiri di Nagasaki(5 febbraio 1597), acquaforte, 80x128 mm, 1627-1628
Jacques Callot, Morte per crocifissione dei 26 martiri di Nagasaki(5 febbraio 1597), acquaforte, 80x128 mm, 1627-1628
Anonimo, Gregorio XIII fonda seminari dentro e fuori l’Europa, olio su tela, 1584 - entro il secondo decennio del XVII secolo, 210x300 cm, Pontificia Università Gregoriana, II piano. Il Papa consegna ai padri gesuiti il necessario per la loro missione. Il gesuita inginocchiato di fronte al Papa riceve un foglio, dove si legge “ Iaponicum”
Anonimo, Gregorio XIII fonda seminari dentro e fuori l’Europa, olio su tela, 1584 - entro il secondo decennio del XVII secolo, 210x300 cm, Pontificia Università Gregoriana, II piano. Il Papa consegna ai padri gesuiti il necessario per la loro missione. Il gesuita inginocchiato di fronte al Papa riceve un foglio, dove si legge “ Iaponicum”

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

20 febbraio 2024, 13:57