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Aung San Suu Kyi e l'ex presidente Win Myint in una foto del 30 marzo 2018 (Afp) Aung San Suu Kyi e l'ex presidente Win Myint in una foto del 30 marzo 2018 (Afp)

Myanmar, Aung San Suu Kyi condannata a 4 anni di carcere

A 10 mesi dal golpe militare, la giunta birmana golpistaha condannato a 4 anni di reclusione la leader politica, vincitrice nel 1991 del Nobel per la Pace. La condanna è arrivata in seguito alle accuse di incitamento al dissenso contro i militari e per la violazione delle misure anti Covid-19

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Aung San Suu Kyi "è stata condannata a due anni di reclusione ai sensi della sezione 505 e ad altri due anni ai sensi della legge sui disastri naturali", ha detto il portavoce della giunta birmana, Zaw Min Tun. Di fatto, il Nobel per la pace e leader birmana è stata condannata da un tribunale del Myanmar a 4 anni di prigione per le accuse di incitamento al dissenso contro i militari e per violazione delle misure anti pandemia. Anche l'ex presidente Win Myint è stato condannato a quattro anni con le stesse accuse, ma entrambi non sarebbero ancora stati arrestati: prima, ha spiegato il portavoce della giunta militare, dovranno affrontare altre accuse legate a diversi capi d'imputazione. 

Suu Kyi è già ai domiciliari 

I media di Stato del Myanmar avevano infatti annunciato lo scorso mese un nuovo, ennesimo capo d'imputazione per corruzione a carico della consigliera di Stato deposta Aung San Suu Kyi. Sul capo della leader democratica gravano già almeno una decina di capi d'imputazione. L'ultimo riguarderebbe una presunta violazione della legge anti-corruzione in relazione all'acquisto di un elicottero tramite fondi pubblici. Ieri i giornalisti non hanno potuto assistere ai procedimenti del tribunale speciale nella capitale e agli avvocati di Suu Kyi è stato vietato di parlare con i media. La leader birmana si trova agli arresti domicialiari dal giorno del golpe, il primo febbraio 2020. 

Le reazioni

Subito dopo la notizia della condanna, si sono moltiplicate le dichiarazioni di sdegno della comunità internazionale. Il primo governo ad alzare la voce è stato quello britannico, definendo la condanna come "un terribile tentativo di soffocare l'opposizione, un altro terribile tentativo del regime militare in Myanmar di sopprimere la libertò e la democrazia". Il Regno Unito "chiede al regime di rilasciare i prigionieri politici, di avviare il dialogo e consentire un ritorno alla democrazia", ha affermato il ministro degli Esteri, Liz Truss, in una nota. Anche l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, si è unita al coro di critiche contro la giunta birmana: "La condanna a seguito di un processo farsa davanti a un tribunale controllato dai militari non è altro che una sentenza motivata politicamente", ha affermato in una nota, chiedendo l'immediata liberazione. 

Il colpo di Stato 

Le elezioni legislative birmane del 2020 sono state vinte, come le precedenti, dalla Lega Nazionale per la Democrazia guidata da Aung San Suu Kyi. Il Partito dell'Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, invece, ha conquistato solo poche decine di seggi. Il 26 gennaio 2021 il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, ha contestato i risultati del ballottaggio e ne ha chiesto la verifica, minacciando un intervento dell'esercito. La commissione elettorale ha rigettato le accuse. La situazione è precipitata nel giro di pochi giorni, trovando il suo epilogo il primo febbraio. Il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e altri leader del partito al governo sono stati arrestati e detenuti dal Tatmadaw, l'esercito del Myanmar. In seguito, i militari hanno dichiarato lo stato di emergenza della durata di un anno, annunciando che il potere era stato consegnato al comandante in capo delle forze armate Min Aung Hlaing. Nei due mesi successivi, secondo le Nazioni Unite, oltre 500 persone sono state uccise nelle manifestazioni contro i militari. A distanza di dieci mesi, il numero si stima essere pari quasi al triplo. 

Ci vuole coraggio 

"Queste sono le prime condanne, ma ne arriveranno sicuramente delle altre. Adesso ci vuole coraggio, ci vogliono azioni forti rispetto a quelle viste in questi mesi". Lo afferma, nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News, Cecilia Brighi, segretario dell'Associazione Italia-Birmania Insieme. "Si deve intervenire a livello internazionale, multilaterale e lo si deve fare - prosegue - innanzitutto interrompendo la vendita di armi, che sono funzionali al mantenimento del potere militare a alla repressione delle proteste dei civili". Poi c'è l'aspetto economico e finanziario: "Le sanzioni sono importanti, ma lo sarà ancor di più un'azione finanziaria mirata, volta ad indebolire chi ha realizzato il golpe". 

Ascolta l'intervista a Cecilia Brighi

"In questo momento la comunità internazionale non ha assunto, a mio giudizio, le necessarie posizioni per fermare questa dittatura, ma ora con queste condanne il tempo in cui attendere è finito", sottolinea Brighi. "Domani al Campidoglio - conclude - terremo un'iniziativa internazionale in cui chiederemo, da Roma, all'Italia e all'Unione Europea di fare tutto il possibile per il Myanmar, per un popolo che, nonostante l'azione dei militari, continua a chiedere la democrazia". 

La preghiera del Papa 

Lo scorso mese di maggio Papa Francesco, nella Messa celebrata in Vaticano per i cittadini del Paese asiatico residenti a Roma, ha ricordato che non bisogna cedere alle logiche dell’odio e della divisione, ma ricostruire la fraternità, anche impegnandosi “attraverso le scelte sociali e politiche”, ed essere fedeli alla Verità che è Gesù “nella notte buia del dolore” che il popolo sta attraversando: 

Quanto bisogno c’è, soprattutto oggi, di fraternità! So che alcune situazioni politiche e sociali sono più grandi di voi, ma l’impegno per la pace e la fraternità nasce sempre dal basso: ciascuno, nel piccolo, può fare la sua parte. Ciascuno può impegnarsi a essere, nel piccolo, un costruttore di fraternità, a essere seminatore di fraternità, a lavorare per ricostruire ciò che si è spezzato invece che alimentare la violenza. Siamo chiamati a farlo, anche come Chiesa: promuoviamo il dialogo, il rispetto per l’altro, la custodia del fratello, la comunione!

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06 dicembre 2021, 12:56