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Barricate e proteste a Port-au-Prince Barricate e proteste a Port-au-Prince 

Tensione altissima ad Haiti: tentato colpo di Stato

Sono soprattutto i giovani a protestare da giorni ad Haiti. Le autorità fanno sapere di aver sventato un colpo di Stato mentre la popolazione contesta il mandato del presidente e soffre per il diminuire degli aiuti e delle rimesse. Si pagano decenni di scelte sbagliate e tra queste ci sono anche alcune strategie della comunità internazionale, spiega PierGiuseppe Fortunato dell'Unctad

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il ministro della Giustizia ad Haiti, Rockefeller Vincent, ha annunciato che è fallito "un tentativo di colpo di Stato" contro il presidente Jovenel Moïse. Ha spiegato che coinvolgeva un giudice della Corte di cassazione e un responsabile della polizia nazionale. In totale sono state arrestate 23 persone, ha precisato nella stessa conferenza stampa il primo ministro Joseph Jouthe. I vescovi esprimono preoccupazione lanciando un appello all'unità.  

Il malcontento e le proteste

Da mesi ad Haiti la popolazione scende in piazza contro l’attuale presidente Jovenel Moïse, accusato di smantellare le istituzioni, di permettere il saccheggio delle casse dello Stato, di appoggiare le milizie che spadroneggiano sul territorio dove si moltiplicano i rapimenti. Di recente ha imposto per decreto una serie di misure dirette a rafforzare la sicurezza pubblica, attribuendo immunità agli agenti della neonata Agenzia nazionale di intelligence e inquadrando come terrorismo atti di protesta sociale. In prima linea nelle proteste, represse con gas lacrimogeni, proiettili di gomma e in alcuni casi con armi da fuoco, ci sono, anche ad Haiti, gli studenti, i quali, a migliaia, hanno manifestato nei giorni scorsi e ieri in diverse zone della capitale e nei pressi dell’ambasciata statunitense chiedendo l’immediata rinuncia di Moïse e denunciando l’ondata di sequestri di giovani, aumentati vertiginosamente negli ultimi giorni.

Scadenze contestate

Moïse ha indetto per il 25 aprile prossimo un referendum per l’approvazione di una Carta costituzionale, cui sta lavorando una commissione nominata da lui stesso e di cui non esiste una bozza pubblica. Al referendum dovranno seguire, il 19 settembre, le elezioni legislative e il primo turno di quelle presidenziali.

Secondo l'opposizione, che chiede un nuovo voto da due anni, la giornata di ieri, 7 febbraio, era considerata come il limite massimo del suo mandato. Il punto è che Moïse si era insediato il 7 febbraio del 2017 per un mandato di 5 anni, - previsto dunque fino al 2022 – ma poiché la Costituzione stabilisce che l’inizio del mandato debba essere anticipato in caso di problemi con il conteggio dei voti – problemi che non sono mancati – in tanti considerano il termine della sua avventura presidenziale per il 7 febbraio 2021. Ricordiamo che il processo elettorale in questione è durato quindici mesi e segnato da due votazioni perché la prima è stata annullata per brogli, tre rinvii e una presidenza ad interim.

Una storia di mancato sviluppo

Dal 1804, anno della proclamazione della Repubblica di Haiti libera, si sono susseguiti dittatori, colpi di Stato, governi corrotti. La storia recente è stata segnata dal disastroso terremoto del 2010, dal rovinoso uragano Matthew del 2016, e da una tremenda epidemia di colera che ciclicamente si riaffaccia.

Della cronica instabilità politica e sociale di Haiti abbiamo parlato con PierGiuseppe Fortunato, economista dell'agenzia dell'Onu Unctad:

Ascolta l'intervista con PierGiuseppe Fortunato

In base alle notizie che riceve da Haiti, Fortunato spiega che la gente ha paura di mandare i figli a scuola non per il coronavirus ma per le continue sparizioni e i rapimenti. Spiega che purtroppo si sono susseguite leadership che non sono riuscite a far fronte ai problemi e alle conseguenze dei disastri naturali. Ma Fortunato mette in luce anche i limiti di strategie di aiuto da parte delle agenzie internazionali decise in particolare negli anni Ottanta: spiega che si è trattato di riforme, politiche economiche, condizioni per il debito che erano state pensate secondo filosofie economiche che si riteneva potessero giovare in tutte le aree del mondo, ma così non è stato. Per quel territorio così particolare, nel cuore dei Caraibi non hanno portato reale giovamento, non sono riuscite a favorire un'imprenditorialità locale. L'economista spiega che si è trattato di politiche ultraliberiste non adatte. Fortunato aggiunge che è impossibile nelle condizioni generale di insicurezza e violenza diffusa raccogliere tributi fiscali. Probabilmente – sottolinea – è il Paese al mondo che meno controlla i tributi fiscali, cioè con meno entrate.

Il dramma del Covid

Al momento – spiega Fortunato – le difficoltà sanitarie del coronavirus si uniscono a tutto il resto, ma soprattutto l'attuale pandemia fa sì che arrivino meno aiuti internazionali e che soprattutto non giungano alla gente le rimesse che i connazionali all'estero in questi anni recenti sono riusciti ad assicurare. Significa una situazione di grande precarietà economica alla quale si aggiunge la tensione socio-politica.

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08 febbraio 2021, 12:47