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Persone migranti salvate da un naufragio nel Mediterraneo nell'estate 2020 (Thomas Lohnes / AFP) Persone migranti salvate da un naufragio nel Mediterraneo nell'estate 2020 (Thomas Lohnes / AFP)

Giornata Onu per i diritti dei migranti, perchè nessuno si salva da solo

La ricorrenza fu istituita venti anni fa, per accelerare la ratifica di una Convenzione pubblicata nel 1990 in seguito ad una tragedia avvenuta nel 1972 nel cuore dell'Europa. "La pandemia non deve farci dimenticare altre situazioni drammatiche, quali le violenze e gli abusi sulle persone migranti, perché come ci ha ricordato il Papa nessuno si salva da solo", afferma nella nostra intervista padre Fabio Baggio, Sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano

Andrea De Angelis - Città del Vaticano

La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie venne pubblicata esattamente trent'anni fa, il 18 dicembre 1990. Solo nel luglio 2003 è entrata però in vigore, dopo la ratifica di 20 Stati.  La Convenzione riconosce la specifica situazione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e promuove condizioni di lavoro e di vita dignitose e legittime. Fornisce, inoltre, una guida per l'elaborazione di politiche nazionali in materia di migrazione basate sul rispetto dei diritti umani e propone una serie di disposizioni per combattere gli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie nel corso del processo migratorio.

La ratifica 

Venti anni fa, dieci  dopo la pubblicazione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamò il 18 dicembre Giornata internazionale per i diritti dei migranti, come parte di una campagna globale per promuoverne la ratifica. Ad oggi, purtroppo, la Convenzione annovera solo 51 ratifiche, la quasi totalità delle quali da parte di Paesi di provenienza dei flussi migratori. Per queste nazioni, infatti, essa è uno strumento importante per proteggere i propri cittadini che vivono all'estero. Allo stesso tempo, gli stessi Paesi sono spesso anche luoghi di transito e  destinazione dei lavoratori migranti di altre nazioni: in questo caso la Convenzione impone loro l'obbligo di proteggere i diritti dei migranti sul proprio territorio. Nessun Paese a forte immigrazione dell'Europa occidentale o del Nordamerica ha ancora firmato la Convenzione.

Il lavoro 

Nel suo preambolo, la Convenzione richiama alcune precedenti convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), come quella dei lavoratori migranti del 1949 e quella per l'abolizione del lavoro forzato del 1945. Sono inoltre richiamati altri trattati internazionali sui diritti umani, come la Convezione contro la discriminazione nell'educazione del 1960 adottata dall'Unesco, ed ancora la più recente Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, risalente al 2006. Più in generale la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990  ha come obiettivo primario quello di promuovere il rispetto dei diritti umani dei migranti che non sono solo lavoratori, ma prima di tutto sono esseri umani. Non a caso la "scintilla" che portò poi a questo testo è legata ad una tragedia che sconvolse l'opinione pubblica, ormai quasi mezzo secolo fa. 

L'incidente del Monte Bianco

Nel 1972 un camion che avrebbe dovuto trasportare macchine da cucire ebbe un incidente nel tunnel del Monte Bianco. A perdere la vita furono 28 lavoratori originari del Mali: nascosti nel camion, viaggiavano da giorni verso la Francia alla ricerca di un lavoro e  migliori condizioni di vita. La notizia della tragedia indusse le Nazioni Unite ad occuparsi delle condizioni dei lavoratori migranti e nel 1979 venne istituito un gruppo di lavoro con il compito di redigere una apposita Convenzione, pubblicata undici anni dopo ed entrata in vigore, come detto, solo nel 2003. Da allora la sensibilità verso tali questioni è certamente aumentata e nella promozione e tutela dei diritti delle persone migranti è in prima linea anche la Chiesa. 

I sogni dei migranti  

Dell'odierna Giornata internazionale ne abbiamo parlato, in un'intervista, con padre Fabio Baggio, sotto-segretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Il presule sottolinea come sia importante mantenere alta l'attenzione su questa tematica, ricordando in più occasioni le parole del Papa. Non manca poi un'analisi del fenomeno in tempo di pandemia, così come l'attenzione massima verso la criminalità organizzata, la tratta di esseri umani e più in generale nei confronti dei soggetti che "speculano sui sogni dei migranti". 

R. - L'odierna Giornata delle Nazioni Unite vuole sollevare l'attenzione sui diritti di tutti i migranti, mentre ne esiste un'altra, a giugno, dedicata ai rifugiati e richiedenti asilo. Essendo l'odierna Giornata dedicata a tutti i migranti, ci aiuta a pensare che molti dei flussi a cui assistiamo sono di fatto misti. Ci sono persone che emigrano per una costrizione dovuta a diverse ragioni, come altre che lo fanno per trovare situazioni migliori rispetto a quella d'origine. Non sempre è facile comprendere le cause. Questo lo diciamo perché dal punto di vista della Chiesa cattolica abbiamo una Giornata, voluta da Papa Francesco ogni ultima domenica di settembre, che invece è dedicata al migrante e al rifugiato. Fatta questa chiarificazione, possiamo dire che continuano a preoccupare i movimenti di persone che si spostano soprattutto per cause non legate a volontà personali, ma a motivi che li obbligano a lasciare le loro case. Queste situazioni sono spesso caratterizzate da una criminalità organizzata che specula sui sogni di queste persone, da tanti truffatori, ingannatori, aguzzini che purtroppo segnano abusi, violenze lungo questi cammini che chiamiamo rotte migratorie.

Ascolta l'intervista a padre Fabio Baggio

E' forte l'immagine degli "speculatori di sogni", talvolta, presi da numeri e statistiche, c'è il rischio di dimenticare che si parla di persone che sognano, ma anche di soggetti che speculano. 

R. - Sicuramente. Questi diritti fondamentali e personali possono essere violati già all'origine, nel momento in cui qualcuno presenta situazioni immaginarie a queste persone, assicurando chissà quale posto di lavoro in un Paese industrializzato, in cambio di migliaia di dollari. Persone raggiunte nel loro piccolo villaggio da veri e propi agenti di immigrazione, non molto diversi da quelli di fine Ottocento che giravano per le campagne italiane e volevano riempire piroscafi in partenza per l'America. Proponendo una ricchezza che per molti poi non c'è stata, ma vendendo un sogno a queste persone che non vedevano, nella loro terra d'origine, un futuro corrispondente alle aspirazioni. Poi la violazione dei diritti continua, ad ogni frontiera, ad ogni cambio di viaggio e conducente. Si deve pagare continuamente, e visto che i soldi non bastano mai ecco che il pagamento finisce per fondarsi sullo sfruttamento. Abbiamo letto i rapporti presentati sia dalle Nazioni Unite, ma anche da giornali importanti che hanno descritto situazioni di schiavitù, abusi, violenze sessuali lungo queste rotte. Spesso nell'oscurità vi sono storie che non vengono raccontate. Infine i Paesi d'arrivo, dove per irregolarità o timore generato dalla precarietà, le persone non si rivolgono alle autorità, ma accettano un lavoro che sfocia poi nello sfruttamento. Abbiamo storie di tratta, di lavori molto diversi da quelli promessi. Tutta un'altra situazione, per non parlare dei lavori sottopagati o addirittura non pagati, per saldare dei debiti accumulati durante il viaggio. 

La pandemia 

Padre Baggio, c'è il rischio di un doppio paradosso che vede sì, da un lato il venir meno di quell'allarmismo legato all'emergenza migratoria nei Paesi di accoglienza, ma dall'altro il rischio di non considerare la drammaticità dei numeri delle vittime di fughe e viaggi della speranza, perché magari paragonati a quelli della pandemia di Covid-19 che hanno caratterizzato l'anno che sta per concludersi?

R. - Io ricordo in modo fervido quando il Papa, durante quell'appello di Pasqua, ci chiedeva di non dimenticare i drammi contemporanei e che coesistono insieme a quello del Covid. Tutta una serie di drammi che c'erano prima della pandemia, ci sono ancora ed alcuni anche esacerbati. Tra questi, c'era anche il dramma degli sfollati, dei rifugiati, dei migranti violentati ed i cui diritti sono stati violati. Perché questo? Fa parte dell'istinto umano concentrarci su noi stessi quando siamo dinanzi ad una situazione di pericolo. Questo però non ci permette di guardare più in là, di accorgersi delle situazioni degli altri. Come se il Buon Samaritano - per riprendere un testo evangelico caro a Papa Francesco, citato anche nell'enciclica Fratelli tutti - avesse detto di avere già problemi per conto suo, preferendo passare avanti anziché fermarsi, come il levita ed il sacerdote. Una tentazione presente nel nostro mondo, comprensibile perché fa parte della nostra natura. Allora è proprio attraverso la fede che invece entra una visione provvidenziale, in cui il Signore ha messo questa persona sul mio cammino e non può essere dimenticata, anche a costo del sacrificio. Perché come ha ripetuto il Papa, qui ci si salva insieme. Siamo tutti sulla stessa barca e nessuno può restare indietro. 

Le storie

Spesso si ha paura di ciò che non si conosce. Quanto è importante allora, anche come Dicasteri vaticani, dar voce a queste persone? Fare conoscere le loro storie?

R. - All'inizio della nostra esistenza come Sezione Migranti e Rifugiati, il primo gennaio 2017, il Santo Padre ci ha dato il mandato di raccontare le storie dei migranti. Ci ha detto di raccontare storie positive, di comunità che hanno accolto, di persone accolte, che hanno contribuito e stanno contribuendo allo sviluppo di tutti. Raccontare anche la faccia positiva della migrazione, perché non trionfi solamente quella narrativa negativa, che cerca di mettere l'accento sul timore e sulla chiusura. Noi siamo convinti che in Europa, in Italia milioni di persone migranti stanno costruendo, con il loro lavoro ed il loro sudore, la società in cui ci troviamo oggi. Invece sull'altro piatto della bilancia ci sono gruppi di terroristi, criminali, ma in numero estremamente ridotto rispetto alla grande storia che invece la migrazione ci racconta. Se l'analogia anche qui può calzare, sicuramente è stato ingiusto chiamare "mafosi" tutti gli italiani che andavano in America, magari per uno sparuto numero di criminali che sicuramente non rappresentava quegli italiani che sono andati all'estero ed hanno lavorato sodo per far crescere i Paesi che li hanno accolti. 

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18 dicembre 2020, 07:34