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Don Russo: il Vangelo ci guida a capire il dramma dei migranti

Ha suscitato pareri diversi il post apparso su Facebook del parroco della chiesa di San Francesco d'Assisi a Floridia, non lontano da Siracusa. Parole nate sulla scia delle polemiche innescate dall’ordinanza del presidente della regione Sicilia Musumeci riguardo lo sgombero degli hotspot e dei centri di accoglienza su tutta l’isola, definiti focolai di Covid-19

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Non voleva provocare ma ribadire che la coerenza fa la differenza nella vita, che dirsi cristiani non è solo una bella frase ma è un impegno che passa nella luce del Vangelo. Don Lorenzo Russo è il giovane parroco che da 5 anni regge la chiesa di san Francesco d'Assisi a Floridia, in provincia di Siracusa. Da alcuni giorni, diversi politici lo tirano per la giacchetta cercando di usare quanto scritto in un suo post su Facebook. Parole – ci tiene a sottolineare – che lui voleva rivolgere ad alcuni suoi parrocchiani favorevoli alla decisione del governatore siciliano Musumeci di chiudere le strutture di accoglienza dei migranti perché considerate focolai di coronavirus.

Proteggere e accogliere

Parole spontanee che sono anche timori di una Chiesa che offre il suo contributo nell’abbracciare chi è in difficoltà. Di ieri una nota dei Centri Astalli di Palermo e Catania che hanno espresso “preoccupazione per la situazione dei migranti arrivati di recente in Sicilia” e per l’ordinanza di Musumeci.  “Ci pare necessario ribadire – hanno sottolineato - che la vera emergenza è data dalle persone che muoiono nel Mediterraneo e dalle cause che li spingono a fuggire dai loro Paesi vessati da guerre, crisi umanitarie e gravi ingiustizie sociali”. “Le politiche migratorie, restrittive, di chiusura che hanno caratterizzato l’ultimo anno - affermano in conclusione - acuiscono precarietà di vita, esclusione e irregolarità, rendendo l’intera società più vulnerabile. Oggi in Sicilia vediamo i danni provocati dal non aver investito in protezione, accoglienza e integrazione dei migranti”.

Dare conto delle parole come dei silenzi

“Scrivo ai miei parrocchiani, a quanti tra questi oggi gioiscono per l’ordinanza di Musumeci convinti da domani di essersi liberati del problema delle migrazioni, a quanti osannano scelte politiche che non fanno il bene dei poveri di questo mondo ma guardano solo al proprio interesse. A voi dico: non venite a Messa, state perdendo tempo! Non giova a nulla battervi il petto, ascoltare la parola del Vangelo, nutrirvi dell’Eucarestia. La vostra ipocrisia vi precede”. Il post di don Lorenzo è appassionato e diretto. “Chiedete coerenza a chi vi circonda, imparate voi ad essere coerenti con la fede che dite di professare. Sennò saremo solo come i ‘sepolcri imbiancati’ di cui parla Gesù: che si lasciano ammirare dalla gente per la loro bellezza esteriore, ma che all’interno custodiscono solo odore di morte. Convertiamoci al Vangelo, fratelli miei. Un giorno dovremo dare conto a Dio di tutto, delle parole come dei silenzi. Sull’amore saremo giudicati”.

Don Lorenzo Russo
Don Lorenzo Russo

Un parroco deve anche essere padre

Come è nato questo post? Risponde don Lorenzo Russo della parrocchia di san Francesco d'Assisi a Floridia:

Ascolta l'intervista a don Lorenzo Russo

R. - Con molta semplicità nasce dal fatto che a un certo punto mi rendo conto che molti miei parrocchiani cominciano, già da tempo, a condividere qualche idea poco vicina al Vangelo, soprattutto dopo la notizia dell’ordinanza del governatore Musumeci. E allora è nato il desiderio di chiedere ai miei parrocchiani innanzitutto una coerenza con il Vangelo stesso; molti frequentano, molti partecipano a Messa però il rischio, come ci ricorda Papa Francesco, è che si viva in una bolla di sapone. Per un attimo ci si è convinti che solo partecipando si sia già a posto con la coscienza e poi quello che si dice fuori, quello che si fa fuori è tutt'altra cosa. Allora il mio post voleva proprio in qualche modo provocare i miei parrocchiani, scuoterli da questa bolla di sapone e farli avvicinare sempre di più al Vangelo. Credo che questo sia anche il compito di un parroco, di un padre nei confronti dei propri figli.

Che reazione ha avuto dai suoi parrocchiani?

R. – I parrocchiani hanno reagito bene, nel senso che ho ricevuto tantissimi messaggi di vicinanza nei miei confronti. Spero e mi auguro che però non sia una vicinanza incoerente, una vicinanza per dire sì, siamo con te, però la vita continua a scorrere come sempre. Mi auguro che sia servito questo mio post su Facebook per scuotere le coscienze dei miei parrocchiani e a questo punto anche degli altri.

Lei parla del rischio di essere “sepolcri imbiancati”, chiede così a chi si professa cristiano un salto in avanti. Quanto è difficile seminare in questo momento?

R. – E’ molto difficile perché ci si scontra con una cultura che parla alle pance delle persone ed è molto facile parlare alla pancia delle persone, molto più complicato, molto più difficile, invece seminare per un futuro che non è magari domani, non è dopodomani ma chissà quando, però questo è il nostro impegno. È l'impegno di tutti i cristiani. Ecco perché il mio post era anche molto duro e accorato, appassionato. Come pastore non posso vedere i miei stessi parrocchiani andare incontro a una cultura che non ha niente a che fare con il Vangelo. Bisogna scuoterci. E’ facile essere belli esteriormente, ed essere applauditi dalla gente ma noi non siamo chiamati a questo come battezzati, siamo chiamati a testimoniare anche con la vita il Vangelo di Gesù Cristo. Credo che questo sia il cuore del messaggio che volevo rimandare ai miei amici parrocchiali, invitarli a questo, a non essere sepolcri imbiancati ma essere coerenti con ciò che si celebra, con quella parola ascoltata, con l’Eucaristia di cui ci nutriamo.

Lei viene da una terra dove spesso si è assistito da parte della mafia ad una strumentalizzazione della religiosità popolare, della devozione. Su questo fronte lei che difficoltà ha incontrato, se le hai incontrate?

R. - Io personalmente non ho incontrato particolari difficoltà anche perché la mia esperienza di parroco è molto giovane. Sono sacerdote da 7 anni, parroco da 5 e quindi non ho incontrato difficoltà, ma certamente molti miei confratelli la incontrano. Ed è sempre lì il punto centrale: la difficoltà di capire che c'è bisogno di tanta coerenza, cioè quel Vangelo ascoltato va anche praticato. Non può essere dimenticato appena si esce dalla porta della chiesa. E questo vale per ogni cosa: vale per quanto riguarda gli immigrati, vale per quanto riguarda la mafia e con tutte le varie situazioni di difficoltà che abbiamo in Sicilia. La coerenza al Vangelo fondamentalmente. Su questo ci stiamo scommettendo tutti come è chiaro che sia ed è una fatica, non so se vedremo i frutti ma intanto bisogna seminare oggi.

Per quanto riguarda l'accoglienza dei migranti la sua parrocchia come affronta questo tema?

R. – Noi non abbiamo una particolare emergenza perché la città di Floridia è vicino Siracusa, conta 25mila abitanti e non ha particolare contatto con questa realtà. Però la diocesi è in prima linea da tanti anni, a partire dall'opera del nostro arcivescovo monsignor Pappalardo. Insomma ci siamo stati, pronti a dare una mano di aiuto, nel silenzio, senza troppo clamore quando c'erano i numeri importanti di questa emergenza. E tutt’ora siamo pronti a dare una mano d'aiuto laddove ce ne sia bisogno, senza troppi proclami, volendo semplicemente testimoniare il Vangelo nella vita di tutti i giorni. 

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25 agosto 2020, 13:08