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Una donna si lava le mani al confine tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo Una donna si lava le mani al confine tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo 

Allarme Ebola in Uganda. Save the Children: fondamentale sensibilizzare

Sono tre le vittime di Ebola in Uganda. Si tratta dei primi casi al di fuori della Repubblica Democratica del Congo, dove il virus ha già causato oltre 1.400 vittime in meno di un anno. La preoccupazione di Save the Children

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Il Ministero della Salute congolese ha dichiarato che un altro bambino è morto di Ebola in Uganda, portando a tre il bilancio delle vittime. Si tratta di due bambini e la nonna cinquantenne, tutti membri di una stessa famiglia congolese-ugandese, che avevano da poco attraversato il confine dalla vicina Repubblica Democratica del Congo, dove si erano recati per assistere al funerale di un parente morto proprio a causa di Ebola. I genitori dei piccoli ed altri due figli, stanno ancora combattenmdo la malattia.

Riunione esperti Oms

Gli organismi per la salute di Kampala, ha fatto sapere il direttore nazionale dei servizi sanitari ugandesi Henry Mwebesa, non sono nel “panico”, anche se al momento ci sono sette casi sospetti di Ebola e domani gli esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si riuniranno per discutere un’eventuale emergenza sanitaria. Nel Congo ex Zaire, in preda alle violenze, dall’agosto scorso si sono registrati oltre 2.000 casi - tra cui centinaia di bambini - e più di 1.400 persone sono morte a causa dell’epidemia di febbre emorragica.

Monitoraggio nel distretto di Kasese

“La situazione deve assolutamente essere tenuta sotto controllo per evitare che il virus si diffonda”, spiega a Vatican News Luisa Altobelli dei programmi internazionali di Save the Children Italia. “Bisogna stare attenti al contagio”, è necessario “evitare il contatto” con persone malate “e, appena identificato un caso, va isolato e il paziente va trattato” con cure specifiche, aggiunge. L’organizzazione internazionale sta monitorando l’evolversi dei casi “nel distretto in cui si sono verificati, quello di Kasese, nell’Uganda occidentale”, “cercando di fare prevenzione e sensibilizzare maggiormente le comunità” (Ascolta l'intervista a Luisa Altobelli).

Assistenza alle frontiere ufficiali

L’Uganda occidentale sta facendo fronte ad un forte afflusso di profughi congolesi e sudsudanesi, quasi 20 mila giunti quest’anno, oltre 300 mila in totale. Tali persone “che si spostano dalla Repubblica Democratica del Congo all’Uganda - evidenzia Luisa Altobelli - cercano di evitare i punti di entrata ufficiale, perché c’è una ‘stretta’ da parte dell’Uganda sull’apertura e l’accoglienza. Quindi di conseguenza diventa più difficile per le autorità locali, per noi e per le altre organizzazioni identificare e prevenire casi di contagio”: è “fondamentale”, mette in luce Save the Children assieme ad altre realtà umanitarie, che i rifugiati e gli altri civili possano attraversare legalmente i confini e trovare adeguata assistenza ai punti di frontiera ufficiali.

Sensibilizzare e informare

Nelle comunità, si osserva inoltre, c’è ancora un certo stigma nei confronti dell’Ebola, che può ostacolare gli sforzi delle equipe sanitarie e far sì che la malattia si diffonda più rapidamente. “La disinformazione e la sfiducia delle comunità riguardo l’Ebola sono fattori importanti nella sua diffusione”, per questo “Save the Children sta lavorando per cercare di sensibilizzare e informare” le popolazioni, rafforzando “la formazione delle squadre sanitarie, affinché siano innanzi tutto vaccinate per poter curare i pazienti” e garantendo “la massima protezione per i bambini che si trovano in situazioni critiche, con servizi psicosociali e aiuto e supporto alle famiglie in difficoltà”.

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13 giugno 2019, 18:44