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Centrafrica, dubbi e speranze dopo un nuovo accordo di pace

Sull’accordo di pace tra governo centrafricano e 14 gruppi armati, intervista con Mauro Garofalo, della Comunità di Sant’Egidio, che ha partecipato ai negoziati a Khartoum

Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano

Uno scatto decisivo verso la pace o un nuovo passo falso? È questo l’interrogativo che accompagna l’accordo di riconciliazione per il Centrafrica, firmato lo scorso 5 febbraio a Khartoum, in Sudan. L’intesa tra il governo centrafricano e 14 gruppi armati prevede un progressivo disarmo dei ribelli e la cessazione delle ostilità. Si tratta del sesto accordo di pace in cinque anni. La Comunità di Sant’Egidio, che ha partecipato ai lavori di mediazione al fianco dell’unione Africana, delle Nazioni Unite e dei governi della regione, esprime la speranza che si possa veramente porre fine alla violenza.

Tra timori e speranze

Dallo scoppio della guerra civile, nel 2013, sono morte almeno 400 mila persone. Gli sfollati interni sono quasi 1 milione e 600 mila. Sono inoltre più di 2 milioni e mezzo i rifugiati fuggiti in altri Paesi, tra cui il Sudan. Mauro Garofalo, della Comunità di Sant’Egidio, ha partecipato ai negoziati durati 14 giorni. “C’è una concreta speranza, afferma, che questa volta si tratti di un passo decisivo”. (Ascolta l’intervista con Mauro Garofalo)

Progressivo disarmo

Lo scenario resta complesso: nel Paese, i gruppi armati controllano circa il 75% del territorio e l’esercito è ancora molto debole. L’Onu non sembra poi in grado, in questa fase, di disarmare i gruppi armati. Ma grazie all’accordo raggiunto lo scorso 5 febbraio, “c’è un’effettiva volontà - sottolinea Garofalo - di procedere ad un progressivo disarmo”. Tra gli aspetti positivi, anche il fatto che, per la prima volta, si sono riuniti intorno ad un tavolo tutti i principali leader dei movimenti armati.

Una famiglia da ricongiungere

Il Centrafrica è tra i Paesi più poveri del mondo, ma è ricco di diamanti, oro, uranio e foreste. I gruppi armati combattono per il controllo di queste risorse. Quello del Paese africano, ricorda Garofalo, è “un mosaico da ricomporre, un mosaico fatto di etnie, di attività economiche ed anche di ricchezze”. Il nodo da sciogliere, aggiunge, è il controllo delle risorse ma c’è anche un altro tema sullo sfondo, quello della cittadinanza. Si tratta di ricomporre “la famiglia nazionale”.

Il nodo dell'amnistia ai miloiziani

Un'altra questione centrale riguarda la possibile amnistia per i miliziani. Nell’accordo, spiega Garofalo, non è prevista un’amnistia: “i meccanismi della giustizia internazionale sono già a lavoro e il presidente Touadéra non può concedere un’amnistia così, tout court”. Ma è evidente, aggiunge, che "il problema della giustizia si riproporrà nei prossimi mesi". Dà speranza “il fatto che l’amnistia non sia menzionata nel testo e che invece ci sia la volontà di lavorare insieme per individuare i colpevoli”.

Una capitale in pace

Papa Francesco durante il viaggio apostolico in Centrafrica nel 2015 aveva definito Bangui la “capitale spirituale del mondo”. La popolazione - conclude Garofalo - ricorda con grandissima intensità "la visita del Papa come l’inizio di un processo di pace”. È stata imboccata, conclude, la strada giusta per rendere Bangui "la capitale di un Paese pacificato". 

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08 febbraio 2019, 13:10