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Il giudice Rosario Livatino Il giudice Rosario Livatino

Cafiero De Raho: “Livatino punto di riferimento per tutta la magistratura"

Nella nostra intervista, il procuratore nazionale antimafia esprime gioia e soddisfazione per la decisione di Papa Francesco di proclamare beato il giudice assassinato dalla mafia nel 1990: “Un uomo che andava in chiesa tutti i giorni per pregare e che poi svolgeva il proprio ruolo con tanto rigore era evidentemente un uomo che si staccava dal modo di esercitare la giurisdizione degli altri magistrati”.

Federico Piana - Città del Vaticano

“Per noi magistrati è un modello di umiltà e rigore”. Il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, è profondamente felice per la decisione del Papa di approvare il decreto con il quale si riconosce il martirio in odium fidei del giudice Rosario Livatino, che dunque presto sarà beato. Livatino fu assassinato da un clan mafioso della Stidda il 21 settembre del 1990 su una strada statale di Agrigento mentre era a bordo della sua auto per recarsi in tribunale. “Livatino – dice ai nostri microfoni il procuratore - è stato un giudice che sapeva di dover essere vicino alla gente ma al tempo stesso era consapevole di dover rappresentare un’immagine di imparzialità per la società”. 

Ascolta l'intervista a Federico Cafiero De Raho

La vita di Livatino è stata tutta improntata alla coerenza?

R. - E’ stato un uomo che è vissuto nella fede ma anche nell’applicazione più rigorosa e comprensiva dei canoni della giustizia. Lui era per una giustizia vicina alla gente: Livatino ha esercitato la giurisdizione con grande sensibilità sui problemi della società. Era un’applicazione che rappresentava una liberazione per la parte più sofferente della popolazione, quella che più subiva la pressione mafiosa. Mi piace ricordare una delle sue affermazioni: quando si morirà non ci verrà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili.

Un’affermazione che nasce dalla sua profonda religiosità?

R. - Nella sua agenda c’era scritto un acronimo: std. All’inizio, gli investigatori che indagavano sulla sua morte persero tempo a decifrarlo ma poi si comprese che voleva dire sub tutela dei (sotto la tutela di Dio). Questo dimostra come, ancora una volta, fosse, da un lato, rigoroso nella funzione di magistrato e dall’altro un fedele che osservava gli avvenimenti attraverso il Vangelo che, tra l’altro, aveva ancora sulla sua scrivania l’ultimo giorno della sua vita.

 

Livatino può essere ancora oggi modello per la magistratura?

R. - Oggi ancora più di ieri. Soprattutto in un momento in cui la magistratura deve ritrovare in pieno la sua credibilità. Livatino è stato il precursore di una religiosità non solo cattolica ma anche laica che rimane un punto di riferimento per tutta la magistratura.

Oltre all’azione giudiziaria che Livatino aveva messo in campo, alla Stidda ha dato fastidio anche la religiosità del magistrato?

R.- Non viene sopportata l’immagine di magistrato rigoroso, soprattutto perché ci troviamo in un momento in cui la magistratura non è  tutta uguale. L’azione che viene portata avanti da Livatino, ma anche da altri suoi colleghi integerrimi, è un’azione di prevenzione patrimoniale - la confisca dei beni - che rappresenta una misura straordinariamente efficace contro le mafie. Ma la fede di Livatino era tale che è come se egli si levasse ad un’altezza maggiore rispetto agli altri. E, quindi, qualunque condizionamento o intimidazione non avrebbe sortito alcun effetto. Un credente e al tempo stesso un uomo così rigoroso come lui nel condurre la propria vita, non avrebbe ceduto ad alcuna pressione. E quando non c’è possibilità di far pressione le cosche ricorrono all’omicidio.

E’ stata la fede a dargli la forza di non scendere a compromessi?

R. - Un uomo che tutte le mattine andava in chiesa per pregare e che poi svolgeva il proprio ruolo con tanto rigore era evidentemente un uomo che si staccava dal resto della magistratura e dal modo di esercitare la giurisdizione degli altri magistrati.

Livatino affermava che la giustizia deve essere superata dalla carità. Questo può essere un obiettivo per la giustizia di oggi?

R. - La carità rappresenta una forma di manifestazione di attenzione della magistratura nei confronti della società. Oggi, dopo l’esperienza ultra trentennale del contrasto alle mafie, la giustizia  distingue, in modo molto attento, tra coloro che possono essersi trovati occasionalmente a trattare con la criminalità organizzata e coloro che invece ne sono contigui. Ecco, coloro che sono entrati in contatto con la mafia solo occasionalmente, devono essere aiutati ad uscirne, a passare dalla parte sana della società. Questo è uno dei tanti esempi concreti di carità nato dagli stimoli di Livatino.

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23 dicembre 2020, 14:35