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La nuova Beata, Benedetta Bianchi Porro La nuova Beata, Benedetta Bianchi Porro

È Beata Benedetta Bianchi Porro, una vita che “sconcerta”

Provata fino alla fine dalla sofferenza, la giovane beatificata questa mattina nella cattedrale di Forlì, ha vissuto la malattia con coraggio, forza e serenità. Così la ricorda il cardinale Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla cerimonia in rappresentanza del Papa

Roberta Barbi – Città del Vaticano

Se fosse uno strumento, suonerebbe melodie celesti, se fosse una stella sarebbe la più brillante. E lo era, Benedetta Bianchi Porro, la giovane beatificata oggi, la cui vita, pur breve - morì a 28 anni il 23 gennaio del 1964 – era illuminata davvero dalla grazia. Ed è proprio come una grazia che viveva la sua malattia, ringraziando ogni giorno Dio che le aveva donato tutta quella sofferenza, che interpretava come un’offerta, affidandosi al Padre come Cristo sulla Croce, certa che la morte non sarebbe stata la fine, ma l’inizio della vita nella luce del cielo. Infatti, l’ultima parola che le sentiranno pronunciare con la sua ormai flebile voce, fu “grazie”, mentre nel giardino di casa fioriva una rosa. In pieno inverno. Non è un caso, infine, che salga agli onori degli altari proprio oggi, giorno in cui la Chiesa festeggia la solennità dell’Esaltazione della Croce.

L’infanzia felice della “zoppicona”

Era una bambina piena di vita, Benedetta, che viveva in una famiglia religiosa circondata dall’amore dei suoi genitori e dei cinque tra fratelli e sorelle. Nata a Dovadola, in provincia di Forlì, poco prima della Seconda Guerra Mondiale, ebbe il privilegio di crescere in campagna, dove la vita la stupiva ogni giorno e a ogni angolo, e dove il creato le riempiva di gioia gli occhi e il cuore. La sua salute aveva già dovuto subire una prima prova durante l’infanzia: la poliomielite, che le aveva lasciato una gamba più corta. Gli altri la chiamavano “la zoppetta” per prenderla in giro, ma lei non se ne curava: “Dicono la verità”, ribatteva con un sorriso, e poi rincarava la dose autodefinendosi “una zoppicona”. Ma nulla poteva turbare la sua gioia di vivere tra gli ulivi, le risate e le nuotate nel lago. “Era una ragazza normale – racconta il cardinale Angelo Becciu – non una ‘bigottona’. Amava leggere e leggeva di tutto. Dentro alla sua anima, di una sensibilità spirituale unica, avvertiva però un’ombra, che possiamo interpretare come una preparazione da parte di Dio di quello che le sarebbe accaduto”. (Ascolta l'intervista completa)

La dura realtà della malattia

Ha 13 anni Benedetta quando si accorge che qualcosa non va. Non sente più come prima. Nessuno, però, capisce il perché stia diventando, lentamente ma inesorabilmente, sorda. La sua vita e i suoi studi proseguono fino all’iscrizione all’università. Sceglie Medicina, e infatti sarà lei stessa a farsi la più terribile delle diagnosi: neurofibromatosi diffusa, che le sta distruggendo poco a poco. In breve tempo perde l’uso delle gambe, si riduce completamente a letto, è cieca e riesce appena a parlare. Ma il suo spirito, e soprattutto la sua fede, non si spezzano. “Un giorno non sentirò più gli altri, ma continuerò a sentire la voce della mia anima”, aveva detto, ma sentirà accanto anche la voce di Dio, sempre più vicino al chiamarla a sé. Inizia il Calvario delle operazioni chirurgiche, che però non la potranno sottrarre dalla prognosi infausta del suo male.

Il vero miracolo di Lourdes

“Vado ad attingere forza dalla Mamma celeste”. Così Benedetta scrive poco prima di andare a Lourdes. Ormai è quasi cieca, non riesce a rassegnarsi a questa sua nuova condizione di buio, ma il coraggio di andare avanti glielo dona la consapevolezza che presto vedrà una luce più forte. Accanto a lei, davanti alla grotta della Vergine, c’è una giovane in sedia a rotelle che non riesce a smettere di piangere, mentre prega per la propria condizione. Benedetta la abbraccia, la consola, le dice: “La Madonnina è lì che ti guarda”, e questa ragazza, poco dopo, si alza e cammina. “È il vero miracolo di Lourdes – spiega il porporato – si prega per gli altri e si gioisce per gli altri più che per se stessi”. Benedetta non è invidiosa, anzi, è felice di aver assistito a una guarigione miracolosa. Non si lamenta della propria fatica e del proprio dolore: sa che il motivo per cui deve viverlo risiede nel mistero di Dio, ed è onorata di essere legata a Cristo, pur nella croce.

Benedetta vede “la luce”

Qualche mese prima di tornare in cielo, Benedetta ha una visione che racconta a un’amica: una tomba vuota, inondata di luce, e al centro una rosa bianca. La visione si ripete altre due volte. Benedetta sa che la fine è vicina, ma non ha paura: ora ha la certezza che sarà per sempre accanto al Signore e che tutta quella sofferenza non sarà stata vana. Il mattino del 23 gennaio 1964, quella rosa bianca fiorisce nel giardino di casa mentre Benedetta, che ormai non parlava più, intona con la sua nuova voce celeste una vecchia canzone. Poi muore serena, rendendo grazie a tutti quelli che l’hanno sempre circondata e amata. “L’esempio di Benedetta deve far breccia in un mondo in cui dominano la pratica dell’eutanasia e la cultura dello scarto di cui parla spesso Papa Francesco – conclude il Prefetto - la sua vita è un messaggio di bellezza e ricchezza all’umanità; ricorda che la vita non è nostra, ma è un dono di Dio che va vissuto appieno fino in fondo”.   

Coraggio, forza, serenità: l’epistolario della nuova Beata

Sono tantissime le lettere che sono rimaste a testimonianza del coraggio, della forza e della serenità con cui Benedetta visse la propria vita, la propria malattia e la propria morte. Ma non ci sono solo le lettere che si scambiava con gli amici che non sempre potevano andare a visitarla: a dimostrare la grandezza di questa Santa ci sono anche le lettere che la madre e le sorelle corrispondevano ai tanti che le volevano bene e chiedevano notizie di lei, e le lettere scritte da familiari e amici dopo la sua morte. Una su tutte quella in cui la madre racconta a un’amica il proprio dolore: “Eppure, dopo ogni pianto sento qualcosa d’indefinito in me, un soffio, una pace, come se una finestra si fosse aperta per me nel cielo e io potessi guardare fin là serenamente”. È la luce, la luce interiore di Benedetta che finalmente sprigiona la sua potenza nel cielo.  

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Le lettere di Benedetta Bianchi Porro
14 settembre 2019, 07:00