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La resurrezione di Lazzaro La resurrezione di Lazzaro

Padre Martin: Gesù non ha paura dei nostri peccati, ci fa uscire dalla tomba

Dialogo con il gesuita statunitense autore di “Lazzaro vieni fuori”, volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana

Andrea Tornielli

Il gesuita statunitense James Martin è l’autore di “Lazzaro vieni fuori” (LEV) un libro dedicato alla figura di Lazzaro, fratello di Marta e Maria e amico di Gesù. Nella casa dei tre fratelli, a Betania Gesù soggiornava spesso. Quella della resurrezione di Lazzaro è la storia di un grande miracolo. Incontriamo padre Martin negli studi di Radio Vaticana - Vatican News.

Da dove nasce il suo interesse per Lazzaro? 

Ha avuto inizio con un regista italiano, Franco Zeffirelli, autore del film “Gesù di Nazareth”. Quando ero giovane, ho visto il suo famoso film, e una delle scene più drammatiche era proprio la resurrezione di Lazzaro. C'è l'inquadratura di un uomo che esce da una tomba e la musica dell'orchestra suona e tutti cadono in ginocchio. Mi ha fatto pensare chi è questa persona, chi è questo Lazzaro? Perché non so molto di lui? Chi sono queste sorelle che si avvicinano per essere così dirette e schiette con Gesù? Così ho iniziato una specie di ricerca lunga una vita per capire chi fosse quest'uomo.

Lei è stato nei luoghi dove gli eventi evangelici sono accaduti. Quanto è importante la consapevolezza del fatto che il Vangelo non è una teoria o un romanzo, ma è qualcosa che è accaduto in un periodo preciso della nostra storia, in un luogo preciso?

I teologi lo chiamano lo scandalo della particolarità: i vangeli sono accaduti in un'epoca particolare, in un luogo particolare e con persone particolari, e quando si va nei luoghi in cui si svolgono i passi del vangelo si comprende meglio la storia. Per me è stato molto importante andare alla tomba di Lazzaro ed è stata anche un'esperienza spirituale molto toccante la prima volta che l’ho visitata, a Betania. Sono sceso nella tomba, una cavità molto buia e umida. E ho pensato: “Cosa devo pregare qui?”. Ho usato un po' di contemplazione ignaziana e ho detto: “Posso pregare su quelle cose che voglio lasciare nella tomba”. Che tipo di cose mi rendono non libero, legato o schiavo? Come posso sentire la voce di Dio che mi invita a uscire all'aria aperta? Ho trovato questo molto potente. In seguito ho portato dei pellegrini in quello stesso luogo e li ho invitati a fare la stessa meditazione. Cosa possiamo lasciare dietro di noi nella tomba?

Molti di loro sono usciti piangendo. Così ho pensato che dovevo scrivere su questo argomento.

Quando si visita la Terra Santa una delle esperienze più toccanti è entrare nel Santo Sepolcro. La resurrezione di Gesù è un evento unico, era veramente uomo, ma era anche Dio. Quella resurrezione ci riguarda tutti perché noi crediamo che risorgeremo e vivremo in eterno. Nel caso di Lazzaro abbiamo invece il ritorno alla vita di un uomo che era morto da quattro giorni. Gesù gli ha dato una nuova possibilità di vita.

Quella di Lazzaro è una storia che sentiamo vicina. Riguarda uno di noi. Gesù ci chiama in ogni momento della giornata e ci chiede di uscire a nuova vita e di lasciarci alle spalle tutto ciò che non ci rende liberi. C’è un parallelo che indico nel mio libro e che credo provenga dal teologo Raymond Brown. Quando Gesù esce dal sepolcro la domenica di Pasqua, lascia i suoi abiti funerari e il suo sudario. Non ne avrà più bisogno. Quando Lazzaro esce dalla tomba, invece, indossa ancora bende e sudario. Ne avrà di nuovo bisogno perché morirà di nuovo.

Un’altra particolarità di questo miracolo è che noi conosciamo il nome del risorto, mentre non sappiamo come si chiamasse il figlio della vedova di Naim o della figlia di Giaro. Con Lazzaro sappiamo il suo nome, sappiamo chi fosse la sua famiglia e dove abitava. Che significato ha questo?

Gli studiosi del Nuovo Testamento dicono che quando conosciamo il nome di una persona al di fuori dei dodici apostoli, ciò significa che erano persone note alla Chiesa primitiva. È interessante che nel Vangelo di Luca ci siano storie di Marta e Maria che ospitano Gesù e i loro personaggi sono molto simili nel Vangelo di Luca. Marta è più attiva, Maria è più contemplativa. E nel Vangelo di Giovanni, quando ci viene raccontata la resurrezione di Lazzaro, Marta che cosa fa? Si precipita per prima a incontrare Gesù mentre Maria rimane a casa. Le loro personalità e i loro caratteri risplendono in entrambi i vangeli, un segno della loro storicità.

Un aspetto importante della spiritualità dei gesuiti, che vediamo riflesse anche nelle omelie di Papa Francesco, è l’immedesimazione nelle scene evangeliche...

Non siamo gli unici a pregare in questo modo. Si potrebbe dire che è iniziato con Francesco d'Assisi. Ed è fondamentale ammettere che Dio può lavorare attraverso la nostra immaginazione. Ci immaginiamo nel brano del Vangelo, preghiamo su di esso “vedendoci” parte della scena e considerando intuizioni, emozioni, ricordi, desideri, persino parole e frasi: questo è un modo che Dio ha di parlarci. Quando ero un novizio gesuita, il mio direttore spirituale mi disse: "Bene, ora ti insegnerò il modo di pregare dei gesuiti". E ha spiegato questo modo di immaginare sé stessi nelle Scritture. Ho risposto: “Non è che ti stai inventando le cose nella tua mente?”. Ero molto sospettoso. Lui mi ha detto: “Beh, lascia che ti faccia una domanda: Pensi che Dio operi attraverso i sacramenti? Che Dio operi attraverso la natura e la musica? Che Dio operi attraverso le relazioni?”. Ho risposto con convinzione “certo!” ad ogni domanda. Lui ha aggiunto: “E perché Dio allora non può lavorare attraverso la tua immaginazione?”. È un modo per incontrare Dio più da vicino. A volte dico che quando si ascolta un brano del Vangelo in chiesa, lo si sta già immaginando. Quando si ascolta una parabola, ad esempio quella del Figliol prodigo, ci si immagina come sarà il suo ritorno a casa. È molto naturale e molto umano. Dobbiamo rendere “nostro” il racconto evangelico. Così, quando io prego sulla storia di Lazzaro, potrebbe emergere qualcosa di diverso rispetto a quando tu preghi sulla storia di Lazzaro. La Parola di Dio è vivente, ci suggerisce cose diverse in momenti diversi della nostra vita. Di volta in volta possiamo immedesimarci con l’uno o con l’altro dei personaggi descritti nella scena.

L'immaginazione non è fantasia. Non stiamo facendo un volo con la mente. Abbiamo un testo preciso, delle parole precise. Una scena già descritta. Dobbiamo farla nostra, farla accadere per noi nel presente.

Sì e dobbiamo confidare che lo Spirito Santo è all'opera. È diverso da leggere un romanzo. Nella Bibbia lo Spirito Santo opera. Qualche anno fa stavamo dialogando con il cardinale Dolan nel suo programma radiofonico e lui ha raccontato di un'esperienza che ha avuto quando stava pregando sul presepe. Un direttore spirituale gesuita gli chiese di “entrarci dentro” con l'immaginazione, ed era la prima volta che lo faceva. Si è immaginato che Maria gli porgesse Gesù bambino e che lui lo prendesse in braccio. Gli detto: “Scommetto che la volta dopo, quando hai letto quel brano evangelico, ti sarà sembrato diverso”. E lui: “Esattamente così”. Questo cambia il nostro modo di incontrare il vangelo, lo personalizziamo attraverso lo Spirito.

Per questo motivo c’è bisogno di libri come quello che ha scritto? Un modo per riscoprire questo grande miracolo che è avvenuto. Una speranza per noi, per la nostra vita eterna?

Ci sono due modi di guardare a questa storia. Il primo è quello di credere che Gesù sia la resurrezione e la vita. Quindi una sorta di lettura teologica: credo che Gesù offra la vita alle persone e credo che offrirà la vita a me. Ma poi c'è una sorta di modo spirituale di leggerlo, cioè cosa significa nella mia vita quotidiana. Che cosa significa per me, nella mia vita quotidiana, questa storia accaduta 2000 anni fa? L’insegnamento è che tutto ciò che ci impedisce di ascoltare più liberamente la parola di Dio deve essere lasciato nel sepolcro per poter entrare nella nuova vita. In ogni momento della giornata c’è Dio che ci dice “Vieni fuori”.

Non ci sono situazioni, non ci sono peccati, non c'è corruzione nella quale siamo rinchiusi che siano impenetrabili alla grazia. Non esistono situazioni in cui lo sguardo di Gesù non possa cambiare qualcosa. È questo è il messaggio della pagina evangelica descritta nel libro?

Non c'è nulla di noi che puzzi e che Gesù non voglia guardare. Così, una delle parti più belle della storia, è quando Gesù arriva al sepolcro e dice: "Togliete la pietra". Marta dice: “Ci sarà puzza” e mi piace ricordare alle persone che ci sono tante cose in noi che pensiamo siano marce o puzzolenti o maleodoranti o qualsiasi parola vogliate usare. Ci vergogniamo di mostrarle a Gesù, ci vergogniamo di parlarne in preghiera. Ci vergogniamo a parlarne persino con i direttori spirituali o in confessione. Ma Gesù non ha paura di quella puzza. Non ha paura di togliere la pietra dai nostri sepolcri e di richiamarci alla vita.

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17 giugno 2024, 10:00