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Un'immagine realizzata dal telescopio spaziale Webb Un'immagine realizzata dal telescopio spaziale Webb 

All'origine dell'universo con il telescopio spaziale Webb

Una conferenza organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze in collaborazione con La Sapienza di Roma fa il punto sulle immagini realizzate dal più grande strumento di osservazione mai lanciato. Intervista all'astrofisico Roberto Maiolino: "Ci consente di vedere indietro come nessun altro telescopio ha consentito di fare fino ad adesso"

Michele Raviart - Città del Vaticano

Una macchina del tempo capace di fotografare le prime stelle, i primi buchi neri e le prime galassie che si sono formate poco dopo il Big Bang e di studiare le atmosfere dei pianeti più simili alla Terra. È quanto in grado di fare il telescopio spaziale James Webb, il più grande mai costruito, lanciato in orbita nel Natale del 2021 dalla NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e l’Agenzia Spaziale Canadese. Una conferenza dal titolo “L’Universo invisibile svelato dal telescopio spaziale James Webb”, organizzata in collaborazione tra la Pontificia accademia delle Scienze e l’Università La Sapienza di Roma, si svolgerà oggi 29 febbraio presso il dipartimento di Fisica dell'università romana, per fare il punto sui risultati e le scoperte realizzate finora grazie alle immagini del telescopio. Tra i relatori il professor Roberto Maiolino, dell’università di Cambridge, parte del team di scienziati che ha seguito il progetto fin dall'inizio.

Ascolta l'intervista al professor Roberto Maiolino

Professore, che cos’è il telescopio spaziale Webb?

È il telescopio spaziale più grande in orbita. È ottimizzato per osservare le bande infrarosse, che sono particolarmente utili per studiare certi fenomeni celesti e certe categorie di oggetti, ed è forse uno dei progetti più ambiziosi dell'astronomia mai sviluppati. Per dare un’idea, è costato dieci miliardi di dollari. Ora questo non è necessariamente indicativo di qualità, però dà un'idea dell'importanza che la comunità scientifica e astronomica ha dato a questo telescopio.

Che cosa permette di vedere?

Osservare nell’infrarosso è importante per una serie di studi astronomici estremamente importanti come ad esempio la rilevazione e la categorizzazione delle atmosfere dei pianeti in altri sistemi solari. Su questo il telescopio di Webb è e estremamente potente e consente di penetrare le nubi di polvere in cui sono avvolte le regioni in cui si formano le nuove stelle. Infatti il mare interstellare contiene una grande quantità di piccole particelle solide che noi chiamiamo polvere interstellare. Queste particelle, anche se estremamente piccole sono molto efficaci nell’assorbire la luce delle stelle, per cui spesso non riusciamo a vedere le regioni in cui si formano quelle nuove Queste particelle però diventano quasi trasparenti nell’infrarosso, che riesce a penetrare e vedere all’interno di queste nubi dense di polveri e quindi a vedere come si formano le nuove stelle, non solo nelle galassie vicine, ma anche nell'universo distante. A causa dell'espansione dell'universo, infatti, la luce che ci raggiunge viene dilatata in lunghezza d’onda, quindi la luce visibile delle stelle delle galassie lontane viene gradualmente spostata nell’infrarosso e questo effetto è tanto più forte tanto più distanti sono le galassie. Quindi se si vogliono vedere le prime generazioni di stelle, le prime galassie, i primi buchi neri è fondamentale osservare nell’infrarosso. Il telescopio Webb ha aumentato la nostra capacità di vedere oggetti deboli 100 mila volte in più dei precedenti telescopi disponibili e questo è fondamentale perché più distante sono questi oggetti, più sono deboli.

Uno degli aspetti più affascinanti del telescopio è che non permette solamente una visione nello spazio, ma anche nel tempo…

La luce ha una velocità finita. Il sole che vediamo adesso non è il solo che c’è in questo momento, ma è com'era circa 8 minuti fa perché il tempo che ha impiegato la luce ad arrivare dal sole. Le galassie più distanti che sono state osservato adesso sono a circa 300-400 milioni di anni dopo il Big Bang, che può sembrare tanto ma in realtà è un attimo nel contesto della vita di un universo se si considera che la vita dell’universo attuale è di oltre 13 miliardi di anni quindi stiamo parlando veramente dei primi istanti di vita dell’universo in cui si sono formate le primissime stelle, i primi buchi neri e le prime strutture cosmiche. Da questo punto di vista Webb è una fantastica macchina del tempo e ci consente di vedere indietro come nessun altro telescopio ha consentito di fare fino ad adesso.

Possiamo immaginare che cosa c'era ancora prima di questo tempo che a livello astronomico è molto breve? Che c'era prima del Big Bang?

Prima del Big Bang è una fase di cui si occupa la cosmologia e viene studiata attraverso altri strumenti. Noi in realtà stiamo studiando quello che è successo dopo il Big Bang. Con Webb stiamo cercando essenzialmente di trovare la formazione delle prime stelle. In questo lasso di tempo tra il Big Bang e la formazione delle prime stelle non è successo niente, sono quelle che chiamiamo le “dark ages”, l’epoca oscura, in cui essenzialmente c’era solo idrogeno e elio e solo la gravità stava in un qualche modo avendo un effetto, provocando il collasso della materia. Non c’era alcuna fruizione di luce finchè non si sono innescate le prime reazioni nucleari all’interno delle prime stelle che si sono formate in seguito al collasso dei primi nuclei di gas.

Un altro contributo di Webb è quello sullo studio dell’atmosfera degli esopianeti, quelli al di fuori del sistema solare. Qual è la situazione?

I pianeti che sono stati trovati, non da Webb, ma da altre missioni spaziali ed altri telescopi da terra, sono migliaia. La cosa su cui Webb si è focalizzato principalmente è la ricerca delle loro atmosfere con un enorme successo trovando evidenze di varie molecole, come acqua, anidride carbonica, metano. La cosa interessante è che inizialmente l’obiettivo era focalizzato su pianeti giganti, tipo Giove e Saturno, che sono in un qualche modo più facili da osservare perché la loro atmosfera è più spessa, ma ultimamente l’obiettivo più difficile è lo studio di atmosfere di pianeti più simili alla Terra e anche che si trovano nella cosiddetta “zona abitabile”, ovvero in orbite in cui la temperatura non è ne troppo alta ne troppo bassa e che consente l’esistenza di acqua allo stato liquido.

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29 febbraio 2024, 09:00