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Un momento del processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede (foto d'archivio) Un momento del processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede (foto d'archivio)  (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

Processo vaticano, la sentenza prevista il 16 dicembre

L’ottantacinquesima udienza del procedimento sulla gestione dei fondi della Santa Sede è stata dedicata alle controrepliche dei legali dei dieci imputati, che hanno confermato le richieste di assoluzione per i propri assistiti. Il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha annunciato che la sentenza sarà emessa nel pomeriggio di sabato

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La sentenza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del palazzo di Londra, aperto il 27 luglio 2021, sarà emessa tra le 16 e le 17 di sabato 16 dicembre, dopo alcune ore di camera di consiglio. Lo ha annunciato il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, nel corso della penultima, e ottantacinquesima, udienza del dibattimento, dedicata alle controrepliche delle difese dei dieci imputati. Legali che per quasi otto ore, hanno risposto alle affermazioni conclusive dell’Ufficio del promotore di Giustizia e delle parti civili. Nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani tutti gli avvocati hanno ribadito, con diversi accenti e contestazioni, la debolezza, a loro giudizio, dell’impianto accusatorio del promotore Alessandro Diddi e dei suoi aggiunti. E concluso confermando le richieste di assoluzione per i propri assistiti.

Il legale di Crasso: sui fondi investiti nessun vincolo di destinazione

A partire da Luigi Panella, difensore del finanziere Enrico Crasso, consulente della Segreteria di Stato, che dopo ripetuti riferimenti al Nuovo e all’Antico Testamento, ha dichiarato che il promotore, anche nella sua replica “ha cercato di piegare la realtà alla sua idea investigativa, cancellando e trasformando le lettere dei cardinali Tarcisio Bertone e Pietro Parolin a Credit Suisse Age, in tempi diversi, che chiarivano che sulle somme depositate nella banca svizzera non c’era alcun vincolo di destinazione, e quindi il sostituto della Segreteria di Stato poteva disporne sempre come voleva”. Il legale di Crasso ha sottolineato infine che l’accusa di corruzione è basata unicamente sulle testimonianze di Perugia e Milanese, che riferiscono parole sentite da altri.

I vertici dell’Aif “hanno rispettato la normativa”

A seguire è intervenuto il difensore di Renè Brüllhart, già presidente dell’AIF (Autorità di Informazione Finanziaria), Ugo Dinacci, che ha ribadito la difficoltà a capire quali siano le condotte di abuso di ufficio del suo assistito. L’unica supposta prova portata dall’accusa, per il legale, sarebbe la lettera di Tommaso Di Ruzza, già direttore dell’Aif (imputato) che autorizza il broker Gianluigi Torzi (altro imputato) a rappresentare la Santa Sede. Accanto a Dinacci, Angela Valente, avvocato di Di Ruzza, la quale ha dichiarato che i vertici dell’Aif hanno rispettato la normativa di settore. E sarebbe quindi falso che l'Authority avrebbe imposto allo Ior la scelta dell’investimento nel palazzo di Londra, in Sloane Avenue 60. “Hanno solo fatto presente allo Ior – ha detto Valente - che si stava occupando di compiti non suoi”.

Tirabassi, “il capro più espiatorio di tutti”

Successivamente ha preso la parola Cataldo Intrieri, legale di Fabrizio Tirabassi, ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, che ha parlato di “disperazione intellettuale” del promotore di Giustizia, che nella requisitoria di luglio ha dichiarato che nell’ideazione della presunta truffa alla Segreteria di Stato delle mille azioni con diritto di voto del contratto Spa per la gestione del palazzo di Londra “ha detto che non hanno partecipato né Crasso né Tirabassi, che si sarebbero fidati di Torzi, che aveva promesso di ricoprirli d’oro”. Ma nella replica di ieri Diddi ha affermato, secondo Intrieri, “che siccome lo statuto del fondo Gutt era stato mandato ad Andrea Crasso (figlio di Enrico, ndr) il 23 novembre 2018 lo ha sicuramente visto anche Tirabassi, ma a lui arriva il 27 novembre attraverso una mail di Nicola Squillace (legale di Torzi, ugualmente imputato)”. In un processo “di capri espiatori, il più capro è il mio cliente – ha proseguito il legale – lo scemo di turno che viene mandato a Londra a firmare da monsignor Alberto Perlasca (il responsabile dell’Ufficio amministrativo, testimone non imputato) che era responsabile dell’accordo con il broker Raffaele Mincione (altro imputato), e sapeva benissimo il prezzo dell’uscita di Mincione, 40 milioni di euro” .

I legali di Becciu: “Vittima di una campagna denigratoria”

Per Squillace è intervenuto il difensore Lorenzo Bertacco, che ha ribadito che quando la Segreteria di Stato ha pagato 15 milioni di euro a Torzi per recuperare il controllo del palazzo di Londra, “non c’è stata truffa, perché la Segreteria non era in condizione di errore. Sapeva benissimo cosa faceva”. Dopo di lui è stata la volta dei legali del cardinale Angelo Becciu, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, con il primo che nella replica del promotore ha detto di non aver trovato “elementi specifici contro le nostre osservazioni, ma solo caricature”. E ha spiegato che la difesa “ha provato come è entrato il cardinale nel processo, e invece il promotore ha parlato di campagna stampa del cardinale”, che in realtà “l’ha subita, e fortemente denigratoria”. Tutto sarebbe nato dall’interrogatorio di Perlasca, che da indagato è diventato testimone il 31 agosto 2020, al quale, per Viglione, “è stato fatto capire che la sua salvezza veniva solo dalla sottoscrizione del memoriale” nel quale accusa Becciu.

Il conto, “noto a tutti”, per i finanziamenti alla diocesi di Ozieri

Rispondendo punto su punto alla replica di Diddi, Viglione ha ricordato che il promotore, nel processo, continua ad invocare chat e registrazioni come prova, “ma in nessuna di queste c’è un accenno al cardinale Becciu”. Anche il testimone Alessandro Noceti, “che non si è potuto ascoltare, non ha contatti col cardinale, lo conferma la Gendarmeria”. Sui finanziamenti in Sardegna, il promotore - ha ricordato il legale - “dice che avremmo dovuto confrontarci col vescovo della diocesi di Ozieri, Sergio Pintor, che avrebbe denunciato la famiglia Becciu. Ma non esiste nessuna denuncia, e ora che è deceduto e non possiamo chiederglielo”. Dopo la sua rinuncia un altro vescovo, Sebastiano Sanguinetti, come amministratore apostolico ha chiesto il finanziamento e dopo di lui anche Corrado Melis, “ma il promotore fa riferimento solo a Pintor” che pure, a detta del successore, avrebbe lasciato la diocesi in grande disagio. Infine, il conto sul quale la Segreteria di Stato ha versato i finanziamenti “lo conoscevano tutti, non era segreto. Se il cardinale voleva darli al fratello, li poteva versare sul suo conto direttamente, ma non c’è traccia. O su quello della cooperativa Spes. E si è arrivati a dire che l’amministratore della Spes era lo stesso cardinale”.

Il legale di Torzi: “un’ingiustizia l’arresto durante le indagini”

Infine la legale Marzo ha sottolineato che nell’allora monsignor Becciu “non c’era consapevolezza di un vincolo di destinazione per quei fondi, e nemmeno Perlasca lo ha mai segnalato”. Nel concorso per peculato con Cecilia Marogna (altra imputata, solo i suoi legali non sono intervenuti per la controreplica), l’avvocato ha ribadito che, secondo logica, Becciu “per distrarre una somma a favore della Marogna avrebbe dovuto farlo quando era sostituto, e non doveva chiedere autorizzazioni al suo successore”. Il pomeriggio si è aperto con l’intervento di Marco Franco, difensore di Gianluigi Torzi, che ha ricordato l’arresto del suo assistito durate la fase istruttoria dopo otto ore di interrogatorio del promotore Diddi. “Palese ingiustizia – ha dichiarato – senza nessun controllo giurisdizionale previsto dal sistema giudiziario vaticano”. Franco ha contestato all’accusa di aver citato come prova dell’estorsione di Torzi alla Segreteria di Stato una memoria di Tirabassi, “che pura considera complice dell’estorsore, e lo considera attendibile quando denuncia l’estorsione del broker”. Ed ha concluso sostenendo che “non ci sono dubbi sul fatto che la Segreteria di Stato aveva promesso a Torzi di fargli gestire il palazzo di Londra”.

Carlino “vittima del reato di estorsione, ha contrastato Torzi”

È stata poi la volta di Salvino Mondello, legale di monsignor Mauro Carlino, già segretario del sostituto Becciu e inizialmente del successore, l’arcivescovo Edgar Peña Parra. Il legale ha parlato di “repliche evanescenti. In nessun caso Carlino - ha detto - ha concorso all’estorsione di Torzi, non c’è nessun comportamento causale. Non è mai andato a cena con Torzi, anche se è stato invitato”. Carlino per il suo difensore è stato la vittima del reato di estorsione, perché ha agito per contrastare le pretese del broker. Infine hanno preso la parola i legali di Raffaele Mincione, a partire da Giandomenico Caiazza, il quale ha sottolineato come “sia venuta meno la parabola dei mercanti nel tempio e l’assioma accusatorio della mancanza di precedenti di investimenti di questo tipo”.

“Mincione ha proposto un finanziamento che già la Segreteria faceva”

Il Credit lombard, per il difensore del finanziere, “dall’accusa è stato considerato come lo ‘sterco del diavolo’, e invece è una normale fonte di finanziamento”. Se un investitore come la Segreteria di Stato vuole investire su un fondo con diritto estero e lussemburghese, come l’Athena di Mincione, “deve conoscere quel diritto. La profilatura del cliente è stata fatta da Credit Suisse, che scrive alla Deutsche Bank, e dà garanzie sul cliente. E Credit Suisse garantisce che i fondi provengono da fonti legittime. Cosa doveva verificare ancora Mincione?”. Caiazza ha concluso chiedendosi “come sia possibile pensare che un soggetto che gestisce un fondo di diritto lussemburghese, super controllato, che opera secondo clausole contrattuali, possa porre in essere una condotta illecita”. Il collega Andrea Zappalà ha mostrato alcune slide con portafogli di investimenti che la Segreteria di Stato ha fatto su prodotti complessi e rischiosi. “Si diceva ieri, nella replica del promotore – ha sottolineato - che il problema era Goff, in fondo Athena di Mincione. E si diceva che in passato i fondi nei quali investiva la Segreteria erano solo bilanciati. No, nel 2009 erano anche fondi hedge, immobiliari e anche off shore”.

Sabato 16 dicembre dalle 11 l’ultima udienza e poi la sentenza

L’ultima udienza del processo, sabato 16 dicembre, inizierà alle 11 con una breve controreplica di un altro legale di Brüllhart, Filippo Dinacci, impossibilitato ad intervenire oggi per motivi di salute. Poi il Tribunale si riunirà in camera di consiglio, per emettere la sentenza tra le 16 e le 17.

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12 dicembre 2023, 19:54