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La sessione pomeridiana del 14 novembre del Convegno "Dimensione comunitaria della santità" La sessione pomeridiana del 14 novembre del Convegno "Dimensione comunitaria della santità"  (Vatican Media)

L’esperienza di santità in comunità, parrocchie e territori di missione

Quattro gli interventi della sessione pomeridiana della seconda giornata del convegno sulla "Dimensione comunitaria della santità", organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi all'Istituto Augustinianum di Roma. In apertura la relazione di monsignor Mignozzi, alla quale sono seguite le riflessioni di monsignor Andrea Celli sulla vita di fede nelle parrocchie, di madre Yvonne Reungoat sulla testimonianza di una missionaria e dei coniugi Miano sul cammino nell’Azione Cattolica

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Le “esperienze di santità che costruiscono comunione” è stato il tema al centro della relazione di monsignor Vito Mignozzi, preside della Facoltà Teologica Pugliese, sulla chiamata alla santità nella Chiesa particolare, che ha aperto la sessione pomeridiana del 14 novembre del convegno “Dimensione comunitaria della santità”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi. Iniziata ieri, la tre giorni si concluderà domani 15 novembre all'Istituto Patristico Augustinianum di Roma. La sessione del pomeriggio era moderata dal direttore de L'Osservatore Romano, Andrea Monda. 

Mignozzi, consultore teologo del Dicastero delle Cause dei Santi, che ha preso parte anche alla prima sessione del Sinodo dei Vescovi, ha precisato che se c’è “un’universalità della chiamata alla santità, la via della sua possibile realizzazione è quella che passa per il vissuto di ogni singola Chiesa particolare”, dove i fedeli, di ogni stato e condizione, sono chiamati da Dio, “ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste”. La santificazione, inoltre, è anche un cammino comunitario, ecclesiale, come si legge nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, tanto che, ricorda il Pontefice, “in varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri”. È il caso, ad esempio, dei sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, delle sette beate religiose del primo monastero della Visitazione di Maria, di San Paolo Miki e compagni martiri in Giappone, di Sant’Andrea Taegon e compagni martiri in Corea e dei beati monaci trappisti di Tibhirine.

Gli elementi che sostengono il cammino di santità

È la comunità ecclesiale particolare “che permette al singolo credente di incontrare Cristo per essere in Lui ed essere con Lui e con gli altri credenti una cosa sola”, ha rimarcato monsignor Mignozzi, aggiungendo che “un indubbio e singolare valore” è rivestito dall’Eucaristia, la quale “alimenta e sostiene il cammino dei credenti”. Un ruolo fondamentale rivestono la liturgia e la pietà popolare, che è “la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi”. Ma pure “le strutture ecclesiali, con le realizzazioni architettoniche degli stessi edifici di culto, sono al contempo custodia e narrazione di una storia di santità che ha impreziosito il volto di una Chiesa”, ha rilevato ancora Mignozzi, perché “i linguaggi della fede sono anche quelli dell’architettura delle chiese, dei gesti della ritualità cristiana, di tutte le tradizioni e di tutte le arti che compongono l’immenso immaginario collettivo cristiano”.

Dunque la vita di ogni Chiesa particolare ha “una trama di santità vissuta, che attraversa i tempi e caratterizza lo spazio, e sostiene il processo di trasmissione della fede e ne mostra possibili e feconde realizzazioni”. Si pensi ai cosiddetti santi sociali, accomunati da un forte impegno pragmatico, nell’aiuto ai poveri, ai deboli e ai bisognosi e che si concentrano in uno spazio ben connotato e in un tempo definito nella penisola italiana, tra loro San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giovani Bosco, San Giuseppe Cafasso, il Beato Giuseppe Allamano. Si tratta di esempi che provano come la chiamata alla santità costituisca “un locus teologale ed esistenziale in cui l’opera dello Spirito santificatore sostiene la vita in Cristo dei credenti - ha concluso il consultore teologo del Dicastero delle Cause dei Santi - radicandola in un preciso contesto e ponendola a servizio del Vangelo e delle sue molteplici forme di mediazione storica”.

Essere santi in parrocchia

La prima riflessione è stata quella di monsignor Andrea Celli, parroco, che, nel suo intervento, ha evidenziato come “la parrocchia può aiutare ad incarnare un percorso di santità”, ricordando, a tal proposito, che Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, chiarisce che la comunità è il luogo per sperimentare la presenza di Dio in modo speciale e vivere una santità comunitaria dell’amore vissuto nei piccoli dettagli. Ma occorre che la parrocchia si apra a tutti, perché “è casa di tutti”, ha sottolineato monsignor Celli, inoltre “è necessaria la preghiera, la meditazione della Parola di Dio e la vita sacramentale” e ancora “la carità intesa come aiuto e sostegno primario alle esigenze materiali di chi viene a chiedere aiuto, ma anche, una carità culturale rappresentata da una crescita sui temi della promozione della persona e dalla costruzione della civiltà dell’amore, in dialogo con la contemporaneità”. Dietro a tutto questo “ci sono volti, corpi, menti, anime di persone” che in pratica “impiegano tempo e risorse personali e familiari, ed è in queste “persone – piccole o grandi, sane o malate, credenti o meno credenti – che si cela una testimonianza feconda e generativa di vita evangelica e di santità” ha proseguito don Andrea. Ma è necessario che la parrocchia aiuti a vivere “una vita cristiana intessuta di relazioni personali con al centro Cristo”, che si renda “responsabile del cammino di santità di tutti nella condivisione piena di esperienze di vita e di fede”, perché possa “interpretare la cultura contemporanea con l’intelligenza della fede, per intercettare i bisogni, le preoccupazioni e le gioie degli altri, per costruire ponti di pace, amore e solidarietà”.

L’esempio di una missionaria nella selva amazzonica

Ha illustrato una diversa esperienza di santità madre Yvonne Reungoat, figlia di Maria Ausiliatrice, che ha parlato di una consorella missionaria nell’Amazzonia equatoriale vissuta nel secolo scorso, suor Maria Troncatti, la quale ha fatto fiorire comunione e la pace nella selva amazzonica dell’Ecuador. Capace di “farsi tutta a tutti” e di integrarsi nel territorio, la religiosa, ha saputo far germogliare tra le diverse etnie, “mediante l’educazione, e non solo, l’evangelica cultura dell’incontro, della fraternità, della pace e della vita”. Al fianco dei padri salesiani, l’obiettivo era educare “le nuove generazioni di etnie avversarie, facendole convivere serenamente nella scuola, nell’internato, nel cortile, facendole protagoniste di percorsi di educazione alla cultura dell’incontro, al riconoscimento e alla stima delle diverse culture. Pian piano, ma non senza difficoltà, ha raccontato madre Yvonne, “l’intera missione salesiana, con tutti i suoi componenti, divenne un vero laboratorio di comunione, un luogo in cui si viveva e si testimoniava il Vangelo del perdono e della fraternità”. In particolare, suor Maria “era la ‘madrecita’, era un punto di riferimento, e quando nel 1947 aprì a Sucúa anche un piccolo ospedale intitolato a Pio XII, la chiamarono la “dottora”. Quell’ospedale divenne la casa di tutti, il luogo di unione e di convivenza tra diverse etnie. Non era una realtà facile quella nella quale la religiosa si adoperò. Suor Maria cercava sempre di mettere pace, di insegnare a perdonare, e pregava incessantemente per quei popoli fra i quali Dio l’aveva voluta. Morì il 25 agosto in un incidente aereo e la sua scomparsa venne letta dalle etnie locali come un invito a vivere nella pace e nella fraternità.

L'Aula Magna dell'Augustinianum
L'Aula Magna dell'Augustinianum

La santità in una comunità religiosa

Madre Yvonne ha anche offerto una riflessione su come promuovere in una comunità religiosa la santità dei singoli membri, evidenziando che la crescita nella santità di ogni individuo “è fondamentale per costruire la comunione”. È importante, per questo, “creare un clima in cui si coltivano delle relazioni umane sane, dove si cura l’attenzione alle persone e dove si creano le condizioni per una vita spirituale profonda, condivisa, fondata sull’ascolto della Parola di Dio, sull’Eucaristia, sulla vita sacramentale”, nella certezza che “una comunità costruita sulla debolezza umana, consapevole della propria fragilità, cammina con fiducia e umiltà sui passi di Dio a prezzo di continue riconciliazioni e conversioni nella trama del quotidiano”. E se non sempre è facile tessere le relazioni, ha osservato la religiosa, l’essere orientati verso un unico scopo in un “ambiente caratterizzato da una profondità spirituale, dalla gioia e dalla fiducia reciproca, permette ad ogni persona di camminare verso la santità personalmente e insieme con tanti altri”.

Crescere nella fede in una associazione

A terminare la sessione pomeridiana sono stati i coniugi Giuseppina De Simone e Francesco Miano che hanno condiviso la loro esperienza nell’Azione Cattolica. I due docenti hanno definito il cammino nell’associazione una scuola di santità e hanno ribadito che la chiamata alla santità è per tutti, che ciascuno deve scoprire questa chiamata per rispondere, poi, nella propria vita, secondo la propria vocazione. Citando, quindi, la Prima Lettera ai Corinzi che invita “ad essere santi insieme”, i coniugi Miano hanno infine sottolineato che quella nell’Azione Cattolica è una santità di popolo dentro il popolo di Dio dove si sperimenta il valore del legame associativo.

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14 novembre 2023, 18:47