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Padre Radcliffe durante una delle meditazioni al ritiro presinodale a Sacrofano Padre Radcliffe durante una delle meditazioni al ritiro presinodale a Sacrofano 

La terza meditazione di padre Radcliffe

Mettiamo a disposizione il testo integrale della terza riflessione spirituale proposta ieri, 2 ottobre, dal frate domenicano ed ex maestro dell’Ordine dei Predicatori ai partecipanti all’assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, riuniti in ritiro alla “Fraterna Domus” di Sacrofano

Meditazione n. 3
"Amicizia"

La sera prima di morire, Gesù prega il Padre “perché siano una cosa sola, come noi” (Giovanni 17, 11). Ma, sin dall’inizio, in quasi tutti i documenti del Nuovo Testamento vediamo i discepoli che sono divisi, litigano, si scomunicano a vicenda. Siamo riuniti in questo sinodo perché anche noi siamo divisi e speriamo e preghiamo per l’unità dei cuori e delle menti. Deve essere questa la nostra preziosa testimonianza in un mondo lacerato dal conflitto e dalla disuguaglianza. Il Corpo di Cristo deve incarnare quella pace che Gesù ha promesso e che il mondo anela.

Ieri ho esaminato due fonti di divisione: le nostre speranze contrastanti e le nostre diverse visioni della Chiesa come casa. Ma non è necessario che queste tensioni ci allontanino: siamo portatori di una speranza oltre ogni speranza, e il Signore ci dice che nella casa spaziosa del Regno ci sono “molti posti” (Giovanni 14, 2). Naturalmente non tutte le speranze o opinioni sono legittime. Ma l’ortodossia è spaziosa e l’eresia è stretta. Il Signore conduce il suo gregge fuori dal piccolo recinto dell’ovile nei vasti pascoli della nostra fede. A Pasqua lo guiderà fuori dalla piccola stanza chiusa a chiave nella sconfinata vastità di Dio, l’“abbondanza di Dio” (1).

Ascoltiamolo dunque insieme. Ma come? Un vescovo tedesco si è preoccupato del “tono caustico” durante i loro dibattiti sinodali. Ha detto che si era trattato “più di uno scambio retorico di colpi verbali” che di un dibattito ordinato (2). Ovviamente i dibattiti razionali ordinati sono necessari. Da domenicano non potrei mai negare l’importanza della ragione! Ma se vogliamo andare oltre le nostre differenze serve altro. Il gregge si fida della voce del Signore perché è quella di un amico. Il presente sinodo sarà fecondo se poi condurrà dentro un’amicizia più profonda con il Signore e tra di noi.

La sera prima di morire, Gesù si rivolge ai discepoli che stanno per tradirlo, negarlo e abbandonarlo dicendo: “vi ho chiamati amici” (Giovanni 15, 15). Veniamo abbracciati dall’amicizia salvifica di Dio, che schiude le porte delle prigioni che creiamo a noi stessi. “Dio invisibile […] nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, n. 2). Egli ha aperto la via verso l’amicizia eterna della Trinità. Questa amicizia è stata offerta ai suoi discepoli, ai pubblicani e alle prostitute, ai dottori della legge e agli stranieri. È stato il primo assaggio del Regno.

Sia l’Antico Testamento sia la Grecia e la Roma classiche consideravano tali amicizie impossibili. L’amicizia esisteva solo tra i buoni. L’amicizia con i cattivi era ritenuta impossibile. Come dice il Salmo 26, “Odio l'alleanza dei malvagi, non mi associo con gli empi” (Salmi 26, 5). I cattivi non hanno amicizie, poiché collaborano solo per azioni cattive. Ma il nostro Dio è sempre stato incline alle amicizie sconvolgenti. Ha amato Giacobbe, l’imbroglione, Davide, l’assassino e adultero, e Salomone, l’idolatra.

Inoltre, l’amicizia era possibile solo tra pari. Ma la grazia ci eleva nell’amicizia divina. L’aquinate afferma solus Deus deificat, solo Dio può renderci divini. Oggi è la festa degli Angeli Custodi, che sono segno dell’amicizia unica che Dio ha con ciascuno di noi. Il Santo Padre nella festa degli Angeli Custodi ha detto “nessuno cammina da solo e nessuno di noi può pensare che è solo” (3). Mentre siamo in cammino, ognuno di noi è avvolto dall’amicizia divina.

Predicare il vangelo non è mai semplicemente comunicare informazioni. È un atto di amicizia. Cento anni fa, Vincent McNabb, OP, ha detto “ama quelli a cui predichi. Se non lo fai, non predicare. Predica a te stesso”. Di san Domenico si dice che fosse amato da tutti perché amava tutti. Santa Caterina da Siena era circondata da una cerchia di amici: uomini e donne, laici e religiosi. Erano conosciuti come i Caterinati, la gente di Caterina. San Martino de Porres è spesso raffigurato con un gatto, un cane e un topo che mangiano dallo stesso piatto. Una bella immagine della vita religiosa!

Non c’erano amicizie facili tra gli uomini e le donne dell’Antico Testamento. Il Regno ha fatto irruzione con Gesù circondato dai suoi amici, uomini e donne. Ancora oggi, molti dubitano che sia possibile un’amicizia innocente tra uomo e donna. Gli uomini temono accuse; le donne temono la violenza maschile; i giovani temono gli abusi. Dovremmo incarnare la spaziosa amicizia di Dio.

Dunque, predichiamo il vangelo attraverso amicizie che travalicano i confini. Dio ha superato la divisione tra Creatore e creatura. Quali amicizie impossibili possiamo fare? Quando il beato Pierre Claverie è stato ordinato vescovo di Oran, in Algeria, nel 1981, ha detto ai suoi amici musulmani “devo anche a voi quello che sono oggi. Con voi, imparando arabo, ho imparato soprattutto a parlare e a comprendere la lingua del cuore, la lingua dell’amicizia fraterna, dove razze e religioni entrano in comunione tra loro… Perché ritengo che questa amicizia provenga da Dio e conduca a Dio” (4). Notate bene: è stata l’amicizia a renderlo quel che era!

È per la sua amicizia che è stato assassinato dai terroristi, insieme a un giovane amico musulmano, Mohammed Bouckichi. Dopo la sua beatificazione è stata messa in scena un’opera teatrale, Pierre et Mohamet. La madre di Mohamed ha assistito a quell’opera sulla morte del figlio e ha baciato l’attore che lo ha interpretato.

La buona notizia che i giovani attendono di sentire da noi è che Dio va loro incontro in amicizia. È qui l’amicizia che desiderano e che vanno cercando su Instagram o TikTok. Quando ero adolescente, ho fatto amicizia con dei sacerdoti cattolici. Con loro ho scoperto la gioia della fede. Ahimè, la crisi degli abusi sessuali ha reso queste amicizie sospette. Più che un peccato sessuale, è un peccato contro l’amicizia. Il girone più profondo nell’ Inferno di Dante era riservato a quanti tradiscono l’amicizia.

Pertanto, le fondamenta di tutto ciò che faremo in questo sinodo dovrebbero essere le amicizie che allacciamo. Non sembra troppo. Non darà vita a grossi titoli nei media. “Sono venuti fino a Roma per fare amicizia! Che spreco!”. Ma è attraverso l’amicizia che compiamo il passaggio da “io” a “noi” (IL A. 1. 25). Senza di essa non realizzeremo nulla. Quando l’arcivescovo anglicano di Canterbury Rober Runice incontrò san Giovanni Paolo II, rimase deluso perché sembrava non era stato compiuto alcun progresso verso l’unità. Ma il Papa gli disse di avere fiducia. “La collegialità affettiva precede la collegialità effettiva”.

L’Instrumentum laboris parla della solitudine di molti sacerdoti e del loro “bisogno di cura, amicizia e sostegno” (B. 2. 4., b). Al centro della vocazione sacerdotale c’è l’arte dell’amicizia. È questa l’amicizia eterna, paritaria, del nostro Dio Uno e Trino. Allora tutto il veleno del clericalismo si dissolverà. Anche la vocazione della genitorialità può essere solitaria e ha bisogno di amicizie che la sostengano.

L’amicizia è un compito creativo. In inglese diciamo che cadiamo innamorati ma facciamo amicizia.  Dopo la parabola del buon Samaritano, Gesù chiede ai dottori della legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?” (Luca 10, 36). Dice ai discepoli che devono fare amicizia riferendosi al disonesto mammona (Luca 16, 9). Nel sinodo abbiamo il compito creativo di fare amicizie improbabili, specialmente con persone con le quali siamo in disaccordo. Se pensate che io stia dicendo stupidaggini, venite e fate amicizia con me!

Potrebbe sembrare terribile! Immaginate che avanzo minacciosamente verso di voi, ferocemente determinato a diventare vostro amico. Vorrete scappare! Ma il fondamento dell’amicizia è semplicemente stare gli uni con gli altri. È il piacere della presenza altrui. Gesù invita la cerchia più intima, Pietro, Giacomo e Giovanni, a stare con lui sul monte, così come saranno con lui nell’orto del Getsemani. Dopo l’Ascensione essi cercano qualcuno per sostituire Giuda, qualcuno che sia stato con il Signore e con loro. Pietro dice che deve essere uno “tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo” (Atti 1, 21-22). Il paradiso sarà semplicemente essere con il Signore. Per quattro volte durante l’Eucaristia sentiamo le parole “Il Signore sia con voi”. È questa l’amicizia divina. Suor Wendy Becket ha descritto la preghiera come “essere indifesi alla presenza del Signore”. Non occorre dire altro.

Nel suo libro sull’amicizia spirituale, sant’Aelredo di Rievaulx, abate cistercense del XII secolo, scrisse: “Eccoci qua, tu ed io, e spero che Cristo faccia da terzo con noi. Nessuno può interromperci ora… Quindi vieni, caro amico, rivela il tuo cuore e di’ ciò che pensi”. Avremo il coraggio di dire ciò che pensiamo?

Nei Capitoli generali domenicani, naturalmente, discutiamo e prendiamo decisioni. Ma preghiamo e mangiamo anche insieme, andiamo a fare passeggiate, beviamo qualcosa e ci svaghiamo. Ci facciamo reciprocamente dono del bene più importante, il nostro tempo. Costruiamo una vita comune. Allora nascono amicizie improbabili. Idealmente dovremmo farlo anche durante queste tre settimane del sinodo invece di percorrere vie separate alla fine della giornata. Speriamo che ciò sia possibile durante la prossima sessione di questo sinodo.

L’amore creativo di Dio ci dà spazio. Herbert McCabe, OP, ha scritto: “La potenza di Dio è soprattutto la potenza di lasciar essere le cose. ‘Sia la luce’ – la potenza creatrice è solo quella potenza che, poiché risulta nel fatto che le cose sono come che sono, che le persone sono quel che sono, non può interferire con le creature. Ovviamente il creare non fa alcuna differenza per le cose, le lascia essere se stesse. La creazione è soltanto e semplicemente lasciare che le cose siano, e il nostro amore ne è una fievole immagine” (5).

Spesso non servono parole. Una giovane donna algerina di nome Yasmina ha lasciato un biglietto vicino al luogo del martirio di Pierre Claverie. Sopra vi ha scritto: “questa sera, Padre, non ho parole. Ma ho lacrime e speranza” (6).

Se staremo insieme in questo modo, ci vedremo gli uni gli altri come se fosse la prima volta. Quando Gesù cena dal fariseo Simone, una donna, probabilmente la prostituta locale, entra e, piangendo, gli lava i piedi con le sue lacrime. Simone è sconvolto. Gesù non vede forse chi è quella donna? Ma Gesù risponde, “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli” (Luca 7, 44).

Israele aveva anelato di vedere il volto di Dio. Per secoli aveva cantato “fa’ risplendere il tuo volto e noi saremo salvi” (Salmi 80, 8). Ma era impossibile vedere Dio e vivere. Israele anelava a ciò che era insostenibile, la visione del volto di Dio. In Gesù questo volto è stato rivelato. I pastori hanno potuto vederlo come bambino addormentato nella mangiatoia e vivere. Il volto di Dio è diventato visibile, ma a morire è stato Dio, chiudendo gli occhi su una croce.

Nella seconda preghiera eucaristica preghiamo perché i defunti siano ammessi alla luce del volto di Dio. L’Incarnazione è la visibilità di Dio. Un antico teologo, probabilmente sant’Agostino, immagina un dialogo tra Dio e il buon ladrone morto insieme a Gesù. Dice “non ho fatto studi particolari della Scrittura. Sono stato un ladro a tempo pieno. Ma a un certo punto, nel mio dolore e isolamento, ho trovato Gesù che mi guardava e, nel suo sguardo, ho compreso tutto” (7).

In questo tempo tra la prima e la seconda venuta di Cristo noi dobbiamo essere quel volto gli uni per gli altri. Vediamo coloro che sono invisibili e sorridiamo a quanti provano vergogna. Un domenicano statunitense, Brian Pierce, ha visitato una mostra fotografica sui bambini di strada di Lima, in Perù. Sotto la foto di un ragazzino c’era la didascalia: “Saben que existo pero no me ven”. Sanno che esisto, però non mi vedono. Sanno che esisto come problema, come seccatura, come statistica, ma non mi vedono!

In Sudafrica, un saluto diffuso è “sawabona”, ossia “ti vedo”. Milioni di persone si sentono invisibili. Nessuno le guarda con considerazione. Spesso ci sono persone tentate a commettere atti di violenza semplicemente perché la gente le veda! Guardate, sono qui! È preferibile essere visti come nemici che non essere visti affatto.

Thomas Merton è entrato a far parte della vita religiosa perché voleva fuggire dalla cattiveria del mondo. Ma pochi anni di vita cistercense gli hanno aperto gli occhi alla bellezza e alla bontà delle persone. Un giorno, per strada, gli è caduto come un velo dagli occhi. Nel suo diario ha scritto: “Allora fu come se all’improvviso vedessi la bellezza segreta dei loro cuori, la profondità dei loro cuori, dove né il peccato né il desiderio né la conoscenza di sé possono arrivare, il centro del loro essere, la persona che ognuno è agli occhi di Dio. Se solo potessero vedersi come realmente sono. Se solo potessimo vederci sempre in quel modo. Non ci sarebbero più guerra, più odio, più avidità” (8).

Il nostro mondo ha fame di amicizia, ma è sovvertito da tendenze distruttive: la crescita del populismo, dove le persone sono unite da narrative semplicistiche, slogan facili e cecità della massa. E c’è un acuto individualismo, che significa che tutto ciò che ho è la mia storia. Terry Eegleton ha scritto: “i viaggi non sono più comuni, ma confezionati su misura, più simili all’autostop che a un viaggio in autobus. Non sono più prodotti di massa, ma per la maggior parte vengono affrontati da soli. Il mondo ha smesso di essere modellato da storie, il che significa che puoi costituire la tua vita man mano che vai avanti” (9). Ma la “mia storia” è la nostra storia, la storia del vangelo, che può essere raccontata in modi meravigliosamente diversi.

Un’ultima breve considerazione. C.S. Lewis ha detto che gli amanti si guardano l’un l’altro mentre gli amici guardano nella stessa direzione. Possono non essere d’accordo, ma perlomeno condividono alcune delle stesse domande. Cito: “Ti interessa la stessa verità?”. La persona che è d’accordo con noi sul fatto che alcune questioni, poco considerate da altri, possono essere di grande importanza, può essere nostro amico. Non deve necessariamente essere d’accordo con noi sulla risposta (10).   

La cosa più coraggiosa che possiamo fare in questo sinodo è essere sinceri tra di noi riguardo ai nostri dubbi e alle nostre domande, quelle per le quali non abbiamo risposte chiare. Allora ci avvicineremo come compagni di ricerca, mendicanti della verità. Nel Monsignor Chisciotte di Graham Greene, un sacerdote cattolico spagnolo e un sindaco comunista fanno una vacanza insieme. Un giorno si raccontano i loro dubbi. Il sacerdote dice: “è curioso come condividere un senso di dubbio possa unire gli uomini forse anche più del condividere una fede. Il credente lotterà con un altro credente per una sfumatura di differenza; chi dubita lotta solo con se stesso” (11).

Nel suo dialogo con il Rabbino Skorka, Papa Francesco ha detto: “le grandi guide del popolo di Dio sono state uomini che hanno lasciato spazio al dubbio, e chi vuole guidare il popolo di Dio deve lasciare spazio al Signore: per questo deve farsi piccolo, fare l’intima esperienza del non sapere come agire. Così si fa spazio a Dio e alla sua azione. Quindi, farsi piccolo, recedere in sé stessi con il dubbio, l’esperienza interiore dell’oscurità, del non sapere che cosa fare, tutto ciò in ultimo è molto purificante. La cattiva guida è quella che è sicura di sé, ostinata. Una delle caratteristiche di una cattiva guida è di essere eccessivamente normativa per via della sua sicurezza di sé” (cfr. On Heaven and Earth, p. 52).

Se non c’è una preoccupazione comune per la verità, allora che base c’è per l’amicizia? L’amicizia è difficile nella nostra società, in parte perché la società o ha perso la fiducia nella verità, o altrimenti è attaccata a ristrette verità fondamentaliste che non si possono discutere. Solženicyn ha detto “una parola di verità pesa più dell’intero mondo” (13). Uno dei miei confratelli sull’autobus ha ascoltato il discorso di due donne sedute davanti a lui. Una si lamentava per le sofferenze che doveva sopportare. L’altra le ha detto: “Mia cara, devi prenderle con filosofia”. “Che cosa significa ‘con filosofia’?”. “Significa non pensarci”.

L’amicizia prospera quando abbiamo il coraggio di condividere i nostri dubbi e cercare insieme la verità. A che cosa serve parlare con persone che sanno già tutto o sono completamente d’accordo? Ma come possiamo farlo? È questo il tema della conferenza.

Note:

(1) l’uso più antico è riscontrato in Thomas Becon (1512/13-1567)
(2) “The Tablet”, Christa Pontgratz-Lippitt, 20 marzo 2023
(3) Papa Francesco, Meditazione mattutina nella Cappella Sanctae Marthae, 2 ottobre 2014).
(4) Cardinale Murphy O’Connor, A Life poured out, p. VIII
(5) Goog Matters, Darton, Longman and Todd, London, 1987, p. 108
(6) Paul Murray, OP, Scars: Essays, poems and meditations on affliction, Bloomsbury, 2014, p. 47)
(7) citato da Paul Murray, OP, Scars, p. 143.
(8) citato da Willam H. Shannon, Seeds of Peace: Contemplation and non-violence, New York, 1996, p. 63
(9) Terry Eagleton, “What’s Your Story?”, in London Review of Books, February 16, 2023 https://www.lrb.co.uk/the-paper/v45/n04/terry-eagleton/what-s-your-story
(10)p. 66
(11) Monsignor Quixote.  New York:  Penguin Classics [1982] 2008, pg. 41.
(12) Bergoglio, Jorge Mario and Abraham Skorka.  On Heaven and Earth.  New York:  Image [2010] 2013, p. 52, citato in Marc Bosco, SJ ‘Colouring Catholicism: Greene in the Age of Pope Francis’.
(13) Discorso al conferimento del premio Nobel 1970, “Una parola di verità”

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03 ottobre 2023, 12:03