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Madre Ignazia Angelini Madre Ignazia Angelini

Ritiro sinodale, l'introduzione alla Messa del 3 ottobre

Pubblichiamo l'introduzione alla Messa di oggi di madre Ignazia Angelini al raduno spirituale al quale stanno partecipando i membri, i delegati fraterni e gli inviati speciali del Sinodo dei vescovi alla Fraterna Domus di Sacrofano

Madre Ignazia Angelini

Come fece quando dal roveto ardente sull’Oreb chiamò Mosè, esule pastore bruciato dal deserto (Es 3,1ss.), così anche oggi il Signore Dio fa udire la sua Parola dal cuore dell’Eucaristia (Eb 12,18-24). Alla luce di quella consegna ultima di Gesù, questa parola sprigiona anche per l’oggi della Chiesa la sua forza creatrice, schiude una visione sapiente. Anche oggi per questa Assemblea, anche in questa vigilia. Al tempo stesso, il Vangelo “cresce” nel calarsi in ogni coscienza umana che l’accoglie – anche in questi giorni di ritiro ormai al termine.

Il Vangelo oggi proclamato nella celebrazione eucaristica dice di una svolta radicale: dopo il ministero in Galilea – la cosiddetta “primavera galilaica” – dagli esiti controversi, Gesù prende la ferma decisione del grande viaggio verso Gerusalemme. Risolutezza scolpita sul volto e insieme mitissima pazienza (Lc 9,51-55) e i discepoli ne sono marchiati a fuoco. A quel fuoco ci apriamo anche su di noi, alla sua luce, massimamente generativa per il cammino sinodale.

Siamo al principio del viaggio decisivo, paradigma per il cammino di tutti i discepoli. Già profetizzato dagli innumerabili itinerari del popolo di Dio instancabilmente chiamato ad uscire per tornare al Signore (prima lettura). Tuttavia, su questo solco antico, con la sua decisione di Figlio amato e amante, Gesù inaugura uno stile di cammino, neppure oggi scontato. Chiede ascolto instancabile e profondo.

Gesù decide di salire verso la città santa e il suo volto si fa duro come pietra. E Luca conferisce rilievo focale a questa decisione. IL riferimento alla direzione del cammino rimane costantemente sullo sfondo e struttura la ricca sequenza di incontri e insegnamenti di Gesù, per via. Inizia il tempo di un’attenzione privilegiata, itinerante, ai discepoli. Lui decide il cammino, e manda avanti i suoi (finora lo seguivano, ora devono andare da soli). E questo tratto ci riguarda da vicino.

Volto di pietra. Non un irrigidimento muscolare, tantomeno rigidezza autocratica, ma segno dell’intensità della passione che lo lega al Padre fin da fanciullo (Lc 2,49). Come il balzo di partenza di un atleta. Da grande agonista, Gesù si concentra sul percorso che l’avvicina ormai al traguardo (Eb 12,1-3). Non senza i suoi.

Sofferta via per Gerusalemme. Infatti, quel viaggio a proposito del quale Gesù ha tentato di istruire i suoi discepoli con i precedenti due annunci della sua passione (Lc 9,22. 43-45), impone condizioni molto severe per giungere a destinazione (24,36-52): la sequela di Gesù mai – in nessuna sua tappa – si aggiunge alla vita di prima, ma esige di scegliere sempre di nuovo la via “altra”, sulle sue orme.

Subito il cammino intrapreso inciampa in un ostacolo, un villaggio di Samaritani, non a caso; e subito l’ostacolo mette in evidenza la persistente – eppure feconda – divergenza tra Gesù e i discepoli.

“Vuoi che invochiamo un fuoco dal cielo e li consumi?” (9,54), dicono i più zelanti Giacomo e Giovanni. È il loro modo per impegnarsi decisamente nella causa. Ma totalmente altro è il senso della durezza del volto di Gesù. Subito, dalla prima tappa, emerge il difetto di sintonia tra Gesù e i seguaci (già prima, al secondo annuncio della passione, si era puntualmente verificato nei termini di un blocco nelle comunicazioni: 9,44-45). Lo seguono: ma non sanno dove egli va, e – per ora – non vogliono quello che egli vuole. Eppure lo seguono.

Una variante testuale inserisce qui parole di fuoco di Gesù per Giacomo e Giovanni: “Non sapete di che spirito siete. Il Figlio dell’uomo è venuto non per perdere le vite degli uomini ma per salvarle” (come dirà a Gerico, in Lc 19,10). Al momento essi, alle prese coi loro pensieri, non capiscono. Eppure lo seguono. Fino a che lo Spirito col soffio del Risorto, li invaderà (Gv 20,22).

La qualità della conversione di mentalità che la sequela di Gesù chiede – annunciata dal suo volto rivolto a Gerusalemme - è radicale, mai scontata, neppure tra i suoi più intimi collaboratori. È un processo inarrestabile, tra gli eventi, sospinto dallo Spirito. Per via ci sono perdite su cui non si può rimanere impigliati. Un processo non privo d'intoppi e di equivoci, che anche il cammino sinodale conosce bene. È il senso anche della preghiera sinodale “Adsumus”, no? Lì la chiesa si riconosce in stato di conversione permanente.

Nella narrazione di Luca, l’incontro coi samaritani dà il tono, e mille risonanze s’irradiano nella storia delle comunità cristiane, delle prime e fino ad oggi. Samaria, il luogo dei sorprendenti incontri. A un primo impatto, sulla testimonianza della donna samaritana seppe accogliere Gesù (Gv 4,1-30.41-42). Ora lo rifiuta. Ed è proprio a partire da questo rifiuto (accostato al rifiuto dei suoi in Galilea) che Gesù capisce quale figura dovrà assumere il suo cammino verso Gerusalemme. Una sorta di capovolgimento di stile messianico. Davvero un capovolgimento? O il compimento della profezia antica? Pensiamo all’indurimento del volto di Geremia, di Ezechiele. Sorprendentemente avverrà – dopo il martirio di Stefano (At 8,1) – che la Samaria sarà la prima tappa dell’annuncio apostolico in uscita (8,4-8). È lo stile del Vangelo, che Gesù dall’inizio ha cercato di suggerire ai suoi, e che vuole imprimere oggi, Il volto segnato, scolpito, dai luoghi del cuore, dai rifiuti e dalla passione d’amore.

Inizia dunque qui, in Lc 9,51 un’avventura di fede il cui stile – celebrato nell’Eucaristia e interiorizzato – tocca fino al profondo questo nostro cammino sinodale. La qualità umana e cristiana dell’appartenenza ecclesiale chiede oggi – come già in principio (1Gv 1,1; 2,24; 3,11) – un deciso ridimensionamento, un radicale ripensamento della nostra postura nella missione. Liberare lo sguardo da ogni impazienza e attivismo imprenditoriale, da tante pretese, da ogni risentimento e spirito di rappresaglia. Il volto fermo non va confuso con la determinazione di procedere a qualunque costo nel proprio progetto, ma è ispirato dalla passione di desiderio che attira verso il compimento della volontà del Padre. Che è incondizionata misericordia. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato” (Gv 6,39).

Con umiltà e mitezza di cuore è scolpita la durezza di quel volto, che il prosieguo del cammino rivelerà compiutamente. Senza pietra su cui posare il capo, senza uscite di sicurezza. Ciò che qui e oggi ci accomuna sinodalmente è – possiamo dirlo? - lo sguardo fisso su Gesù, volto umano del Dio fedele, Pietra di fondamento e Sorgente zampillante nel deserto. Sguardo che riconfigura la visione degli altri, della storia, del mondo. Fondata speranza.

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03 ottobre 2023, 18:16