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La predica di Quaresima del cardinale Cantalamessa La predica di Quaresima del cardinale Cantalamessa

Cantalamessa: quel genuino senso del sacro

Il cardinale predicatore della Casa pontificia ha tenuto la quarta meditazione di Quaresima, alla presenza del Papa e della Curia Romana. Al centro della riflessione, ciò che è necessario per accostarsi a Dio: "Prima ancora di credere che egli esiste, bisogna avere almeno il 'sentore' della sua esistenza"

L’Osservatore Romano

La liturgia è il punto di arrivo, ciò a cui tende l’evangelizzazione: ruota intorno a questa realtà la riflessione del cardinale Raniero Cantalamessa, per la quarta predica di Quaresima, tenuta stamane, venerdì 24, nell’Aula Paolo vi, alla presenza del Papa.

Nella parabola evangelica, ha spiegato il predicatore della Casa Pontificia, i servitori «sono inviati per le strade e i crocicchi per invitare tutti al banchetto». La Chiesa è «la sala del banchetto e l’Eucarestia “il pasto del Signore” (1 Cor 11, 20) in essa preparato».

Partendo della parole «credere che egli esiste» tratte dalla Lettera agli Ebrei (11, 6), il porporato cappuccino ha sottolineato che ciò è necessario per accostarsi a Dio. Prima ancora, però, di credere che egli esiste, bisogna «avere almeno il “sentore” della sua esistenza». Questo è ciò che si chiama «senso del sacro». Se esso venisse a mancare del tutto, ha aggiunto, verrebbe meno «il terreno stesso, o il clima, in cui sboccia l’atto di fede».  I giovani, più di tutti, ha fatto notare il predicatore, avvertono il «bisogno di essere trasportati fuori dalla banalità del quotidiano, di evadere, e hanno inventato dei modi loro propri di soddisfare questo bisogno». È stato osservato da studiosi della psicologia di massa che i giovani che partecipavano ai concerti rock «erano trasportati fuori dal loro mondo quotidiano e proiettati in una dimensione che dava loro l’impressione di qualcosa di trascendente e di sacro».

Non diversamente avviene oggi, ha commentato Cantalamessa, per quanti partecipano ai mega-raduni di cantanti e complessi. In effetti, «il fatto di essere in tanti e di vibrare all’unisono con una massa amplifica all’infinito la propria emozione». Si ha il sentimento «di far parte di una realtà diversa, superiore, che dà luogo a una sorta di “devozione”». Il termine “fan”, abbreviazione di fanatico, ha osservato, è il corrispettivo secolarizzato di “devoto”. La qualifica di “idoli” data «ai beniamini ha una profonda corrispondenza con la realtà».

Questi raduni di massa possono avere «il loro valore artistico e veicolare talora messaggi nobili e positivi, come la pace e l’amore». Sono liturgie «nel senso originario e profano del termine, cioè spettacoli offerti al pubblico, per dovere, o per ottenerne il favore». Non hanno però nulla a che vedere «con l’autentica esperienza del sacro». Nel titolo “Divina liturgia”, ha evidenziato il predicatore, «l’aggettivo divina è stato aggiunto proprio per distinguerla dalle liturgie umane. C'è una differenza qualitativa tra le due cose». A tal proposito, ha invitato a vedere attraverso quali mezzi la Chiesa può essere «per gli uomini d’oggi, il luogo privilegiato di una vera esperienza di Dio e del trascendente».

La prima occasione a cui si pensa, «anche per la somiglianza esterna, sono i grandi raduni promossi dalle varie Chiese cristiane», come le giornate mondiali della gioventù o i congressi, i convegni e le convocazioni, a cui prendono parte decine di migliaia di persone nel mondo. Non si conta il numero di persone «per le quali tali eventi sono stati l’occasione di un’esperienza forte di Dio e l’inizio di un rapporto nuovo con Cristo».

Quello che fa la differenza tra questo tipo di incontri di massa e gli altri è che qui «il protagonista non è una personalità umana, ma Dio». Il senso del sacro che in essi «si sperimenta è l’unico veramente genuino, e non un suo surrogato, perché suscitato dal Santo dei Santi, e non da un “idolo”».

Questi, tuttavia, ha aggiunto, «sono eventi straordinari, ai quali non tutti e non sempre possono partecipare». L’occasione per eccellenza e più comune, «per un’esperienza del sacro nella Chiesa, è la liturgia». Che «si è trasformata, in poco tempo, da azione a forte impronta sacrale e sacerdotale, in azione più comunitaria e partecipata, dove tutto il popolo di Dio ha la sua parte, ognuno con il proprio ministero». Nell’evoluzione della Chiesa intesa come popolo, «avviene qualcosa di simile a ciò che avviene con la Chiesa intesa come edificio». Si pensi, ha detto, ad alcune basiliche e cattedrali: «quante trasformazioni architettoniche nel corso dei secoli per rispondere ai bisogni e ai gusti di ogni epoca». Ma è sempre la stessa Chiesa, «dedicata allo stesso santo». Se c’è una tendenza generale in atto, è quella «di riportare tali edifici, quando ciò è possibile, alla loro struttura» originaria.

La stessa tendenza è in atto per la Chiesa «come popolo di Dio e in particolare per la sua liturgia». Il concilio Vaticano ii «ne è stato un momento decisivo, ma non l’inizio assoluto. Esso ha raccolto i frutti di tanto lavoro precedente». All’inizio della Chiesa e per i primi tre secoli, la liturgia è davvero  azione del popolo, infatti, «laos, popolo, è tra le componenti etimologiche di leitourgia». Da san Giustino, dalla Traditio Apostolica di sant’Ippolito e altre fonti, ha fatto notare Cantalamessa, «ricaviamo una visione della messa certamente più vicina a quella riformata di oggi». Che cosa è avvenuto, si è chiesto?. La risposta è «in una parola che non possiamo evitare: clericalizzazione! In nessun altro ambito essa ha agito più vistosamente che nella liturgia». Il culto cristiano, e in particolare il sacrificio eucaristico, «si trasformò rapidamente da azione del popolo in azione del clero». Per secoli, ha concluso, «la parte centrale della Messa, il canone, era pronunciato in latino dal sacerdote, a bassa voce, dietro una cortina o un muro, quasi un tempio nel tempio, fuori della vista e dell’ascolto del popolo».

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24 marzo 2023, 13:00