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L'arcivescovo maggiore di di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina L'arcivescovo maggiore di di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina

Shevchuk: la guerra non ferma il Natale. Smettetela di ucciderci, per iniziare la pace

Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina ripercorre coi giornalisti in missione con le Ambasciate di Polonia e Ucraina presso la Santa Sede gli ultimi dieci mesi: dal fuoco che scendeva dal cielo, alla cucina in costruzione sotto casa sua per garantire pasti caldi alla gente senza elettricità. Spiega poi come sono nati i suoi videomessaggi e come si celebrerà il Natale nel Paese in guerra: "Molta gente andrà al fronte per festeggiare con i nostri soldati la gioia natalizia"

Salvatore Cernuzio – Inviato a Kyiv (Ucraina)

“Arrestare le azioni militari, smettete di ucciderci, questo sarà il primo passo per una pace autentica e duratura. La pace è qualcosa di più profondo dell’assenza della guerra. Non si tratta solo di vincere nella guerra, bensì di vincere lo spirito stesso della guerra, vincerla nelle sue cause”.

Mentre pronuncia questo ennesimo accorato appello per l’Ucraina e la sua gente, sulla libreria alle spalle dell’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, ci sono un elmetto e un giubbotto antiproiettile. “Sentite quanto pesano... Prima li mettevamo tutti i giorni. Qualcuno scherzava: sono i nuovi paramenti liturgici!”, dice il capo della Chiesa greco cattolica ucraina ai giornalisti in missione con le Ambasciate presso la Santa Sede di Polonia e Ucraina che accoglie in Arcivescovado con biscotti e caffè.

Ascolta un estratto dell'intervista all'arcivescovo Shevhchuk

La gioia del Natale

Molto è cambiato da quei primi terribili giorni di fine febbraio dell’aggressione russa all’Ucraina in cui, dice Shevchuk indicando una finestra, “da lì si vedeva scendere una pioggia di fuoco”. Lui stesso era rifugiato con centinaia di persone nella cripta della Cattedrale della Resurrezione. Oggi parla più rilassato. Il suo pensiero è soprattutto al Natale che arriva: “Abbiamo l’usanza di cantare canti natalizi ai vicini, soprattutto i più bisognosi, per condividere la gioia e gli auguri. Tutti ora domandano: ci sarà la gioia natalizia, sarà lecito cantare o dobbiamo stare zitti e piangere? Ho detto sì e sì, Natale ci sarà. Abbiamo il diritto di festeggiare la gioia natalizia che non viene dal divertimento profano, ma dal Cielo perché nascerà il Principe della Pace”.

L'arcivescovo Shevchuk a colloquio coi giornalisti
L'arcivescovo Shevchuk a colloquio coi giornalisti

Festa al fronte e nei rifugi

Questi festeggiamenti arriveranno fino al fronte. Ci sarà infatti qualcuno che canterà per i soldati impegnati sulla linea dei combattimenti, annuncia Shevchuk. “Nei tempi sovietici – rammenta - i canti natalizi erano una forma di protesta contro il regime ateo comunista. La gente cantava per vincere ansie e tristezze. I canti sono espressione della fede cristiana, sono una catechesi che canta la nascita di Gesù. Molti perciò si preparano per andare a cantare coi nostri soldati al confine. So che diversi studenti si stanno organizzando”. La stessa festa si terrà in ogni rifugio antiaereo e in ogni casa di accoglienza: “Festeggeremo il Natale al freddo e al buio. Questo ci farà sperimentare sulla nostra pelle la storia della Sacra famiglia, anch’essa al freddo e al buio ma con la gioia celeste”.

Non abituarsi

È dunque un messaggio di speranza quello che il leader greco-cattolico vuole diffondere in un momento in cui in Ucraina gli attacchi sembrano essersi diradati e molte città sono state liberate. “Sì, ma bisogna fare attenzione. Quando si sente l’allarme antiaereo, non ci si fa più caso. Ciò dimostra che il pericolo non diminuisce ma la gente psicologicamente si abitua. È un rischio, perché abbiamo ora il fenomeno dei missili. Possono cadere ovunque, a Kyiv come a Leopoli. Non c’è posto sicuro in Ucraina”.

L'emergenza freddo

Di fronte all’eventualità, tuttavia, è più urgente far fronte alle emergenze. E la prima al momento per l’Ucraina in guerra è il freddo e l’impossibilità di riscaldarsi a causa degli sbalzi di corrente e dell’elettricità da razionare. “Il freddo è il motivo della quinta ondata di sfollati interni”, spiega Shevchuk. “Dall’inizio della guerra, prima gli oligarchi prendevano i soldi e scappavano, poi coloro che, coi propri mezzi, si aiutavano da soli e trovavano hotel e altri posti e ancora la gente senza niente che fuggiva a mani vuote. Penso alla famiglia della città di Boryspil' che ha percorso 23 km scalza di notte, insieme ai bambini. Infine, c’è stata una quarta ondata di profughi che non si allontanavano troppo, ma cercavano il primo villaggio e aspettavano il momento per tornare a casa. Ora la nuova ondata, la quinta: i profughi termici che fuggono non dalla guerra ma dal freddo e affollano l’Ucraina centro-orientale”.

Una cucina sotto casa dell'arcivescovo

“Non eravamo preparati al fenomeno di non avere elettricità e di aver bisogno di sfamare tante persone”, dice Shevchuk. “Abbiamo preso subito provvedimenti per costruire cucine in modo da offrire pasti caldi”. Una cucina verrà costruita proprio sotto casa sua: “Sarà pronta tra qualche giorno, dobbiamo organizzare la logistica della distribuzione del cibo. Come Chiesa non possiamo pensare di sfamare tutti, ma cerchiamo di ricevere tutti quelli che possiamo. È la nostra pastorale”. Una pastorale della vicinanza.

Uno dei videomessaggi di Shevchuk durante questi mesi di guerra
Uno dei videomessaggi di Shevchuk durante questi mesi di guerra

I videomessaggi giornalieri

È proprio la vicinanza a spingere Shevchuk, ogni giorno dal 24 febbraio scorso, a produrre un videomessaggio diffuso sul web. Un’iniziativa impegnativa, di cui il capo della Chiesa greco-cattolica spiega l’origine: “Il primo giorno erano tutti disorientati, si vedevano elicotteri russi e fuoco dal cielo, tutto il mondo ha cominciato a chiamarmi: siete in vita? Dove state? Cosa fate? Non sapevo cosa dire: non so se sarò in vita tra due ore, pensavo. Allora ho detto al segretario: facciamo un messaggio per confermare che siamo vivi. Ho capito che con questi messaggi potevo aiutare la gente a razionalizzare la paura e parlare della speranza che viene dalla fede. Dopo 2-3 settimane mi sono domandato: vale la pena? Un giorno, poi, sono andato nella città martoriata di Žytomyr e in una parrocchia una vecchietta si è avvicinata per dirmi: ‘Viviamo nel terrore costante, siamo impauriti, è bene che ci parli’. ‘Ma, signora, non so cosa dirvi più!’. ‘Non importa cosa dice, importa che ci parli’. Allora ho capito che anche se non saprò più cosa dire, è importante che la gente senta la voce della propria Chiesa che la accompagna”.

Sviatoslav Shevchuk
Sviatoslav Shevchuk

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11 dicembre 2022, 09:27