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Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede 

Processo vaticano, ancora al centro le indagini della Gendarmeria

Nuovo esame di circa sette ore al commissario Stefano De Santis da parte del Promotore di Giustizia Diddi, delle parti civili e delle difese: dalla distrazione dei fondi vaticani andati a Cecilia Marogna alle pretese di Torzi

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

La vicenda della manager sarda, Cecilia Marogna, che si sarebbe appropriata indebitamente dei soldi forniti dal Vaticano per un’operazione umanitaria, è tornata al centro del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede. La ventinovesima udienza, celebrata tra mattina e pomeriggio nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, è stata dedicata interamente alla seconda (ma non ultima) parte dell’interrogatorio a Stefano De Santis, commissario del Corpo della Gendarmeria. In uniforme, giurando sul Vangelo, il dirigente ha risposto come testimone dell’accusa per circa 7 ore alle domande del promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, delle parti civili e delle difese.

L'incontro a casa del cardinale Becciu 

Subito De Santis è tornato alla questione, affrontata già nell’interrogatorio di ieri, dell’incontro del 3 ottobre 2020 tra il cardinale Angelo Becciu e il comandante del Corpo della Gendarmeria, Gianluca Gauzzi Broccoletti, a casa del porporato. Presente al colloquio, De Santis diceva che l’incontro fu organizzato da Becciu, ma il cardinale in una dichiarazione spontanea ha spiegato invece di essere stato contattato da Gauzzi tramite sms che diceva di volerlo incontrare per chiarire alcune questioni a voce. L’incontro doveva rimanere segreto, stando a quanto riferito ieri dal cardinale, ma De Santis ha smentito questa versione, affermando che allora non vide “il cardinale stupito o sorpreso” di ricevere i due vertici della Gendarmeria, cosa che faceva intuire “che fosse un incontro concordato”.

“Mai abbiamo detto al cardinale che quell’incontro doveva essere segreto, mai! Un comandante che raggiunge casa di un cardinale poteva essere circostanza nota di lì a poco in Vaticano dove anche i sampietrini sanno ciò che succede”, ha detto il commissario.

I soldi a Cecilia Marogna

In quell’occasione, Becciu sarebbe stato informato della distrazione di 575 mila euro da parte della Marogna e si propose di rifondere la Segreteria di Stato, venendo bloccato però da Gauzzi che disse che era lui il truffato e non il truffatore. Più nel dettaglio, De Santis ha spiegato che nell’appartamento del cardinale non si fece riferimento alle attività di Marogna per liberare una suora rapita in Mali ma si parlò del fatto che la Marogna stesse “depredando” i soldi della Santa Sede per acquistare beni di lusso. La Gendarmeria, ha detto De Santis, ne aveva avuto contezza “dopo i primi accertamenti svolti su conti correnti e grazie alla disamina delle chat”. “Quando siamo andati dal cardinale, già sapevamo con certezza che Becciu fosse informato”, ha assicurato il teste. Il cardinale afferma invece di essere venuto a conoscenza della circostanza proprio durante l’incontro con Gauzzi e De Santis. Secondo il dirigente della Gendarmeria, “Becciu non era stupito del fatto che Marogna avesse depredato i soldi... Quando io e Gauzzi diciamo ‘Eminenza, faccia attenzione a questa persona a lei vicina’ non ci chiese come, perché, ma era esclusivamente turbato che il nome potesse emergere perché poteva essere un danno per lui e i familiari”. A supporto di queste sue affermazioni, De Santis ha citato la memoria di monsignor Alberto Pelasca, in cui l’ex responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato affermava che Becciu aveva apostrofato con epiteti poco gentili i magistrati che indagavano sulla donna. Su questo e altri punti si è opposto l’avvocato del cardinale, Fabio Viglione.

La registrazione all'Hotel Bvlgari 

“Di interesse investigativo” per la Gendarmeria anche la registrazione audio del colloquio all’Hotel Bulgari tra il broker Gianluigi Torzi, l’ex dipendente vaticano Fabrizio Tirabassi ed Enrico Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato. Quest’ultimo aveva registrato di nascosto la conversazione, in base alla quale i gendarmi hanno potuto ipotizzare “la condotta” dei tre imputati, in particolare la “condotta delittuosa” di Torzi, al quale la Segreteria di Stato dovette versare 15 milioni di sterline per fargli cedere le mille azioni con diritto di voto che gli garantivano il pieno controllo dell’immobile di Londra. Una vera e propria estorsione, secondo l’accusa. “Nella registrazione si sentono interlocuzioni molto dure, con Torzi che richiede in modo forte i soldi a Tirabassi. Soldi ‘dovuti’, a suo dire, perché si parla di favori scambiati precedentemente”. Più volte il testimone ha ripetuto che la Gendarmeria non riesce a spiegarsi il motivo per cui “si è dovuto triangolare attraverso Torzi un’operazione che spettava al Gruppo Mincione e alla Segreteria di Stato”.

L'appunto di Parolin

Sul muro dell’aula è stato proiettato, infine, un appunto inviato a fine maggio 2020 al promotore di Giustizia emerito, Gian Piero Milano, firmato dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e dal sostituto, monsignor Edgar Peña Parra. Nel documento si parlava di presunte offerte presentate alla Santa Sede per acquistare il palazzo di Londra, un anno dopo che la Segreteria di Stato se ne era riappropriata. Da Parolin, spiegava lo stesso cardinale, si erano presentati Giancarlo Innocenzi Botti, ex parlamentare di Forza Italia e sottosegretario alla comunicazione del governo Berlusconi, e Giovanni Castellaneta, ex ambasciatore italiano a Washington. Entrambi si offrivano per trovare acquirenti per l’immobile. De Santis, interpellato da Diddi, ha detto che “non c’era nulla di vero” su ciò che venne riferito a Parolin e che dietro a quell’incontro c’erano Becciu e Marco Simeon, “nome noto” in ambienti vaticani, che sarà escusso domani. Dell’appunto era stato chiesto conto anche a Becciu nel suo interrogatorio del 18 maggio scorso. L’ipotesi accusatoria è che la proposta di acquisto, pari a oltre 330 milioni di euro, da parte della famosa società Bizzi & Partners era una manovra di Gianluigi Torzi per riappropriarsi dell’immobile. Ipotesi corroborata dal fatto che lo stesso giorno si era costituita una società con due soci collegati al broker.

Perlasca e la coop di Como

Più volte nell’interrogatorio è tornato il nome di monsignor Perlasca. Una volta in riferimento alla coop Simpatia di Como dedita al sostegno degli anziani, dove sarebbe ricoverato anche il padre del monsignore. Alla cooperativa la Segreteria di Stato avrebbe erogato contributi pari a 60 mila euro in 2-3 anni.

I bonifici a Ozieri

In tema di coop si è tornati sulla questione dei bonifici di Becciu alla cooperativa sarda Spes, intestata al fratello Tonino: due da 100 mila euro e uno di 25 mila con una generica causale di “sussidio”. Questi soldi, ha ricostruito il testimone, sarebbero confluiti su un “conto promiscuo” della Caritas della diocesi di Ozieri e della Spes; due giorni dopo sarebbero stati versati 23.900 euro per un altro conto Spes “commerciale” per acquistare un macchinario. A ottobre la stessa fattura sarebbe stata rimborsata per intero da un’altra società, la Gal Logudoro. Dopo quindici giorni sarebbe stato emesso un assegno la cui beneficiaria era Maria Luisa Zambrano, che De Santis ha descritto come “nipote” di Becciu. Quando nell’incontro del 3 ottobre si affrontò il tema, il cardinale, ha detto il commissario, “non comprendeva l’iniziativa dei magistrati” di indagare sulla vicenda. “Per lui era fare del bene ad una cooperativa che faceva del bene”.

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13 ottobre 2022, 18:30