Cerca

 Papa Francesco riceve nel marzo 2020 il professor Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Papa Francesco riceve nel marzo 2020 il professor Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore 

60 anni di Medicina alla Cattolica. Anelli: dare senso e rimedio alla malattia

Questa mattina il Papa celebrerà al Policlinico Gemelli di Roma la Messa per l'anniversario dell'inaugurazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Per il rettore Franco Anelli "un modo per raccoglierci intorno ai valori dell'Ateneo in tempo di pandemia e ribadire l'importanza del rapporto tra medico e paziente"

Michele Raviart - Città del Vaticano

Rispetto del paziente come persona senza rinunciare alla ricerca e alla tecnologia. Questo l’approccio che ha da sempre guidato la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nata nel 1961 da un’intuizione di padre Agostino Gemelli. Sessant'anni che saranno ricordati questa mattina da Papa Francesco, nella messa che presiederà al Policlinico Gemelli. Il rettore dell’Università,il professor Franco Anelli, che accoglierà il Pontefice, racconta a Vatican News l’attesa per questo evento particolarmente significativo a quasi due anni dall’inizio della pandemia.

Ascolta l'intervista a Franco Anelli

Rettore Anelli, come si vive all'Università Cattolica l'attesa di questa visita di Papa Francesco?

Ci stiamo preparando con grande aspettativa. Il Santo Padre verrà a celebrare una Messa ed è un momento importante, non solo per la celebrazione, ma perché offre l'opportunità di fermarsi un momento tutti quanti e raccogliersi intorno alla parola di Papa Francesco. Sperando che il tempo ci assista, abbiamo predisposto per la celebrazione della Messa il piazzale che è di fronte agli istituti biologici, quindi potranno assistere numerose persone, noi immaginiamo circa duemila. Sarà un modo per riconoscerci, per riunirci in un'occasione importante e non soltanto per il ricordo di una giornata assai significativa, quella di 60 anni fa alla presenza di San Giovanni XXIII. Sarà un'occasione di incontro molto importante, soprattutto dopo il periodo che abbiamo trascorso. Credo che sia il più grande evento corale degli ultimi anni, che possiamo svolgere in sicurezza perché abbiamo osservato tutte le precauzioni e perché le persone hanno fatto in modo di proteggersi dalla pandemia e vogliono tornare a stare insieme. E' un modo di raccogliersi intorno ai nostri valori.

Che rapporto è stato, quello della facoltà di Medicina con i Papi?

Se si vanno a vedere i discorsi fatti in occasione dell'inaugurazione - c'erano un Papa regnante e uno che sarebbe salito al soglio subito dopo perché era presente anche l'allora cardinale Giovanni Battista Montini - è stato un rapporto di costante attenzione e presenza. Già nell'occasione di quella celebrazione, tutti colsero e furono subito consapevoli del significato ideale che aveva la costituzione di una Facoltà di Medicina nella Cattolica. Significava essere testimoni di un approccio alla pratica medica, alla ricerca scientifica in campo medico, all'educazione e alla pratica che fossero ispirate e conformate dai valori che ci caratterizzano. C'è una frase di Montini in cui dice che il malato nel nostro ospedale va a ricercare "senso e rimedio" alla sua malattia. Ora, il rimedio lo si cerca in tutti gli ospedali, andare a cercare un senso alla malattia, che è il grande interrogativo che hanno tutte le persone quando si ammalano, beh questo forse è un po' più caratteristico di un ospedale cattolico.

Senza poi dimenticare la figura di padre Gemelli da cui nasce questa intuizione...

Certamente, lui è un medico. Si è laureato in medicina a Pavia in un contesto di ricerca scientifica idealmente positivista. Era uno psicologo e a un certo punto coglie e avverte in maniera molto forte la dimensione relazionale della pratica medica, nel senso del rapporto con il malato, e vuole che il medico che si forma al Gemelli sia testimone di questo approccio. E' uno dei pionieri dell'approccio scientifico ai temi psicologici.

In questi 60 anni, come si sono relazionati questi valori con la ricerca medica e l'innovazione?

Certamente la medicina è enormemente cambiata nel corso del tempo e vi è la necessità di un costante ripensamento e ridefinizione del ruolo del medico come uomo e della relazione tra questo e il paziente come relazione intersoggettiva. E' molto facile scivolare in una deriva molto orientata alla cura e alla medicina come tecnica, intesa non solo come tecnologia meccanica - oggi ci sono tecnologie di grandissima raffinatezza e sofisticazione - ma anche come approccio procedimentale stereotipato e formale alla cura. L'umanizzazione della medicina richiede un recupero forte della dimensione del ruolo del medico non solo come soggetto che applica un protocollo o aziona degli strumenti tecnologici o somministra dei farmaci particolarmente avanzati, ma che sul piano dell'agire professionale anzitutto recupera l'approccio alla integrità della persona del malato rispetto ad una specializzazione, utilissima, talvolta inevitabilmente salvifica, ma che porta a una parcellizzazione dell'approccio e quindi qualche volta a vedere le singole malattie piuttosto che il complesso del quadro clinico. Questa è una questione eminentemente tecnica di approccio al malato, che trova una soluzione anche nella predisposizione di modelli appositi di organizzazione dell'ospedale, che portino una pluralità di competenze simultaneamente attorno al malato stesso, ma dall'altro lato con la necessità sempre di ricordare la persona del malato, al quale non ci si può accostare semplicemente dedicando attenzione ai risultati degli esami clinici o della diagnostica per immagini, e quindi bisogna ricordarsi che quelle radiografie, quell'insieme di numeri, di proiezioni informatiche rappresentano una persona umana.

Questo approccio è poi richiesto anche nella formazione di quelli che saranno i futuri medici e gli studenti appunto della Facoltà. Ad esempio tra i testi che vengono richiesti per l'ammissione, c'è anche la Laudato si', con il suo sviluppo umano integrale...

La formazione delle persone non viene soltanto dai testi che si affidano loro come guida, ma deriva dal clima, dall'aria che respirano quotidianamente, dall'esempio che ricevono i docenti. Questo è particolarmente vero in una Facoltà di Medicina in cui la didattica, soprattutto negli anni di corso più avanzati, non si fa mettendo una cattedra tra il docente e gli studenti, ma all'interno dell'ospedale, quindi in modo ancora più vivo con la forma dell'esempio. In occasione di una visita che è stata fatta dalla nostra Università, il Santo Padre disse che bisogna insegnare con l'esempio e solo se necessario con le parole. Qualche volta non è possibile, direi che nelle medicine invece l'occasione c'è.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

05 novembre 2021, 06:49