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Un gruppo di rifugiati iracheni Un gruppo di rifugiati iracheni

Di Giovanni: per i rifugiati leggi e politiche non discriminatorie

La sottosegretaria per il Settore multilaterale della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato è intervenuta al 72.mo Comitato esecutivo del Programma Onu per i rifugiati, in programma a Ginevra. Un pensiero agli afghani perché in patria o nei Paesi di accoglienza "possano vivere con dignità"

Isabella Piro – Città del Vaticano

“Una crisi di solidarietà”, una sfida “pressante” per i nostri giorni, una sfida che interpella “la nostra coscienza come famiglia di nazioni”: con queste parole Francesca Di Giovanni definisce la questione dei rifugiati, ricordando che “in molte regioni del mondo, milioni di loro non possono godere dei diritti fondamentali” e ribadendo che “i Paesi ospitanti non hanno ricevuto un sostegno adeguato”. Alcune nazioni, infatti, hanno attuato una “strategia di esternalizzazione” che la sottosegretaria bolla come “insostenibile”, perché “evita la responsabilità diretta di grandi flussi di migranti e rifugiati attraverso accordi che li fermano, spesso a tempo indeterminato, in punti strategici del loro viaggio”. Al contrario, i Paesi dovrebbero “cercare strategie che impegnino tutti come partner uguali”, così come previsto dal Global Compact for Refugees che, mette in guardia Di Giovanni, “avrà successo solo se otterrà la necessaria volontà politica”.

Aprire corridoi umanitari per i più vulnerabili

Azioni “concrete e significative”, dunque, sono quelle auspicate dalla Santa Sede, il che significa concedere visti umanitari in modo “efficiente, giudizioso e generoso”; aprire “corridoi umanitari per i più vulnerabili” e “garantire il ricongiungimento familiare”. Al contempo, la capo delegazione della Santa Sede lancia un appello ad “affrontare le cause di conflitti e instabilità, in modo che le persone possano rimanere in pace e sicurezza nei loro Paesi d'origine”. Un pensiero, in particolare, Di Giovanni lo rivolge all’Afghanistan, dove ad agosto sono tornati al potere i talebani, con conseguenze difficili per la popolazione: facendo eco all’appello di Papa Francesco lanciato all’Angelus del 5 settembre, si auspica dunque che “tutti gli afghani, sia in patria, sia in transito, sia nei Paesi di accoglienza, possano vivere con dignità, in pace e fraternità coi loro vicini”.

Allentare sanzioni economiche, aggravano crisi umanitarie

È “essenziale”, dunque, offrire “protezione e accoglienza sicure”, anche perché in certe situazioni “le crisi umanitarie sono aggravate da sanzioni economiche” le quali finiscono per colpire i più vulnerabili della popolazione. La Santa Sede “comprende le ragioni di imporre sanzioni – afferma Di Giovanni – ma non le considera efficaci e spera che vengano allentate”. Un ulteriore motivo di preoccupazione il sottosegretario lo indica nel crescente impatto che il cambiamento climatico e i disastri naturali hanno sullo sfollamento forzato. Ciò richiede “una conversione e un’azione più radicale”, spiega, perché “la crisi climatica ha un volto umano” e non si può ignorare “la sofferenza” che accompagna la storia di ogni persona.

Assistenza sanitaria sia fondata su diritto alla vita per tutti

Forte, poi, l’appello alla “necessità di proteggere il diritto alla salute”, in particolare per i rifugiati, i migranti, le donne e i bambini, categorie “particolarmente a rischio”. Non si può permettere, incalza Di Giovanni, che “l'ideologia determini l'accesso all'assistenza sanitaria o lo condizioni all'accettazione di concetti di salute che non hanno il consenso internazionale o che violano la dignità umana e ignorano il credo religioso”. Piuttosto, l'accesso all'assistenza sanitaria deve essere garantito attraverso “leggi e politiche non discriminatorie e complete, incentrate sul bene di ogni persona umana e fondate sul diritto alla vita per tutti, dal concepimento alla morte naturale”.

Senza fraternità, non c’è giustizia

L’intervento di Francesca Di Giovanni si chiude con il richiamo ad “una maggiore consapevolezza della nostra fraternità”, perché tutti condividiamo “la responsabilità di occuparci dei nostri fratelli e sorelle, specialmente quelli la cui vita e libertà sono minacciate a causa della razza, della religione, della nazionalità, della persecuzione politica o dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale”. “Senza questa fraternità – conclude la sottosegretaria - è impossibile costruire una società giusta e una pace solida e duratura”.

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05 ottobre 2021, 12:32