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Giornata Mondiale vocazioni: chiamati ad un vero sì

Nella 57.ma Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, che cade in piena emergenza coronavirus, il Superiore dei missionari saveriani e un giovane seminarista commentano il Messaggio di Papa Francesco scritto per l’occasione. Essere profetici e pieni di fiducia in Dio è la loro risposta ad un sì pronunciato con forza anche nei momenti più difficili

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Nel mezzo di una pandemia, nel dolore delle perdite, nel senso di smarrimento che il coronavirus ha seminato, la Chiesa oggi invita a pregare per chi decide di servire il Signore con fedeltà e amore. Cade questa domenica, infatti, la 57.ma Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, per la quale Papa Francesco ha scritto un Messaggio incentrato sul tema: “Le parole della vocazione”, reso noto lo scorso 8 marzo.

La preghiera per le vocazioni in tutto il mondo

La Giornata è declinata in modi diversi in varie parti del mondo, ad esempio, in Portogallo, il vescovo di Porto, monsignor Manuel da Silva Rodrigues Linda, ha invitato i giovani a pregare per “riscaldare i cuori” di chi si incontra. In Irlanda, monsignor Alfonso Cullinan, vescovo di Waterford e Lismore, ha invitato a pregare perché si abbia coraggio nel dire sì alla chiamata. “Che si risvegli in tutti la necessità di rispondere alla chiamata che il Signore ci fa per servire nella sua Chiesa”: così l’episcopato della Colombia; in Spagna l’invito è di pregare in casa. “Getta la tue reti” è il motto che ha guidato due giorni di preghiera per le vocazioni in Germania.

Padre Giannattasio: nella prova, comunione e vicinanza

Sono quattro le parole-chiave che il Papa propone nel Messaggio per la Giornata; un richiamo alla Lettera ai sacerdoti dello scorso anno in occasione del 160.mo anniversario della morte del santo Curato d’Ars. Le parole sono dolore, gratitudine, coraggio e lode: termini che risuonano quanto mai attuali nell’emergenza che stiamo vivendo. Sono lo specchio dei sentimenti che i missionari saveriani, chiamati ad andare negli angoli più sperduti del mondo, hanno vissuto in questo tempo, perdendo 20 confratelli in soli 40 giorni. Padre Rosario Giannattasio, Superiore in Italia dei missionari saveriani, sente che la parola “coraggio” è la più appropriata per rafforzare la chiamata anche nella tempesta:

Ascolta l'intervista a padre Rosario Giannattasio

R. – Personalmente la parola che mi ha colpito è coraggio, perché in questo momento dobbiamo andare avanti superando la situazione di dolore, superando la cronaca di ogni giorno per cogliere questa occasione che può, nel dolore, essere provvidenziale per fare un salto in avanti all’umanità. Bisogna superare una visione molto edonistica, una visione in cui la persona non è più al centro ma al centro c’è l'economia e lo stiamo anche vedendo. E’ necessario superare anche il fatto che la vita viene considerata scarto soprattutto se si pensa ai più poveri, ai più deboli, ai più diseredati. Questa può essere un’occasione davanti la morte per farci riflettere e fare le scelte che sono – oserei dire – profetiche e un religioso dovrebbe essere sempre profetico.  

Lei ha parlato del dolore, anche la vostra famiglia religiosa è stata particolarmente toccata dal Covid-19…

R. – Sì, la nostra famiglia, nella casa madre a Parma ha perso 18 persone in 42-43 giorni. Altri due missionari in altre parti d’Italia, quindi 20 unità e non tutti erano molto anziani. C’è stata tra i miei confratelli la serenità anche in chi capiva che la morte si avvicinava, c’è stato un aiutarci l'uno con l'altro in comunione che è un segno forte che non va dimenticato, pur sapendo che i nostri progetti li fa nostro Signore Gesù Cristo. Ora però questo dolore io lo vedo molto in continuità con quello che è il ministero del missionario, il missionario infatti dovrebbe, come dice Papa Francesco, avere l'odore delle pecore, sempre interessato alle vicende della gente, dei popoli che lui via via incontra. Ora in una situazione di morte come è stata quella dell'Italia i missionari hanno continuato a vivere questa esperienza di comunione e vicinanza nella tragica fine dei suoi 20 confratelli.

Come riuscire a rialzarsi da questo dolore e che significato dargli per ripartire?

R. – Davanti alle situazioni che viviamo ci stiamo chiedendo qual è il ruolo di noi missionari saveriani in Italia. Come religiosi, il nostro primo compito è essere segno di comunione. Il fatto poi che il nostro tratto sia internazionale ci dice che uomini diversi per storia, cultura, tradizioni, età possono vivere insieme e costruire un progetto.

Papa Francesco nel suo messaggio dice “pur nelle nostre fragilità e povertà, la fede ci permette di camminare incontro al Signore e di vincere anche le tempeste, ci dona lo slancio necessario per vivere la nostra vocazione con gioia ed entusiasmo”..

R. – Il nostro Papa richiama San Paolo: “quando sono debole sono forte”.  E proprio in questa realtà di debolezza ci porta a non guardare ai mezzi ma a guardare a quello che uno è. Le vocazioni non vengono da un'organizzazione efficiente, anche se necessaria, ma da uomini e donne che sono felici e che non sono ingenui ma vedono le difficoltà. La nostra gioia è nel contatto con la gente, nella nostra testimonianza e nella forza della preghiera. Io penso che questo, in una società italiana impoverita di valori, sia qualcosa di – mi passi la parola che uso poco - di rivoluzionario.

Don Carlos: la chiamata custodita nel cuore di mia madre

Ecuadoregno di Quito, 28 anni, da tempo nel seminario “Maria Mater Ecclesiae” di Roma, Carlo Duràn aveva davanti a sé un destino già scritto. A 20 anni, frequentava la facoltà di psicologia e aveva una ragazza. Una vita normale, gli amici, le lezioni ma anche il richiamo del Santissimo che sentiva forte e lo spingeva a pregare ogni giorno davanti al Tabernacolo. Chi aveva visto lungo nella sua storia era la mamma che, come Maria, nel silenzio della preghiera chiedeva al Signore di rendere chiaro quello che Carlos a dieci anni le aveva detto e che, nel tempo, aveva dimenticato. “Da piccolo – racconta – avevo fatto un lavoretto e avevo scritto: ‘Gesù se vuoi, io ci sono per te’. Mia madre allora aveva capito che quella era la mia chiamata”. “Ogni volta che andavo a pregare, arrivavo sempre ad un pensiero: mancano sacerdoti. Me lo ripetevo sempre. In quel periodo ho iniziato a fare catechesi in una parrocchia e parlando io lì trovavo la mia felicità”.

Nel mio niente il tutto

Quel seme nel cuore comincia a germogliare. “Parlando con un bravo sacerdote, lui mi aveva consigliato di chiedere a Maria dei segni per rendere chiara la strada da seguire. Piano piano, ogni giorno io sentivo la risposta e alla fine, senza sapere bene come funzionava, ho chiesto al vescovo di iniziare questo cammino”. Nella storia di Carlos, oltre alla figura della mamma che gli ha insegnato i principi fondamentali della fede con l’amore grande per la Madonna e il Rosario, c’è quella di uno zio sacerdote. “Era un prete santo – spiega – e se oggi credo nel sacerdozio è perché ho visto un uomo santo che faceva il sacerdote cercando sempre il contatto con il Signore nella preghiera, dava la sua vita nelle prediche, era convinto delle verità cattoliche perché le viveva. Aveva il carisma dell’esorcismo e, vedendo anche la sua lotta contro il diavolo, io ho pensato di voler vivere una vita così”. Commentando il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, Carlos sente sua la parola “gratitudine” perché “nella vocazione tutto è gratuito, al momento della chiamata non si capisce il mistero che c’è dietro ma il Signore poi svela i suoi piani”. “Io non ho dato niente se non un sì ma Lui ha dato se stesso”. Per Carlos, è fondamentale nel discernimento “mettere le colonne del futuro” imparando a pregare con il Signore perché “tutte le emozioni che si sentono all’inizio poi vanno via e nei momenti di lotta bisogna tornare a Lui, alla preghiera”. Riempiersi del Signore, avere intimità con Cristo, solo così si può stare in mezzo alla gente. “Questa gioia che si prova – afferma Carlos – questo amore che riempie è quello che desidererei per ogni singola vocazione perché trovi l’amore di quest’Uomo che è un amore particolarissimo” e che non ti abbandona mai.

Ascolta l'intervista a don Carlos Duràn

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03 maggio 2020, 08:00