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San James Chapel, Chicago San James Chapel, Chicago 

Il cardinale Cupich: le campane di Chicago suonano per i malati di coronavirus

Con tutti gli abitanti dello Stato americano dell'Illinois che rispettano le indicazioni di rimanere a casa per far fronte all'epidemia, il cardinale Blase Cupich descrive ciò che l'arcidiocesi di Chicago sta facendo per confortare i fedeli

Devin Watkins - Città del Vaticano

Le campane di ogni chiesa cattolica dell'arcidiocesi di Chicago hanno iniziato a suonare 5 volte al giorno per le molte persone colpite dalla pandemia del coronavirus Covid-19. Oltre 1.500 sono i contagiati e 16 i morti nello Stato americano dell'Illinois, con Chicago, città più colpita.

Il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, racconta a Vatican News questa iniziativa e il modo in cui tutta la comunità sta affrontando questa prova, col pensiero rivolto ai malati (ore 9), agli operatori sanitari (ore 12), ai primi soccorritori e ai lavoratori essenziali (ore 15), ai leader e i popoli di tutti i Paesi (ore 18), e a coloro che sono morti  (ore 21).

Il Governatore dell'Illinois ha recentemente ordinato il “lockdown”, emanando un decreto per cui tutti i cittadini dello Stato restino a casa. Qual è la situazione nell'arcidiocesi di Chicago e come la gente sta affrontando la crisi?

R. - Noi avevamo deciso ancora prima del decreto del Governatore di chiudere tutte le nostre scuole e di sospendere le messe già a partire dal 14 marzo. È stato un periodo difficile perché ora che dovremmo praticare il distanziamento sociale, questa distanza rende la vita un po' più difficile. Le famiglie sono recluse nelle loro case. È il momento per loro, come famiglie, di avere un po' di creatività per gestire tutto questo tempo passato insieme. Lo vediamo anche nella società. Si sta producendo un effetto sull'economia perché le persone perdono il lavoro e le fonti di reddito. Ecco perché è importante che tutti noi rimaniamo uniti e ci assicuriamo che nessuno venga dimenticato.

Come lei ha detto, questo è appunto un momento di crescente distanziamento sociale. Qual è, secondo lei, il lato positivo di questo brutto momento del coronavirus?

R. - Prima di tutto, come ho detto, le famiglie si sono riunite e passano più tempo insieme. Viviamo in una società molto frenetica. Spesso in famiglia ci si vede entrare e uscire e non si riesce a passare molto tempo insieme. In questo senso può diventare un'opportunità per una maggiore condivisione. Penso anche che sia un momento in cui la vita di noi tutti sta rallentando. Abbiamo più tempo a disposizione, e questo forse ci dà anche il tempo per riflettere sulla nostra vita.

Ma stiamo anche invitando le persone alla preghiera. Qui nell’arcidiocesi lo facciamo suonando le campane per chiamare la gente alla preghiera, cinque volte al giorno. Alle 9.00 chiediamo di ricordare coloro che soffrono a causa delle malattie, specialmente per questo virus; a mezzogiorno preghiamo per gli operatori sanitari; alle 15.00 per i primi soccorritori e per quei lavoratori-chiave che svolgono attività essenziali; alle 18.00 preghiamo per tutti i nostri leader e le popolazioni di tutti i Paesi; e poi alle 21.00 concludiamo pregando pregando per coloro che sono morti durante il giorno. Ecco, stiamo cercando dei modi cercare di far restare unite le persone.

C'è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

R. - Sì. Vorrei dire ancora che l'altra cosa che stiamo facendo è celebrare la Messa trasmettendola online, in tutta l’arcidiocesi. Una delle maggiori reti televisive ci sta dando la possibilità di andare in onda la domenica, così io posso dire Messa in cattedrale e la gente può unirsi. Abbiamo avuto un pubblico meraviglioso.  L'altra cosa è che, come ho scritto in un editoriale sul Chicago Tribune, credo che dobbiamo rapportarci a questo momento come un tempo in cui il Signore ci chiama ad essere guariti. La lettura domenicale scorsa, dell'uomo nato cieco, è stata molto istruttiva per noi perché, prima di tutto, ha rivelato che il Signore guarisce avvicinandosi alla persona. È stato un atto di intimità molto forte: guarire gli occhi di quest'uomo con un impacco di fango fatto con la sua saliva. Anche se in questo momento non possiamo avere contatto fisico né vicinanza con il nostro prossimo, possiamo però tenerci l'un l'altro vicini nel nostro cuore. Quando ciò accade, si può guarire. L'altra cosa che il Signore ci ricorda in quel gesto è che mentre si chinava a terra per trasformare quell’argilla in fango, ci ricordava che siamo stati creati da un Dio che ci ha modellati a Sua immagine e ci ha modellati in un modo che ci rende tutti umani. Dobbiamo usare questo tempo per recuperare la nostra comune umanità, in modo da cominciare a vedere che questo ci unisce tutti. Speriamo che queste riflessioni vengano portate avanti quando questa crisi sarà passata, in modo da potere raccogliere la sfida di affrontare le altre malattie che affliggono la società - che si tratti del contagio della violenza e della vendetta nelle nostre strade o dell’infezione del razzismo e dell'odio nel nostro mondo e anche della piaga della povertà che affligge così tante persone. Penso che faremmo bene a non sprecare tutto ciò che avremo imparato in questi giorni a proposito della nostra comune umanità e della nostra comune vulnerabilità, e come siamo giudicati tutti nello stesso modo da Dio. Penso che questo possa essere il programma, per andare avanti.

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28 marzo 2020, 13:34