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Czerny: amare l’Amazzonia e i suoi popoli per salvare il pianeta

Il cardinale segretario speciale del Sinodo per l’Amazzonia presenta l’Esortazione che il Papa ha ultimato lo scorso dicembre e che è uscita oggi. Contiene quattro grandi “sogni” di Francesco per la regione, compreso quello di una Chiesa missionaria dal volto amazzonico

ALESSANDRO DE CAROLIS – FRANCESCO VALIANTE

“La sorte dell’Amazzonia interessa noi tutti, perché tutto è connesso e la salvezza di questa regione e dei suoi popoli originari è fondamentale per il mondo intero”. Il cardinale Michael Czerny, segretario speciale del Sinodo per l'Amazzonia in questa intervista con i media vaticani presenta i principali contenuti del testo dell'Esortazione di Francesco

Eminenza, innanzitutto una parola sui tempi di pubblicazione di questo testo del Papa, che lo aveva in qualche modo preannunciato per la fine dell’anno. Ci sono stati dei ritardi rispetto alle previsioni?

Il Santo Padre, nel discorso di chiusura del Sinodo, aveva affermato: “Una parola del Papa su ciò che ha vissuto nel Sinodo può far bene. Vorrei dirla prima della fine dell’anno, di modo che non passi troppo tempo”. In effetti così è stato, perché Francesco, tenendo fede a quanto promesso, ha consegnato il testo definitivo della sua Esortazione post-sinodale lo scorso 27 dicembre, cioè prima della fine del 2019. Poi ci sono dei tempi successivi e imprescindibili: il documento è stato riletto, preparato, tradotto nelle diverse lingue e ora viene finalmente pubblicato.

Qual è, a suo avviso, il cuore del messaggio dell’Esortazione?

Il cuore della Esortazione è l’amore del Papa per l’Amazzonia e le conseguenze di tale amore: un capovolgimento del modo comune di pensare il rapporto tra ricchezza e povertà, tra sviluppo e custodia, tra la difesa delle radici culturali e l’apertura all’altro. Il Papa ci propone le “risonanze” che hanno provocato in lui i lavori sinodali. E lo fa sotto la forma di quattro “grandi sogni”. Francesco sogna per l’Amazzonia un impegno di tutti nella difesa dei diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi. Sogna un’Amazzonia che preserva la sua ricchezza culturale. Il suo sogno ecologico è di una Amazzonia che custodisce la sua vita traboccante. E infine sogna comunità cristiane capaci di incarnarsi in Amazzonia e di costruire una Chiesa dal volto amazzonico. Personalmente sono stato colpito dall’abbondanza di citazioni poetiche e di riferimenti ai Papi precedenti.

Intervista al cardinale Czerny

Il “sogno” non rischia di apparire una prospettiva evanescente e proiettata in un futuro indefinito?

Non per Papa Francesco. Vorrei ricordare le parole che ha pronunciato dialogando con i giovani al Circo Massimo l’11 agosto 2018: “I sogni sono importanti. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana… I sogni ti svegliano, ti portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità… La Bibbia ci dice che i sogni grandi sono quelli capaci di essere fecondi”. Dunque, per rispondere alla sua domanda, credo che questo sguardo e questa prospettiva siano l’esatto opposto di una prospettiva evanescente o utopistica. Il sogno è qui l’indicazione di un cammino che poi è la Chiesa tutta a dover fare. La sua bellezza sta proprio nel vedere un orizzonte, e non nel dettare una serie di precetti. Nessuna dichiarazione d’amore ha la forma di un contratto o di un ricettario. Nel primo capitolo, quello dedicato al sogno sociale, Francesco, guardando alla devastazione ambientale dell’Amazzonia e alle minacce alla dignità umana delle sue popolazioni già a suo tempo denunciata da Benedetto XVI, invita a indignarsi. Dice che “bisogna indignarsi” perché “non è bene che ci abituiamo al male”. Invita a costruire reti di solidarietà e di sviluppo che superino le diverse mentalità coloniali. Invita a cercare alternative di allevamento e agricoltura sostenibili, di energie che non inquinino, di risorse lavorative che non comportino la distruzione dell’ambiente e delle culture. Insomma i “grandi sogni” servono a non lasciarci anestetizzare ma si nutrono di impegno concreto e quotidiano.

Che cosa significa, concretamente “promuovere” l’Amazzonia, come si legge nel testo dell’Esortazione?

Promuovere l’Amazzonia, come spiega il Papa, significa fare in modo che tragga da sé il meglio. Significa non colonizzarla, non depredarla con massicce politiche estrattive che distruggono l’ambiente e minacciano le popolazioni indigene. Senza però correre il rischio di mitizzare le culture autoctone né escludere a priori il meticciato né cadere nel conservazionismo che “si preoccupa del bioma ma ignora i popoli amazzonici”. Identità e dialogo sono due parole chiave, e Francesco spiega che non sono affatto contrapposte. La cura dei valori culturali delle popolazioni indigene ci riguarda tutti: dobbiamo sentirci corresponsabili verso la diversità delle loro culture. Dalle pagine dell’Esortazione emerge inoltre con grande chiarezza la prospettiva cristiana, che è lontana sia da un indigenismo chiuso, sia da un ambientalismo che considera gli esseri umani la rovina del pianeta. E propone un’audacia missionaria: parlare di Gesù e portare agli altri la sua proposta di vita nuova. Vita per l’uomo, ciascuno e tutti, custode del creato, in rapporto con Dio creatore e con i fratelli.

Perché la sorte di una regione particolare della terra deve starci così a cuore?

La sorte dell’Amazzonia interessa noi tutti, perché tutto è interconnesso e la cura di questo prezioso “bioma”, che funziona da filtro e ci aiuta a evitare il surriscaldamento della terra, è fondamentale. L’Amazzonia ci riguarda dunque da vicino, tutti. In modo speciale, poi, constatiamo in quella regione del mondo l’importanza della ecologia integrale che include il rispetto per la natura e la cura per la dignità umana. Il futuro dell’Amazzonia e il futuro dei suoi popoli sono dunque decisivi per l’equilibrio del nostro pianeta. In questa prospettiva è importante permettere ai popoli indigeni di rimanere nei loro territori e di prendersene cura. Come pure è di primaria importanza l’aspetto educativo per promuovere nuovi comportamenti e nuove abitudini nelle persone. Molti abitanti di quell’area hanno assunto le usanze tipiche delle grandi città dove regnano consumismo e cultura dello scarto.

Veniamo al quarto capitolo e al sogno “ecclesiale”. Che cosa l’ha colpita di questa parte finale dell’Esortazione?

Rappresenta la metà dell’Esortazione, e dunque quando Papa Francesco dice che la dimensione pastorale è l’essenziale, comprende tutto, lo intende chiaramente. Mi ha colpito innanzitutto la prospettiva missionaria: senza “l’annuncio appassionato” del Vangelo, i progetti ecclesiali rischiano di trasformarsi in ONG. Il Papa spiega che l’impegno in difesa dei poveri, degli ultimi, degli indigeni implica la testimonianza e la proposta dell’amicizia con Gesù. Il messaggio sociale include l’annuncio del Vangelo, e il suo nucleo centrale, il kerygma, include la vita umana, la dignità umana, la giustizia, la cura della casa comune. L’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano e che ha sacrificato per la nostra salvezza suo Figlio, Cristo crocifisso.

Una parola ricorrente nel capitolo è “inculturazione”…

Annunciando e testimoniando il Vangelo si valorizza tutto ciò che di buono e di bello ogni cultura ha prodotto, portandolo a pienezza alla luce della fede cristiana. Il Vangelo viene annunciato in un luogo, e così avviene la semina. Allo stesso tempo, la Chiesa impara e si arricchisce a contatto con ciò che lo Spirito aveva già seminato in quella particolare cultura. Il Papa chiede di ascoltare la voce degli anziani e di riconoscere i valori presenti nelle comunità originarie. In effetti i popoli aborigeni ci insegnano a essere sobri, felici con poco, e a sentirci immersi in un modo comunitario di vivere l’esistenza. Inculturazione significa anche saper recepire qualche simbolo autoctono preesistente, senza bollarlo subito come un errore pagano. Simboli, usanze, culture necessitano certo di un processo di purificazione e maturazione. Ma chi ha veramente a cuore l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo cerca di rispondere alle aspirazioni dei popoli con una spiritualità inculturata.

Un tema dibattuto al Sinodo è quello riguardante la scarsità di sacerdoti per un territorio così vasto come quello amazzonico e la difficoltà per tante comunità di avere la celebrazione eucaristica. Che vie indica l’Esortazione?

Bisogna mettersi al servizio per arrivare a una maggiore frequenza di celebrazioni anche nelle zone più remote. Il Papa ricorda che il modo di configurare l’esercizio del ministero sacerdotale non è monolitico. Solo il sacerdote può consacrare l’Eucaristia e può amministrare il sacramento del perdono. Questa necessità impellente è all’origine dell’appello che Francesco rivolge a tutti i vescovi perché oltre a pregare per le vocazioni, siano più generosi nell’inviare quanti mostrano una vocazione missionaria, a scegliere l’Amazzonia. Bisogna anche agire su una formazione che sia in grado di dialogare con le culture autoctone. I diaconi permanenti dovrebbero essere molti di più, e bisogna far crescere ulteriormente il ruolo delle religiose e dei laici.

L’Esortazione però non contiene aperture alla possibilità di ordinare uomini sposati…

Francesco è rimasto fedele a quanto aveva detto già prima del Sinodo. La possibilità di ordinare uomini sposati può essere discussa dalla Chiesa. Ed esiste già, per esempio nelle Chiese orientali. Questa discussione va avanti da molti secoli, e il Sinodo l’ha liberamente affrontata, non in forma isolata, ma nell’intero contesto della vita eucaristica e ministeriale della Chiesa. Il Papa afferma nell’Esortazione che il tema non è numerico, e che favorire una maggiore presenza di sacerdoti non sarebbe sufficiente. Ciò di cui c’è bisogno è di una nuova vita nelle comunità, di un nuovo slancio missionario, di nuovi servizi laicali, di formazione permanente, di audacia e di creatività. Serve una presenza capillare di laici animati di spirito missionario, capaci di rappresentare l’autentico volto della Chiesa amazzonica. In questo modo sembra indicarci che solo così ritorneranno le vocazioni. L’Amazzonia ci sfida, scrive Francesco, a superare prospettive limitate e a non accontentarci di soluzioni che rimangono chiuse in aspetti parziali. In altre parole, la grande questione è un’esperienza rinnovata di fede e di annuncio.

E per quanto riguarda il ruolo delle donne?

Il Papa ricorda nel testo che in Amazzonia ci sono comunità che per decenni hanno trasmesso la fede senza sacerdoti, grazie a donne forti e generose che spinte dallo Spirito Santo hanno battezzato, insegnato il catechismo, insegnato a pregare. Bisogna allargare lo sguardo e uscire dal rischio del funzionalismo che ci fa pensare a un ruolo più significativo della donna soltanto se legato all’accesso all’ordine sacro. È una prospettiva che ci porterebbe a clericalizzare le donne finendo per impoverire il loro fondamentale contributo. Questo dobbiamo leggerlo nell'ampio magistero di Papa Francesco, che sottolinea la necessità di separare il potere dal ministero sacerdotale, poiché questa combinazione è ciò che dà origine al clericalismo.

Questo rapporto tra ministero e potere è ciò che lascia le donne senza voce, senza diritti e senza la possibilità, in molti casi, di decidere. Quindi non si tratta di dare loro accesso a un ministero ordinato in modo che abbiano voce e voto, ma di separare il potere dal ministero. D'altra parte, dobbiamo ispirarci al loro esempio, che ci ricorda che il potere nella Chiesa è servizio, è generosità, è libertà. Bisogna stimolare il sorgere di altri servizi e carismi femminili. Le donne dovrebbero poter accedere – afferma il Papa – a funzioni e servizi ecclesiali che non richiedano l’ordine sacro e che dovrebbero essere stabili e riconosciuti pubblicamente con un mandato da parte dei vescovi. Forse è il momento di rivedere i ministeri laicali già esistenti nella Chiesa, di tornare alle loro fondamenta e di aggiornarli, di leggerli alla luce della realtà e dell'ispirazione dello Spirito, e allo stesso tempo di creare altri nuovi ministeri stabili con “un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo”.

Un’ultima domanda: qual è il rapporto tra l’Esortazione e il documento finale del Sinodo?

Il Papa, nell’introduzione dell’Esortazione post-sinodale, spiega di non voler né sostituire né ripetere quel documento. Lo presenta ufficialmente. Ci invita a leggerlo integralmente. Prega che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro. E chiede che in Amazzonia tutti i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici si impegnino nella sua applicazione. Infine, che tutte le persone di buona volontà si ispirino al documento finale e, certamente, alla bellissima “Querida Amazonia”.

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12 febbraio 2020, 11:59