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L'emergenza coronovirus rende invisibili i naufragi nel Mediterraneo

Nel Mediterraneo non c'è nessuno a soccorrere i migranti e i profughi che tentano la traversata dalle coste dal Nordafrica verso l'Europa. Aumentano le segnalazioni da parte di alcune organizzazioni non governative, come Alarm Phone, e resta il pattugliamento aereo della missione europea, ma la macchina dei soccorsi procede a rilento o non procede affatto. Una situazione che ha suscitato la preoccupazione anche dell'OIM - Organizzazione internazionale per le migrazioni - per il recupero di un'imbarcazione e il rimpatrio in Libia da parte della Guardia costiera libica. Un appello alle istituzioni europee affinché si rafforzi il meccanismo di ricerca e soccorso di quanti si trovano in difficoltà in mare è giunto dall'Ong Sea Watch e dalla sua portavoce in Italia, Giorgia Linardi.

 

Anche nel Sudest asiatico la diffusione del coronavirus crea un forte allarme, come dismostra la decisione del governo filippino di chiudere l'isola di Luzon sulla qual vivono quasi 60 milioni di persone. Resta, tuttavia, la difficoltà di gestire vaste aree di emarginazione e povertà, lasciate al proprio destino. Una condizione che colpisce tante realtà di questa parte del mondo, basti pensare agli affollati campi profughi del Bangladesh. Un segnale in controtendenza viene invece dalla Corea del Sud che ha gestito l'emergenza sanitaria facendo ricorso all'enorme capacità tecnologica di cui dispone e che ha avviato un vesto sistema di screening preventivo dei propri cittadini. Ce ne ha parlato Paolo Affatato, responsabile del desk Asia dell'agenzia Fides.

 

Con noi: 

Giorgia Linardi, portavoce Sea Watch Italia; 

Paolo Affatato,  giornalista agenzia Fides; 

conduce: Stefano Leszczynski

 

 

 

 

17 marzo 2020