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Monsignor Filippo Iannone, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi Monsignor Filippo Iannone, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi

Iannone: un diritto penale più forte dopo lo scandalo degli abusi nella Chiesa

Il presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi presenta la nuova Costituzione apostolica “Pascite gregem Dei”. A Vatican News: “Se la vita nella Chiesa si svolge nel rispetto dei diritti reciproci e nel compimento di ciascuno doveri, si conserva la comunione, fine ultimo della Chiesa”

Giancarlo La Vella - Città del Vaticano

Una riforma “necessaria e da lungo tempo attesa” per “rinvigorire” il Diritto penale canonico, alla luce anche dei recenti scandali, in particolare gli "sconcertanti e gravissimi episodi di pedofilia” nella Chiesa. Il presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, monsignor Filippo Iannone, inquadra così la nuova Costituzione apostolica Pascite gregem Dei, con la quale Papa Francesco modifica il Libro VI del Codice di Diritto Canonico. Una decisione, questa, del Pontefice che ha lo scopo di “rendere le norme penali universali sempre più adatte alla tutela del bene comune e dei singoli fedeli, più congruenti alle esigenze della giustizia e più efficaci e adeguate all’odierno contesto ecclesiale”, certamente differente rispetto agli anni ’70, epoca in cui vennero redatti i canoni del libro VI ora abrogati, spiega monsignor Iannone nella conferenza di presentazione in Sala Stampa vaticana. E, nel suo intervento, pone in luce "un principio fondamentale che è quello della proporzionalità della pena: non si possono punire delitti diversi con la stessa pena, sia essa blanda o rigida. Per ogni delitto è necessario applicare una  pena proporzionale, altrimenti si rischierebbe di commettere ingiustizie. Noi dobbiamo perseguire la giustizia senza rischiare di commettere ingiustizie". Con Vatican News, monsignor Iannone approfondisce e spiega novità e modifiche che la riforma del Pontefice ora introduce.  

Monsignor Iannone, quali sono le principali modifiche? 

Sono state previste nuove pene, quali l’ammenda, il risarcimento del danno, la privazione di tutta o parte della remunerazione ecclesiastica, secondo regole poi stabilite dalle varie Conferenze episcopali. Poi è stata posta maggiore attenzione nell’elencare le pene con più ordine, con maggiori dettagli, in modo da permettere poi ai superiori, all’autorità ecclesiastica, di individuare quelle più adeguate e proporzionate ai singoli delitti. Alcune pene che prima erano previste soltanto per i chierici, oggi sono estese a tutti i fedeli, in conseguenza del fatto che oggi c’è una maggiore partecipazione anche alla vita della Chiesa con l’esercizio di ministeri e di uffici da parte di non chierici. Di conseguenza, c’è la previsione che anche per essi possa scattare la sospensione. Sono previsti anche degli strumenti di intervento più idonei per correggere e prevenire i delitti, perché la possibilità di prevenire i delitti è una delle finalità dell’ordinamento penale. È stata rivista la normativa sulla prescrizione anche al fine di ridurre i tempi dei processi. Altre modifiche riguardano la configurazione dei reati, l’introduzione anche di nuovi reati che rispondono alle mutate situazioni sociali ed ecclesiali.

Che cosa cambia nel caso di abusi su minori e per i reati di natura patrimoniale?

Per quanto riguarda la normativa sugli abusi dei minori c’è una novità che è indice delle volontà di mettere in risalto la gravità di questi delitti e anche l’attenzione da riservare nei confronti delle vittime. I delitti che riguardano gli abusi sui minori, nel codice precedente andavano sotto il capitolo: “Delitti contro obblighi speciali dei chierici”. Oggi questi delitti vengono elencati sotto il capitolo: “Delitti contro la vita, la dignità e la libertà dell’uomo”. Inoltre, è stato introdotto anche il delitto di abuso sui minori commesso non solo da chierici, ma anche da membri di istituti di vita consacrata e da altri fedeli. Per quanto riguarda invece la materia patrimoniale, ci sono diverse novità che intendono mettere in pratica, tradurre in norme, i principi sui quali Papa Francesco continuamente ritorna. Innanzitutto, il principio della trasparenza nell’amministrazione dei beni, poi il principio della corretta gestione dell’amministrazione dei beni: quindi sono puniti gli abusi di autorità, la corruzione - sia il corrotto che il corruttore - sono punite le appropriazioni indebite, la “mala gestio” del patrimonio ecclesiastico. È punita anche l’attività degli amministratori che, per utilità propria o per favori agli altri, gestiscono i beni senza rispettare le norme previste. Diciamo che in materia patrimoniale ci sono maggiori novità rispetto al codice del 1983.

Nel nuovo testo qual è il rapporto tra misericordia e giustizia? 

Non sono due concetti da contrapporre, ma sono concetti intimamente collegati. Diceva San Paolo VI che la giustizia è la minima parte della carità. San Tommaso, commentando San Matteo nelle Beatitudini, dice che la giustizia senza la pietà conduce alla crudeltà, ma la misericordia senza la giustizia porta alla dissoluzione dell’ordine. 

Ricordiamoci che il Codice di Diritto Canonico si conclude affermando che la salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema. La salvezza delle anime richiede che chi ha commesso dei delitti, espii anche la colpa. Quindi, punire chi ha commesso delle azioni criminali diventa un atto di misericordia nei suoi confronti. Questa è una responsabilità dei pastori. La misericordia richiede che chi ha sbagliato venga corretto. Le finalità della pena sono queste. Già nel Codice attuale le pene servono per ristabilire la giustizia, per punire le azioni e per risarcire anche chi ha subito una violenza. Il Papa afferma: “Promulgo il testo (…) nella speranza che esso risulti strumento per il bene delle anime, e che le sue prescrizioni siano applicate dai Pastori, quando necessario, con giustizia e misericordia, nella consapevolezza che appartiene al loro ministero, come dovere di giustizia – eminente virtù cardinale – comminare pene quando lo esiga il bene dei fedeli”. Quindi, l’augurio è che questo testo venga accolto dalla comunità ecclesiale, dai pastori e dai fedeli, nel senso voluto dal Papa. Cioè, il Papa dà una chiara indicazione a vescovi e superiori affinché non si lascino condizionare da un infondato contrasto tra misericordia e il diritto e le pene. I superiori, quando c’è necessità, devono intervenire e applicare il diritto penale tenendo presente che stanno esercitando in quel momento il loro munus pastorale. Applicando diritto penale si stanno comportando da pastori. E il Santo Padre dice: agite con serenità, perché essere pastori significa anche questo. Quindi, se la vita nella Chiesa si svolge nel rispetto dei diritti reciproci e nel compimento da parte di ciascuno dei propri doveri, credo si possa dire che conserva la comunione, il fine ultimo della Chiesa.

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01 giugno 2021, 11:50