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Con l'Evangelii gaudium Francesco chiede una Chiesa con le porte aperte Con l'Evangelii gaudium Francesco chiede una Chiesa con le porte aperte 

Evangelii gaudium, testo programmatico del Pontificato di Francesco

Con l'Esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco presenta gli obiettivi del suo Pontificato: una Chiesa decisamente missionaria, con le porte aperte, che sappia annunciare a tutti la gioia del Vangelo, la buona notizia che Dio ci ama

Sergio Centofanti – Città del Vaticano

Recuperare la freschezza originale del Vangelo per portare la gioia e l’amore di Dio in tutto il mondo: questo il senso della prima Esortazione apostolica di Papa Francesco, intitolata “Evangelii gaudium”, testo programmatico del Pontificato, che porta la data del 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo e giorno di chiusura dell’Anno della Fede, ma pubblicato due giorni dopo, il 26 novembre. Il documento, di oltre 220 pagine, diviso in 5 capitoli e 288 paragrafi, sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”, svoltosi in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012.

Nuova tappa evangelizzatrice caratterizzata dalla gioia

“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Così inizia l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù, vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2). “Anche i credenti corrono questo rischio” (2), perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (6): un evangelizzatore non dovrebbe avere “una faccia da funerale” (10). E' necessario passare "da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria" (15).

Riforma delle strutture ecclesiali

Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi” (11). L’appello rivolto a tutti i cristiani è quello di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”: “tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria” (20). Si tratta “di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e che spinge a porsi in uno “stato permanente di missione” (25). E’ necessaria una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Partendo dalle parrocchie, il Papa nota che l’appello al loro rinnovamento “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente” (28). Le altre realtà ecclesiali “sono una ricchezza della Chiesa”, ma devono integrarsi “con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29).

Conversione del papato

Quindi aggiunge: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Giovanni Paolo II “chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso”. “Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (32).

Far risplendere la bellezza dell'amore di Dio

Riguardo all’annuncio, afferma che è necessario concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa ... le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). Circa il rinnovamento, afferma che occorre riconoscere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43).

Aprire le porte della Chiesa

“La Chiesa – scrive il Papa – è chiamata ad essere sempre la casa aperta del padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (47). Quindi ribadisce quanto diceva a Buenos Aires: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli” vivono senza l’amicizia di Gesù (49).

L'attuale sistema economico uccide i più deboli

Parlando di alcune sfide del mondo attuale, denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). C’è la “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale”, di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Il documento affronta poi gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza. In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista” (61).

Individualismo postmoderno snatura vincoli familiari

La famiglia, “cellula fondamentale della società” – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66), il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”(67).

La rivoluzione della tenerezza

Il testo affronta poi le “tentazioni degli operatori pastorali”. Il Papa, afferma, “come dovere di giustizia, che l’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore” ((76). Ma “si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità” . Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83). Tuttavia, il Papa invita con forza a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84). Nei deserti della società sono molti i segni della “sete di Dio”: c’è dunque bisogno di persone di speranza, “persone-anfore per dare da bere agli altri” (86). “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (88).

Dio ci liberi da una Chiesa mondana

Denuncia quindi “la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”: consiste “nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (93). Questa mondanità si esprime in due modi: “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo” e “il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che … fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché … sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (94). In altri “si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”. In altri ancora, la mondanità “si esplica in un funzionalismo manageriale … dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione” (95). “E’ una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).

Spazio nella Chiesa a laici, donne e giovani

Altra denuncia: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” per “invidie e gelosie”. “Alcuni … più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale” (98). Il Papa sottolinea quindi la necessità di far crescere “la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa”. Talora, “un eccessivo clericalismo” mantiene i laici “al margine delle decisioni” (102). “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società”, ma “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”. Occorre garantire la presenza delle donne “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”. “Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi” (104). Poi, il Papa rileva che i giovani devono avere “un maggiore protagonismo” (106). Riguardo alla scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si riscontra in molti luoghi, afferma che “spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. Nello stesso tempo, “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico” (107).

La Chiesa ha un volto pluriforme

Affrontando il tema dell’inculturazione, il Papa ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che “la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità” mostrando la bellezza di un “volto pluriforme”. (116) “Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (117). Il testo ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122). “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!” (124). Il Papa incoraggia “il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica” ma li invita ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino” (133).

Omelia: saper dire parole che fanno ardere i cuori

A questo punto, il Papa si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). Innanzitutto, “chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio” (137). “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138). Bisogna saper dire "parole che fanno ardere i cuori", rifuggendo da una "predicazione puramente moralista e indottrinante" (142). “La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione”, rinunciando anche “ad altri impegni, pur importanti”. “Un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). “Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio”. “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (159).

Il “kerygma”: Gesù ti ama e ha dato la vita per salvarti

“Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’”. Sulla bocca del catechista risuoni sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”(164). Ci sono “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (165). Il Papa indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (169).

Una Chiesa povera per i poveri

Ricorda, quindi, “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178). Ribadisce il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale”. “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”. E cita Giovanni Paolo II laddove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri” (187). “A volte si tratta di ascoltare il grido … dei popoli più poveri della terra, perché ‘la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli’. Deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi” (190). Il Papa denuncia la “cattiva distribuzione dei beni e del reddito” (191). Quindi lancia un monito: “Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ‘ai difensori «dell'ortodossia» si rivolge a volte il rimprovero di passività, d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono’” (194). In questo contesto “c'è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (195). “Per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). Il Papa poi afferma che “la peggior discriminazione che soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (200). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri … non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” (202).

I politici abbiano cura dei deboli

“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” – scrive il Papa - “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!” (205). Invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati”. Riguardo ai migranti esorta “i Paesi ad una generosa apertura, che, al posto di temere la distruzione dell'identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali” (210). Il Papa parla “di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta delle persone” e delle nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza” (212).

Riconoscere dignità umana dei nascituri: aborto non è progressista

“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214). Poi, l’appello a rispettare tutto il creato: “Piccoli, però forti nell’amore di Dio, come San Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216).

Voce profetica per la pace

Riguardo al tema della pace, il Papa afferma che è “necessaria una voce profetica” quando si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spazio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiungano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).

Una Chiesa che dialoga

“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchimento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).

Missionari aperti all’azione dello Spirito

L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consapevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” (288).

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13 marzo 2018, 06:55