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L' incontro degli alunni del liceo classico Visconti di Roma sulla Giustizia riparativa con l'ex magistrato Gherardo Colombo, Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, e Adriana Faranda ex br L' incontro degli alunni del liceo classico Visconti di Roma sulla Giustizia riparativa con l'ex magistrato Gherardo Colombo, Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, e Adriana Faranda ex br 

Giustizia riparativa, un percorso che consente di dialogare di fronte al dolore

Nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, questa mattina a Roma, gli studenti del liceo classico Ennio Quirino Visconti hanno incontrato Gherardo Colombo, Agnese Moro e Adriana Faranda per riflettere sullo strumento giuridico che permette a quanti hanno commesso reati e a persone offese di incontrarsi, conoscersi, confrontarsi ed essere coinvolti nella progettazione di un’azione volta ad instaurare rapporti nuovi di fiducia

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Gherardo Colombo, ex magistrato, Agnese Moro, figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, e Adriana Faranda, ex militante dell’organizzazione terroristica implicata nel rapimento di Aldo Moro: c’erano loro oggi in cattedra di fronte agli studenti del liceo classico di Roma Ennio Quirino Visconti per parlare di giustizia riparativa, nell’ambito di una settimana dedicata all’educazione civica. L’incontro, che si è svolto nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, nel pieno centro della Capitale, è stato organizzato con il coinvolgimento dei religiosi gesuiti impegnati nei procedimenti - come i Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters elaborati dalle Nazioni Unite definiscono la giustizia riparativa - “in cui la vittima e il reo e, laddove appropriato, ogni altro soggetto o comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alla risoluzione delle questioni emerse dall’illecito, generalmente con l’aiuto di un facilitatore”.

L'incontro nella Chiesa di Sant'Ignazio di Loyola
L'incontro nella Chiesa di Sant'Ignazio di Loyola

Il concetto di giustizia

Settecento i ragazzi stimolati da Colombo - giudice istruttore nell'inchiesta sull'omicidio Ambrosoli, noto anche per l’impegno in inchieste importanti sul crimine organizzato, la corruzione, il terrorismo e la mafia, tra cui la scoperta della Loggia P2 e Mani Pulite e oggi scrittore e saggista - alla riflessione sul concetto di giustizia, “parola usata con grande frequenza - dice - e che si fa fatica a definire”. “Non è mai giusto uccidere una persona - aggiunge Colombo - tuttavia, delle volte, si è autorizzati a farlo, ma il giusto è che non si può privare una persona della vita”. Di qui l’invito a ragionare su quale sia la “risposta giusta” di fronte a chi commette il male. Se si deve punire e in che misura lo si può fare? È giusto ridare fiducia a chi ha commesso un reato? Oppure fare in modo che l’autore di un illecito si renda conto di ciò che ha commesso e non lo ripeta? 

"I frutti della giustizia riparativa sono veri", spiega Gherardo Colombo in una intervista a Vatican News- Radio Vaticana e sono tanti. “Consistono nella riconciliazione con se stesso da parte della vittima e da parte del responsabile – specifica il giudice – poi nel restaurare la relazione che era distrutta, quella tra la vittima e il responsabile e poi nel testimoniare che è una strada percorribile”. Tutte queste cose assieme, prosegue, “auspicabilmente, anche se ci vorrà tempo, ci porteranno a vedere sia la risposta - credo, soprattutto la prevenzione -, attraverso una strada che non sia la strada della minaccia per chi trasgredisce, ma sia la strada della comprensione reciproca e quindi della soluzione dei conflitti prima che arrivino ad esplicare tutte le conseguenze negative che generalmente esplicano”. “Guardarsi in faccia e riconoscersi - termina - evita anche le guerre, se ci si riconosce ovviamente”. Il colloquio dell’ex magistrato con gli alunni del Visconti è un preludio al racconto di Agnese Moro.

Ascolta l'intervista con Gherardo Colombo

L’esperienza di Agnese Moro

Ha 72 anni oggi la donna minuta ed esile che racconta di quel 16 marzo 1978 in cui vide il padre per l’ultima volta. Quei 55 giorni nelle mani delle Brigate Rosse li ricorda vividi. “Niente si può riparare di quello che è successo – afferma – neanche quella che ero si può riparare”. Per lei sembra assurdo parlare di giustizia riparativa, “cosa si può riparare tra rabbia, rancore, disgusto?”. Ma l’irreparabile e il dolore che lo accompagna creano conseguenze nel tempo, spiega. Agnese Moro le chiama “scorie radioattive”, come tutto ciò che continuamente si è riproposto in quella parte di sé rimasta chiusa fra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, quella che lei definisce “dittatura del passato che invade la vita”. La seconda scoria è il silenzio, tutto quello che non si può esprimere a parole, perché si ha paura, anche, “di ferire altre persone, dando, ad esempio, un’idea dura della vita”. La terza “scoria” è quell’ingombro dentro sé di presenze sgradite, di fantasmi, che si odiano e perseguitano, e una ulteriore “scoria” sono la forza e la potenza del male e di chi non si è opposto al male. Un peso, tutte queste cose, che tolgono il respiro, aggiunge Agnese Moro, che appesantiscono la vita.

L'intervento di Agnese Moro
L'intervento di Agnese Moro

“Un giorno mi sono accorta che tutto quello che avevo coperto aveva raggiunto i miei figli e ho capito che avevo trasmesso quel male a un’altra generazione e mi sono detta: basta”. Con l’aiuto di padre Guido Bertagna, gesuita, la figlia del presidente della Democrazia Cristiana intraprende il percorso di giustizia riparativa e incontra alcuni protagonisti del rapimento del padre. “Ci sono degli effetti straordinari da questa esperienza in cui le parole rivelano la possibilità di cambiare le cose – osserva – sono incontri complicati, difficili”. In quegli incontri si conosce anche il dolore di quelle persone che prima erano volti sconosciuti, prosegue Agnese Moro, il dolore di aver commesso cose irreparabili nella convinzione di certi ideali. Un dolore che crea un ponte, che apre al dialogo, in un continuo ascolto e confronto che danno vita, pian piano a una fiducia reciproca, “un legame, un venirsi incontro” che man mano fa dileguare i fantasmi. “E allora i fantasmi diventano persone, i sentimenti si disarmano, il dolore non crea altri fastidi e si può guardare avanti, con la padronanza di ciò che si è senza ‘ospiti sgraditi’”.

Dei presupposti necessari a chiunque voglia affrontare un percorso di giustizia riparativa parla padre Giancarlo Gola, gesuita e biblista, impegnato in un gruppo di giustizia riparativa, che a Vatican News-Radio Vaticana chiarisce che a tale programma si può arrivare "sicuramente dopo aver già compiuto un cammino di messa in discussione di sé", bisogna però avere anche "la voglia e il desiderio, anche se piccolo di incontrare l'altro, diverso da te, e incontrarlo in questo livello profondo di dialogo, che comunque è un evento che ti mette profondamente in questione". 

Ascolta l'intervista con padre Giancarlo Gola

Il dialogo via di rinascita

Calamita l’attenzione dei ragazzi anche Adriana Faranda, che narra della sua gioventù, dell’idea di giustizia che aveva, della sua militanza nelle Brigate Rosse e del percorso di giustizia riparativa intrapreso, “un cammino in fieri, una ricerca di sé stessi, ma anche un modo per capire, confrontandosi, cosa si era e ciò che si è commesso”. Contraria all’uccisione di Moro, si interroga ancora su cosa avrebbe potuto fare perché non venisse assassinato, per far valere il proprio dissenso. Ma parla anche di responsabilità, quella che ciascuno deve assumersi guardando al passato, e pure al presente e al futuro. “Indietro non si torna – sottolinea –, allora l’unico modo di tornare alla società e alle relazioni è trovare nuove strade che non abbiano a che fare con le vecchie”. Il percorso intrapreso “in piena libertà” l’ha fatta tornare ad “essere persona, essere Adriana, così come Agnese è tornata ad essere Agnese e non la ‘figlia di…’”, una dimensione in cui “si è autentici”.  “I conflitti si possono risolvere solo col dialogo, parlando – conclude –. E io adesso mi sento profondamente amica di Agnese”.

Un momento dell'incontro
Un momento dell'incontro

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22 gennaio 2024, 16:20