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don Tonino Palmese, garante dei detenuti di Napoli don Tonino Palmese, garante dei detenuti di Napoli

Don Palmese: il carcere come un santuario, qui si è prossimi a Dio

Le parole del nuovo Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Napoli: un garante che è anche sacerdote è già allenato all’empatia e alla compassione. Nominato all’inizio dell’estate, per anni è stato volontario in carcere e si è occupato di giustizia riparativa

Roberta Barbi – Città del Vaticano

È stato nominato garante dei diritti dei detenuti del Comune di Napoli il giorno prima della festa di San Basilide, patrono degli agenti di custodia, don Tonino Palmese, e forse non è un caso. Come San Basilide, infatti, nel 200 circa era un soldato addetto a scortare i condannati fino al luogo del supplizio, così don Tonino oggi accompagna i detenuti nel loro percorso di vita prima dentro e poi fuori dalle mura degli istituti di pena. E lo ha sempre fatto: già direttore dell’Ufficio Giustizia e Pace dell’arcidiocesi partenopea, è stato a lungo presidente della Fondazione Polis con cui si è occupato dei familiari delle vittime della criminalità organizzata promuovendo tante iniziative sui temi cari alla giustizia riparativa: “In questo senso la mia nomina è stata una continuità – spiega a Radio Vaticana-Vatican News – come sacerdote ho un’arma in più: sono allenato a quell’empatia e a quella compassione che permettono di vedere la regalità di Dio nell’altro, anche in carcere, e consentono quindi di misurare tutto con il dovuto rispetto e alla luce dello spirito di servizio che non deve mancare mai”.

Ascolta l'intervista con don Tonino Palmese:

L’estate in carcere: un amplificatore della sofferenza

I primi mesi del mandato di don Tonino sono coincisi con l’estate, che come ogni altro periodo di vacanza è particolarmente difficile per i detenuti: la lontananza dagli affetti, il pensiero all’esterno dove tutti si riposano e si divertono, rende il dolore più intenso. A tutto questo vanno ad aggiungersi le specifiche problematiche del gran caldo vissuto in strutture non attrezzate per combatterlo a dovere e del sovraffollamento causato dal proseguimento degli ingressi anche d’estate. “Ho visitato tutte e tre gli istituti della città (Poggioreale, Secondigliano e l’ipm di Nisida nda) e ho riscontrato che il disagio maggiore riguarda la qualità della vita, una vita che in queste strutture obsolete viene percepita come non più degna di essere vissuta – racconta – per fortuna ad alleviare un po’ queste situazioni ci sono i volontari e anche le istituzioni, pur con tutti i loro limiti”. Tra i problemi maggiori che il nuovo garante ha già individuato, c’è quello della sanità: “La situazione ricalca quella che c’è all’esterno in Campania – testimonia – nonostante le eccellenze e il mantenimento del servizio pubblico in tema di sanità, si registrano ritardi enormi nelle prestazioni e nelle diagnosi”.

Volontario, cappellano, garante: ognuno ha il suo ruolo

Per anni volontario in carcere, da ancora più anni sacerdote consacrato, ora garante dei diritti di alcuni tra i più deboli della società, don Tonino afferma l’intenzione di collaborare a stretto contatto con i cappellani: “Ognuno ha una propria dimensione identitaria profonda”, ha ricordato. Nessun pericolo di confusione tra i ruoli, dunque: “Soprattutto non si deve confondere né tantomeno mistificare la fede con la garanzia dei diritti e viceversa – ha aggiunto – il carcere è un’esperienza di prossimità così evangelicamente autentica dove non c’è confine tra la persona e il credente, ma c’è la possibilità di chinarsi sulle ferite di ognuno e sostenere in tutte le persone possibili resurrezioni”.

“L’uomo non è il proprio errore, ma un figlio di Dio destinato alla santità”

Tra le sue tante attività, don Tonino è anche docente in alcuni atenei universitari. Pochi giorni fa, durante un evento sul tema Nord-Sud svoltosi al Polo universitario con i detenuti, ci racconta di aver confuso un ergastolano con un educatore specializzato: “È stato proprio un bell’errore – sorride – mi ha chiesto come fosse cambiata negli anni l’immagine di Dio che avevo da giovane e io ho risposto con la solita sincerità, dicendo che se mai fossi padre, le uniche persone cui potrei affidare a occhi chiusi mio figlio sarebbero gli educatori carcerari, che sono la dimostrazione di quanto i ristretti possano cambiare anche grazie a loro e rivisitare le proprie esistenze. Il carcere è un santuario, perché è l’esperienza più grande e prossima a Dio che si possa fare oltre al sacramento dell’Eucaristia: solo qui si sperimenta che un uomo è altro da ciò che ha commesso, ma in quanto figlio di Dio è destinato alla santità”.

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27 settembre 2023, 10:00