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Il dolore dei sopravvissuti di Bucha Il dolore dei sopravvissuti di Bucha

Ucraina, cronaca di un anno buio della storia

Il 24 febbraio 2022 aveva inizio il conflitto nell'est Europa che sembrava impossibile potesse esplodere, ma i cui contorni si erano delineati sin dal novembre del 2021. Bucha, Mariupol e Zaporizhzhia, le città simbolo di una tragedia che non risparmiato nulla e nessuno

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Sono trascorsi 365 giorni dall'attimo in cui le lancette della storia si sono fermate per indicare uno dei momenti più bui del XXI secolo, quando la guerra è tornata protagonista nel cuore dell’Europa dopo molti decenni. Il 24 febbraio 2022, il conflitto in Ucraina ha avuto inizio dopo mesi di frizioni, dichiarazioni, minacce e timori che la crisi sarebbe sfociata in qualcosa di più grande. Il racconto di questo anno deve dunque partire dall’autunno 2021.

I russi al confine ucraino

Da novembre 2021 quasi 100 mila soldati russi vengono concentrati al confine ucraino. A metà mese Washington chiede spiegazioni urgenti a Mosca sul dispiegamento, definito “inconsueto”, di così tanti soldati alla frontiera. La risposta russa è che si trattava di abituali esercitazioni invernali. Un mese dopo, dialogando a distanza con l’omologo russo Putin, il presidente statunitense Biden parla di sanzioni economiche alla Russia nel caso di invasione dell’Ucraina. Il mese di dicembre è soprattutto il momento in cui Mosca propone alla comunità internazionale di mettere nero su bianco due sue richieste: vietare l’ingresso di Kyiv nella Nato e ritirare le forze atlantiche dai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Una settimana prima di Natale, per rispondere alla mancata risposta positiva circa le due richieste, la Russia invia 30 mila uomini in Belarus per “esercitazioni congiunte”. Di fatto l’Ucraina viene accerchiata e la Nato iniziava a rispondere sul campo inviando navi e armi da guerra al confine orientale dell’Europa.

La frattura tra Washington e Mosca

Le bozze di trattato proposte da Mosca vengono respinte oltreoceano ed anche il vertice di Parigi per favorire il processo di pace in Donbass si rivela fallimentare. Gennaio sarà un mese di crescente tensione, Washington decide di inviare migliaia di soldati in Europa orientale. Il 7 febbraio l’annuncio di Putin che si dice pronto a trovare una soluzione dopo un colloquio con l’Eliseo, ma che presto si rivela tutt'altra intenzione.  Bruxelles inizia allora ad evacuare i cittadini europei dall’Ucraina, gli Stati Uniti a spostare la loro ambasciata a Kyiv. Tutto lascia pensare a una escalation, ma il Cremlino prosegue in direzione opposta con il ritiro parziale dei suoi uomini in Crimea. In realtà la Nato fa sapere che i soldati al confine Ucraino sono quasi raddoppiati rispetto all’autunno e la Casa Bianca, citando fonti di intelligence, inizia a parlare di invasione imminente da parte dei russi. Il presidente ucraino Zelensky prova a chiedere un incontro a Putin, che rifiuta: è il pomeriggio del 19 febbraio.

Il rientro del presidente americano Biden negli Usa dopo la visita a Kyiv e Varsavia a un anno dal conflitto
Il rientro del presidente americano Biden negli Usa dopo la visita a Kyiv e Varsavia a un anno dal conflitto

Il riconoscimento di Donetsk e Luhansk

Passano solo 48 ore, in un discorso televisivo Putin riconosce l’indipendenza delle cosiddette repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Lo stesso giorno il Parlamento russo autorizza l’invio di truppe in quei territori. La sera, il Cremlino ripete la strategia delle settimane precedenti e annuncia che il dispiegamento di uomini “non avverrà subito” e che molto dipenderà dagli eventi. In realtà gli scontri nel Donbass sono aumentati in modo esponenziale nell’ultima settimana, un altro segnale chiaro di quanto sta accadendo. Due giorni dopo da Mosca arriverà l’ordine più temuto e da molti anche atteso: invadere l’Ucraina. È l’inizio della guerra.

L’incubo del nucleare

Il racconto di un conflitto lungo già un anno deve iniziare da quello che è considerato il peggiore dei rischi: la guerra nucleare. Il giorno stesso dell’invasione il presidente russo dichiara: “Chiunque tenti di crearci ostacoli e interferire, sappia che la Russia risponderà con delle conseguenze mai viste prima. Siamo preparati a tutto”. Tre giorni dopo il Cremlino mette in allerta il sistema di deterrenza nucleare del Paese. Diversi osservatori in quelle ore esprimono i timori che la Casa Bianca possa rispondere con una decisione analoga che, però, non viene attuata. La tensione resta alta, soprattutto nei primi mesi del conflitto ed ancora ad inizio autunno. In più occasioni diversi ufficiali, i media russi e lo stesso Cremlino ribadiscono con forza la possibilità che possano essere utilizzate le armi atomiche. Parlare di nucleare significa anche accendere i riflettori su Zaporizhzhia, dove si trova la centrale più grande di tutta Europa. Già nel primo mese del conflitto le truppe russe e ucraine si affrontano nella zona con l'esercito di Mosca che prende il controllo della centrale. In più occasioni, l’Agenzia Internazionale per il Nucleare definisce “gravissima” e “insostenibile” la situazione.

Una donna sfollata a Zaporizhzhia (Epa /Roman Pilipey)
Una donna sfollata a Zaporizhzhia (Epa /Roman Pilipey)

Il rischio di un conflitto tra Nato e Russia

L’altro rischio più temuto dalla comunità internazionale è quello di un intervento diretto della Nato in guerra. Dunque di una guerra tra i Paesi del Patto Atlantico e Mosca. Se per i russi l’ingresso della Nato è già avvenuto nei fatti, con il sempre maggior rifornimento di armi e mezzi a Kyiv, il momento più pericoloso si registra in autunno, durante la riunione dei leader del G20 a Bali, quando un missile colpisce un’azienda agricola a Przewodow, in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina. Le prime ipotesi circolate parlano di un ordigno russo su territorio Nato, anche se Mosca lo esclude immediatamente. Una posizione, quest’ultima, di fatto non smentita da Washington. I leader riuniti in Indonesia si confrontano, sono ore di massima tensione, poi l’annuncio del presidente polacco Duda: si è trattato di uno “sfortunato incidente”, ma "Kiev non ha colpe", precisa il giorno seguente il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Questa è la dimostrazione – aggiunge - che la guerra di Putin crea situazioni pericolose. Putin deve fermare questa guerra”.

Il massacro di Bucha

La guerra però non si ferma e ha, come ogni conflitto, degli spartiacque. Uno di essi è certamente il massacro di Bucha. Compiuto nel mese di marzo e diventato evidente agli occhi del mondo il 3 aprile. Le foto e i video che arrivano dalla città ucraina a pochi chilometri dalla capitale provocano orrore e indignazione generale: fosse comuni con centinaia di cadaveri, racconti di torture dei superstiti, mine lungo le strade, corpi con le braccia legate. Il presidente ucraino Zelensky parla di genocidio e accusa i russi di crimini di guerra. “Senza fede non potremmo sopportare la vista di tanti orrori”, dirà il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, dopo aver pregato, in ginocchio, davanti ad una delle fosse comuni della cittadina ucraina.

I referendum russi

Alla fine di settembre i funzionari russi insediati nei territori ucraini occupati indicono il cosiddetto referendum di annessione che riguarda quattro macroaree dell’Ucraina: le regioni separatiste  di Donetsk e Luhansk, e i territori di Kherson e Zaporizhzhia, sottoposti dalla Russia ad amministrazione militare e occupati nel primo mese della guerra. Mosca non controlla completamente nessuna di queste quattro aree. Il risultato, considerato dalla comunità internazionale una farsa, rivela percentuali in media vicine ai 90 punti a favore dell'annessione. Le Nazioni Unite dichiarano i referendum illegali, ai sensi del diritto internazionale, ma la settimana successiva al voto, il 3 ottobre, la Duma ne ratifica l'esito con il voto parlamentare.

L’accordo sul grano

Le conseguenze della guerra in Ucraina riguardano non solo l’Europa, ma anche gli altri continenti. Un esempio di ciò è la questione del grano, definita anche “guerra del grano” nei primi mesi del conflitto. Si tratta del blocco delle esportazioni del grano ucraino attraverso il Mar Nero. L’accordo per una ripresa delle esportazioni arriva solo dopo cinque mesi di guerra, il 22 luglio. Un patto prolungato lo scorso novembre per quattro mesi, dunque fino al termine della stagione invernale. L’accordo, entrato in vigore il primo agosto, viene sospeso dalla Russia dopo l’attacco ucraino alla baia di Sebastopoli e successivamente riattivato. A sancire l’intesa la scorsa estate sono il presidente turco Erdogan e il segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres. Viene così garantito il passaggio sicuro di decine di milioni di tonnellate di grano attraverso il Mar Nero, bloccate da circa 150 giorni a causa della guerra. L’accordo inizialmente riguardava il grano fermo nei silos dei porti ucraini di Odessa, Chornomorsk e Yuzhny. Tra le condizioni dell'accordo anche un centro di coordinamento a Istanbul, da cui i rappresentanti di Russia, Ucraina e ovviamente Turchia e Nazioni Unite avrebbero monitorato il passaggio delle navi attraverso un tragitto libero dalle mine. L'accordo contiene anche la garanzia reciproca che non vi sarebbero stati attacchi alle navi e operazioni militari durante le operazioni di carico e trasporto.

In primo piano il presidente turco Erdogan, alla sua sinistra il segretario di Stato americano Blinken (Afp)
In primo piano il presidente turco Erdogan, alla sua sinistra il segretario di Stato americano Blinken (Afp)

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23 febbraio 2023, 08:20