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Carcere, guarire con le foto nel mondo dell’impossibile

Inizia nell’ormai lontano 2015 nella casa di reclusione di Civitavecchia questo progetto del fotografo romano Guido Gazzilli, che si allarga poi agli istituti romani di Regina Coeli e Rebibbia. Oggi questo laboratorio è diventato il libro “Everyday Shoes” presentato alla Triennale di Milano

Roberta Barbi – Città del Vaticano

C’è una foto tutta nera in cui non si vede niente; molti direbbero che è uno scatto venuto male, ma qualcuno, invece, dice: “È quello che ho nella mia testa, il buio più totale”. Un’altra foto. Ritrae una scritta, grande, con la parola inglese Life, che in italiano significa Vita. Molti si interrogherebbero su cos’è quella scritta - magari un’insegna pubblicitaria – ma c’è qualcuno per cui, invece, simboleggia “il dono più grande mai ricevuto”. Un’altra fotografia mostra un vecchio che cavalca un asino. Una bella immagine di qualche realtà rurale sperduta, si direbbe, ma c’è qualcuno a cui ricorda i propri errori e a cui fa nascere dentro la speranza “di tornare a cavalcare, magari, però un cavallo”. È in questo modo che le foto parlano, in maniera diversa, a chi le guarda, e tirano fuori realtà sepolte, magari dolorose: “L’obiettivo era proprio dare spazio alle persone detenute, affinché fossero libere di raccontarsi come volevano”. Descrive così Guido Gazzilli il progetto che per anni ha portato avanti in diversi istituti di pena del Lazio: semplicemente mostrando fotografie d’autore ai ristretti, che potevano, poi, parlare liberamente delle sensazioni che queste suscitavano.

Ascolta l'intervista con Guido Gazzilli:

Più che un laboratorio trattamentale, un percorso terapeutico

Ed è così che un’iniziativa nata quasi per gioco, sette anni fa, “da una richiesta di un’assistente sociale con cui collaboravo”, per Guido diventa un progetto impegnativo che assieme a lui coinvolge una trentina di detenuti che s’incontrano regolarmente per scegliere e commentare le foto di autori, sempre di più, che negli anni si sono messi in gioco donando i loro scatti più significativi. “All’inizio i detenuti fanno molta fatica ad aprirsi, perché il carcere è così: più ti apri più soffri – continua Gazzilli – poi, una volta guadagnata la loro fiducia, abbiamo raccolto storie molto intense di abusi, amori perduti, famiglia, amici che non ci sono più… ed è stata anche un’occasione per loro di stare insieme: dal momento che provenivano da sezioni diverse, molti non si conoscevano o altri, semplicemente, si sono conosciuti meglio e magari hanno avuto la possibilità di appianare alcune divergenze”.

Gli uomini dalle scarpe sempre pulite

Oggi questo ampio progetto è diventato un libro che è stato presentato qualche giorno fa alla Triennale di Milano. Il titolo è “Everyday shoes”, ed è un titolo significativo per chi desidera mettersi nelle scarpe di coloro che vivono il proprio quotidiano in carcere, ma che nasconde anche un aneddoto: “Le prime volte che andavo in carcere avevo notato che i detenuti avevano le scarpe sempre pulite – racconta ancora Gazzilli – mi ero proprio fissato su questa cosa e mi ero convinto che i loro familiari ci tenessero particolarmente dal momento che compravano loro scarpe sempre nuove. Poi un giorno non ce l’ho fatta più e l’ho domandato a uno di loro. La risposta è stata: ma dove vuoi che ce le sporchiamo le scarpe, camminando sempre qui dentro? È stato un pugno nello stomaco, che mi ha fatto pensare a quante cose di chi è dentro, anche le più piccole, chi è fuori non può capire”. E così, oltre a dare loro la voce, Guido ha dato loro un volto: “Ho iniziato a fotografare anche loro, è stato strano per molti vedere quanto il loro volto era cambiato nel tempo sospeso della detenzione”.

Coppia che si bacia (foto Guido Gazzilli)
Coppia che si bacia (foto Guido Gazzilli)

Nel mondo dell’impossibile

Questa è stata l’esperienza di Guido Gazzilli nel mondo dell’impossibile, cioè il carcere dove qualunque cosa si voglia realizzare, trova sempre milioni di ostacoli. E allora ci spiega perché come mai qui, dove si ha bisogno di tutto, c’è bisogno anche di arte: “Non si tratta di portare l’arte in carcere, perché l’arte è dentro ognuno di noi. In questo percorso ho visto tanti detenuti portarsi in cella le foto che sceglievano, metterle in tasca, tenerle sempre con sé per riguardarle… e poi, anche se non avevano quello che chiamiamo ‘l’occhio fotografico’ comunque le hanno commentate come fossero grandi artisti. Questo dimostra esattamente che l’arte è qualcosa che abbiamo dentro e va solo tirata fuori”. Ed è così, quasi come per magia, che i ricordi possono diventare propositi e i propositi mutarsi in veri cambiamenti, se la foto di uno stormo di gabbiani che vola in cielo per qualcuno diventa il sogno di un futuro di libertà che trasformerà, finalmente, il mondo dell’impossibile nel mondo del possibile. Anzi, in realtà.  

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28 ottobre 2022, 09:45