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La vita da record del “Maradona delle carceri”

Ex promessa del calcio ed ex detenuto, Fabrizio Maiello oggi è un uomo libero che cerca di restituire il bene che ha ricevuto e lo fa con il pallone sulla punta del piede: in occasione della recente festa della Natività della Beata Vergine a Reggio Emilia ha stabilito un nuovo record, un chilometro e mezzo di palleggi

Roberta Barbi – Città del Vaticano

In tasca l’immaginetta della Beata Eusebia Palomino ricevuta in dono quando era in carcere; sulla punta del piede il pallone, che non fa cadere mai, Fabrizio, facendolo saltare dal piede alla fronte, con una naturalezza che tradisce il suo passato da promessa del calcio. È “la Madonnina”, come la chiama lui, che lo aiuta a stabilire i suoi record della solidarietà e lui la ringrazia, pregando. Anni fa, però, quel santino Fabrizio lo accompagnava a un altro calcio, quello della pistola, intorno al quale lo arrotolava quando usciva per fare le rapine, sperando che lo proteggesse dall’uccidere qualcuno. “Ce l’avevo pure quando ho tentato di rapire il calciatore Zola, quando giocava a Parma – racconta – lui si era fermato a una pompa di benzina, io mi sono avvicinato, lui mi ha sorriso e io non ce l’ho fatta: gli ho chiesto un autografo e me ne sono andato”. È una prima scintilla che brilla nell’animo buono di Fabrizio, ma c’è bisogno di altri inneschi prima che si accenda in lui il fuoco della conversione.

Ascolta l'intervista con Fabrizio Maiello:

Un cuore gonfio di rabbia

Fabrizio vive alle porte di Milano, in una famiglia semplice, originaria di Napoli: per questo ha una gran passione per Maradona e per il calcio. A questo sport dedica ogni minuto della sua vita, trascurando anche la scuola: gli hanno detto che è bravo, entra nel Monza per diventare un campione, come il suo idolo. “Oggi lo dico a tutti gli studenti che incontro – spiega – va bene la passione, ma dovete studiare sempre, non come ho fatto io!”. Un giorno, in allenamento, si rompe un ginocchio e assieme a quello si rompe anche il sogno a cui aveva votato la sua esistenza. “Sono cambiato, proprio io che non avevo mai fumato né bevuto, che andavo a Messa tutte le domeniche con mia madre – ricorda – all’improvviso ho fatto tutto quello che non avrei mai dovuto fare, mi sono perso… provavo tanta rabbia, solo rabbia, volevo spaccare il mondo, fare male a me stesso e agli altri…”. Così arriva alla droga, alle rapine e poi, inevitabilmente al carcere. Fabrizio entra ed esce da San Vittore, finché non sprofonda ancora più giù: con l’ultima condanna finisce nell’opg di Reggio Emilia, uno di quegli ospedali psichiatrici giudiziari che finalmente l’Italia ha eliminato nel 2015.

Fabrizio e Giovanni in cella all'opg (foto Claudio Cricca)
Fabrizio e Giovanni in cella all'opg (foto Claudio Cricca)

Un angelo chiamato Giovanni

“È stato come sprofondare in un buco con le sabbie mobili intorno, non so descriverlo altrimenti – rievoca il suo ingresso in opg – mentre ero lì, legato nel letto di costrizione, senza potermi muovere, senza potermi nutrire né pulire da solo, ho avuto tanto tempo per riflettere e mi sono detto: io che dovevo essere un campione che ci faccio qui?”. Ma in quel luogo di orrore, tra tanti fantasmi di disperazione, Fabrizio distingue un lamento, un grido a cui gli altri ospiti rispondono tirando rifiuti verso la cella da cui proviene. Fabrizio, invece, ascolta quel dolore, non riesce a ignorarlo e viene a sapere che si tratta di Giovanni, un ospite molto malato a cui il dottore ha dato tre mesi di vita. “L’ho voluto con me, contro il parere di tutti – racconta con la semplicità che lo contraddistingue – all’inizio aveva paura, poi si è lasciato avvicinare, si è lasciato lavare e curare…”. Fabrizio nella sagoma smagrita e nel volto spaventato di Giovanni vede Gesù: “Ancora non capivo che curando Giovanni stavo curando me stesso”, dice con la voce rotta dalla commozione. Inaspettatamente Giovanni guarisce e i due restano in cella insieme per cinque anni. Fabrizio inizia a cambiare e pian piano riprende a dare calci a quel pallone che non aveva più voluto neanche vedere. Poi Giovanni esce, finalmente libero, e Fabrizio resta di nuovo solo.

Gli allenamenti di Fabrizio
Gli allenamenti di Fabrizio

Una nuova famiglia

“In opg io e Giovanni, e poi il pallone, eravamo una famiglia – prosegue – avevo cercato di tagliare i ponti con la mia, non volevo che mia madre facesse tutta quella strada per venire a trovarmi, i miei sbagli non dovevano pesare sulla sua vita”. Ma Fabrizio ora non è più solo: accanto a lui c’è Daniela che fa l’infermiera nell’opg ed è rimasta colpita dall’amore con cui si è occupato di Giovanni, riportandolo alla vita. Un giorno Daniela nota che Fabrizio ha le scarpe rotte a causa dei tanti palleggi che lo aiutano ad andare avanti, giorno dopo giorno, in quel posto senza più il suo amico. Decide di regalargliene un paio nuove. Lo conquista così e da allora non si sono più lasciati. Oggi Daniela accompagna Fabrizio nelle sue imprese a fin di bene, nei record di palleggi per beneficenza, ma anche negli ospedali e nelle scuole dove lui concede volentieri la sua testimonianza, affinché “nessuno arrivi così in basso dove sono arrivato io”. Fabrizio ha ben chiaro come sarà la sua vita d’ora in poi: “Voglio restituire almeno un po’ di tutto quell’amore che ho ricevuto, spero che questo possa servire a riparare il male che ho fatto". "L’opg era un posto brutto, bruttissimo, molto peggiore del carcere - conclude - ma io gli devo tutto perché lì ho trovato l’amore, Daniela, e ho trovato un angelo, Giovanni, che oggi mi protegge da lassù”.  

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La lunga amicizia di Fabrizio e Giovanni
18 settembre 2022, 08:00