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Il cattle camp, il viaggio dei pastori Dinka del Sud Sudan

Nel campo bestiame vivono diverse famiglie che dividono la loro esistenza con le vacche. John Maker, logista Cuamm, racconta la storia di uno di questi campi, quello di Yirol, oggi in pace dopo anni di guerra e violenza

Francesca Sabatinelli - Yirol

Una volta che hai le vacche hai delle proprietà, sei ricco, è come avere un conto in banca, che però non si tocca, se non per le cerimonie o per sfamare la famiglia. Per i Dinka, fiera tribù di guerrieri del Sud Sudan, le vacche sono sacre, tanto da darne il nome ai propri figli, che cresceranno con un proprio vitellino da accudire. In tutto il Paese i Dinka sono circa un milione e mezzo, sparsi nel vasto territorio che attraversano con le loro mandrie, il più delle volte paralizzando la circolazione di camion, fuoristrada, moto e biciclette che percorrono le strade sterrate che collegano i principali centri, come quella da Rumbek a Yirol, nello Stato dei Laghi.

Il campo e le famiglie

Un kalashnikov per bastone

“Questa è oggi la nostra vita, noi viviamo così”, spiega John Maker, proprietario di vacche e, allo stesso tempo, logista di Medici con l’Africa Cuamm a Yirol. “Nel cattle camp (campo di bestiame) vivono diverse famiglie, di differenti tribù, la vita a volte è difficile, a volte è facile”, aggiunge, con lo sguardo rivolto alla sterminata distesa di animali tra i quali saltellano e giocano alla lotta bambini scalzi, spesso nudi, col corpo cosparso di cenere per tenere lontani gli insetti. “Adesso la situazione è tranquilla, non c’è la guerra, siamo in pace.  Soltanto poco tempo fa bastava una azione di disturbo verso il bestiame di qualcuno per far scoppiare la violenza”. I Dinka sono il principale gruppo etnico del Sud Sudan, per lo più cristiani, mai convertitisi all’islam diffusosi in Sudan. Punto fermo della loro esistenza è il bestiame, ma per anni il bastone con il quale conducono la mandria è stato sostituito dal kalashnikov, durante la guerra con l’altra principale etnia, i Nuer.

Le speranze di pace e l’azione umanitaria

Dal 2013 al 2020 il Sud Sudan ha vissuto un massacro perpetrato per ragioni politiche ed economiche, con il petrolio sul quale galleggia il Paese come posta in gioco e ragione di violenze, uccisioni, torture e stupri, con un bilancio di circa 400 mila morti e di oltre 2 milioni tra sfollati e rifugiati, il numero più alto di tutta l’Africa. Oggi le speranze di pace in questo che è tra i più poveri Paesi del mondo, con oltre il 60% della popolazione a rischio fame, sono legate ad un flebile accordo, che però permette a John di poter dire che adesso si è in pace. “Ora è facile vivere nel cattle camp, si apprezza la vita del campo e la vita della città, dove si va per acquistare cibo e per fare affari, vendendo il latte delle mucche o anche un capo di bestiame all’asta, quando è necessario per combattere la fame”. Da 16 anni John lavora con Cuamm, attraverso la quale aiuta i più poveri e più deboli della sua comunità. “Cuamm qui è importante. Yirol non era così, c’è una grande differenza rispetto a prima, perché laddove esistono strutture sanitarie, è lì che la popolazione va, ed è lì che la città cresce. L’arrivo dei dottori italiani ha cambiato molto le cose e le persone sono grate della loro presenza”.

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04 luglio 2022, 15:31