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Un momento dello scrutinio per l'elezione del Presidente della Repubblica in Italia Un momento dello scrutinio per l'elezione del Presidente della Repubblica in Italia 

Voto in Italia, Giovagnoli: in evidenza la debolezza dei partiti

Si moltiplicano incontri e consulti all’interno dei partiti e tra diversi schieramenti e delegazioni dopo il terzo giorno di votazione senza risultati in Parlamento per scegliere il capo dello Stato. Si passa alla maggioranza assoluta. Lo storico Agostino Giovagnoli: la forza di ciascun schieramento non sta nel cercare visibilità e posizioni di potere, ma nel fare scelte di convergenza

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Per l’elezione del presidente della Repubblica in Italia, la giornata di oggi segna un passaggio significativo: dopo tre votazioni a maggioranza qualificata, oggi il quorum scende a 505 voti, cioè lo scrutinio passa a maggioranza assoluta. Evitare un muro contro muro tra schieramenti: è l’intenzione dichiarata   dai leader del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle, perché si  rischierebbe – hanno dichiarato - di precipitare l'Italia nell'instabilità.  Il segretario del Pd, Letta, annuncia un possibile risultato per domani,   e -  assicura - "non ci sarà un presidente di destra". Il ministro Di Maio dei 5Stelle  si unisce a Letta nel ribadire: 'Cerchiamo un nome condiviso'. Non viene considerato tale nessuno dei nomi proposti finora dalla coalizione di centrodestra. L’equilibrio è tra possibili spaccature di coalizione e rottura della maggioranza di governo.

Anche la terza votazione di ieri è andata a vuoto, mentre sono calate le schede bianche: sono arrivati 125 voti per un secondo  di Mattarella e 114 preferenze a Guido Crosetto, l’imprenditore ex parlamentare che ha ottenuto quasi il doppio dei consensi dei 63 grandi elettori di Fratelli d’Italia (Fdi) che avevano dichiarato di votarlo.  52 le preferenze espresse per Pier Ferdinando Casini, senatore, già presidente della Camera dei deputati dal 2001 al 2006, di cui si parla sempre di più in queste ore.  Per il resto si registrano incontri a tanti livelli, di cui alcuni riportati dalla stampa e poi smentiti.  

Non è la prima volta che si devono attendere più votazioni per arrivare all’elezione, ma indubbiamente in questi giorni si sta scrivendo una particolare pagina della storia politica dell’Italia per una elezione presidenziale che ha dirette ricadute sull’equilibrio del governo. Della particolare situazione abbiamo parlato con lo storico Agostino Giovagnoli, professore ordinario presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore:

Ascolta l'intervista con Agostino Giovagnoli

Per usare un’espressione che esprima le difficoltà che si respirano per questo voto lo storico Giovagnoli usa una metafora: la politica è malata, ma la malattia è la debolezza dei partiti. Le vicende di questi giorni rilevano - mette in luce Giovagnoli - questa debolezza, che rappresenta una costante degli ultimi ultimi 30 anni e che oggi si avverte con particolare forza. E’ evidente, perché - spiega -  i partiti non sono in grado di indicare la strada,  che non deve corrispondere alla espressione di “forza” di uno o dell’altro, ma dovrebbe essere espressione del sistema dei partiti nel loro complesso. Il punto - sottolinea - è che il sistema risulta indebolito.I partiti dovrebbero convergere in scelte per il bene del Paese ma, meno sono forti, meno riescono a convergere su una scelta. 

I rischi di un Parlamento diviso

Lo storico spiega ancora che è normale che il Parlamento raccolga personalità, idee più diverse. Ma oggi si parla di Parlamento particolarmente diviso in base a un concetto preciso e legato al fatto che i partiti non sono in grado di far convergere rappresentanze parlamentari in alleanze o altre forme di convergenza. E’ normale che ogni parlamentare abbia un suo bagaglio ma i partiti dovrebbero costituire quel fattore di equilibrio che spinge alla ricerca di convergenze. Dunque - commenta Giovagnoli -  torna evidente oggi la questione della loro debolezza, una debolezza che sembra destinata anche in futuro a pesare sul governo. Secondo Giovagnoli i partiti vogliono avere un peso, giocare un ruolo cercando visibilità, e questo significa avere obiettivi limitati e non un grande disegno strategico. La forza reale - secondo lo storico  - non corrisponde alla capacità dei partiti di occupare posizioni di potere, piuttosto a quella di compiere delle scelte.

La particolarità di un affollato gruppo misto

Altro aspetto messo in luce dallo storico in questa fase è che nel Parlamento si è raggiunto un numero senza precedenti di deputati che hanno lasciato la parte politica di appartenenza, al momento in cui sono stati eletti, per ritrovarsi nel cosiddetto gruppo misto. Certamente, se il fenomeno è eccessivo nei numeri siamo di fronte a una "degenerazione del sistema":si tratta di quasi cento persone su 1009 grandi elettori. La risposta però  - sottolinea Giovagnoli - non può essere quella di mettere in dubbio la legittimità di cambiare, tutelata dalla Costituzione con l’Articolo 67.  Non è un problema di norme da cambiare per impedire il passaggio. Piuttosto – ribadisce – bisogna interrogarsi su quanto accade a monte: un numero così alto indica quanto è cambiata la politica in Italia e quanto rapidamente siano cambiati i partiti. Alcuni – sottolinea - hanno proprio cambiato natura.

La presidenza, un ruolo decisivo

Viene riconosciuto – come ha ricordato il presidente uscente Mattarella – che il  presidente della Repubblica in Italia è arbitro nel gioco costituzionale. Giovagnoli a questo proposito spiega che in uno scenario frammentario è chiaro che diventa ancora più importante il ruolo di arvitro. Se i partiti acquistano forza – ribadisce -  il suo  ruolo è meno impegnativo, al contrario ci può essere una situazione difficile come quella che ha affrontato e gestito Mattarella nel suo mandato. Il presidente – afferma Giovagnoli - non è una figura politica, ma deve avere una grande cultura  politica e una forte sensibilità politica.

Ultimo aggiornamento 27 gennaio ore 9:00

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25 gennaio 2022, 20:24