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Alcuni sostenitori dei militari golpisti - Burkina Faso Alcuni sostenitori dei militari golpisti - Burkina Faso 

Burkina Faso, l'Onu condanna il golpe

Il segretario generale Guterres chiede di deporre le armi e garantire la protezione del presidente Christian Kaboré arrestato dai militari insorti. Preoccupazione espressa anche dal presidente della commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat

Gabriella Ceraso - Città del Vaticano 

Il segretario generale dell'Onu, António Guterres, ha condannato "con forza qualsiasi tentativo di prendere il potere con la forza delle armi", ribadendo "l'impegno assoluto delle Nazioni Unite per la tutela dell'ordine costituzionale e l'appoggio al popolo del Burkina Faso per trovare soluzioni ai diversi problemi del Paese". Infine, l'appello al dialogo per uno Stato segnato da una grande insicurezza nazionale. Dello stesso tenore la dichiarazione del presidente della commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, che ha indicato che “segue con profonda preoccupazione la gravissima situazione”

I golpisti, militari del MPSR

I soldati che si sono ammutinati domenica in diverse campi militari del Paese, fanno parte del Movimento patriottico per la salvaguardia e la restaurazione. Hanno catturato il presidente Kaboré salito al potere dal 2015 e rieletto nel 2020 con la promessa mancata a detta di tutti gli insorti e della popolazione, di fare della lotta contro i jihadisti una priorità. Con lui in custodia anche il presidente del Parlamento e alcuni ministri. La richiesta degli insorti resa esplicita dai soldati e sin, dalla giornata di sabato, dai manifestanti scesi in piazza, è un cambio di strategia contro i jihadisti, che tengono in ostaggio il Paese in uno stillicidio di violenza che ha generato oltre 1000 morti e più di un milione di sfollati. Vane le promesse di fronteggiarlo da parte del presidente, come si è detto. Servono invece personale e stipendi più alti e regolari, urgono mezzi appropriati per competere con i gruppi terroristici che pagano meglio del governo e ancora serve un miglior addestramento.

Quello di queste ore è il terzo colpo di Stato nel Paese, dove, dall'elezione il presidente Kaboré, è stato sempre più sfidato da una popolazione stufa della violenza jihadista e della sua incapacità di affrontarla. Gli ammutinamenti arrivano in un momento in cui il Sahel è sempre più destabilizzato a violenza ha costretto circa 17.500 persone a lasciare il Paese nel 2021, secondo l'Onu. Ad oggi, lo stato di emergenza e' stato dichiarato in 14 delle 45 province del paese per facilitare la lotta contro il terrorismo. Dal 2019, il coprifuoco e' stato imposto in queste regioni e regolarmente esteso. Gli attacchi all'esercito burkinabe' hanno, sempre più spesso negli ultimi mesi, provocato l'indignazione della popolazione, che ha organizzato manifestazioni spontanee in diverse località del Paese, costringendo, a novembre, il presidente ad ammettere "disfunzioni" che devono "essere corrette". Un'ammissione che non ha visto soluzioni, provocando l'esasperazione della popolazione che soffre sempre piu' anche gli effetti di una crisi economica quasi inarrestabile.  Il golpe era dunque un'opzione che molti osservatori avevano paventato come "possibile" e che ha preannunciato, ai nostri microfoni qualche ora prima della notizia, padre Ludovique Tougouma della Comunità Missionaria di Villaregia a Ouagadougou.

Ascolta l'intervista a padre Ludovique Tougouma

Il bene del Paese e la pace, sono la cosa più importante

Il sacerdote parla della confusione di questi ultimi giorni, del taglio delle comunicazioni via internet: non sapevamo cosa accadesse fino a stamattina - dice - quando hanno iniziato a circolare le voci del colpo di Stato. Non c'è movimento di massa per le strade ma, spiega il sacerdote, l'esercito e la popolazione da tempo sentivano quanto il governo fosse incapace di gestire la sicurezza: "troppi gli attacchi e la reazione troppo debole". L'aspetto nuovo di cui parla padre Tougouma -  è la crescente presa di coscienza da parte della popolazione che può far sentire la propria voce e che può reagire davanti ad un problema comune come in questo caso la sicurezza. "Oggi non è facile strumentalizzare la popolazione senza avere una reazione". Una consapevolezza maggiore dunque di appartenenza al Paese che è importante. La pace- aggiunge - è anche l'unica strada che abbiamo per far rientrare quanti sono scappati dalle violenze. Il problema degli sfollati è grande sia per noi che ne accogliamo dagli Stati vicini , sia per quanti da questa terra sono andati via e ora non hanno la possibilità di tornare

La Chiesa diffonda l'impegno per la pace

In questo contesto cosa può fare la Chiesa locale? Chiedere e spingere ad essere uniti - ci risponde- perchè seppure nelle diversità l'insicurezza è un nemico comune e allora "l'appello che noi lanciamo - afferma - anche nelle nostre prediche è a lasciare da parte ciò che divide e lottare insieme contro la mancanza di pace che fa male a tutti". Diciamo al popolo - sottolinea- "stringiamoci per lottare insieme", "nella pace, se c'è, si risolvono tutti i problemi", ora il Paese è il pericolo.

(Ultimo aggiornamento 25.01.22 ore 9.00)

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24 gennaio 2022, 13:53