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Libia: miliziani Libia: miliziani 

Colpo di mano delle milizie in Libia a pochi giorni dalle elezioni generali

Notte di alta tensione a Tripoli: nella tarda serata di ieri un gruppo di uomini armati ha circondato la sede del locale governo, dove si trova l'ufficio del primo ministro, Abdul Hamid Dbeibah. Sembra invece siano al sicuro il presidente al Menfi e gli altri membri del Consiglio presidenziale. Il blitz potrebbe mettere a rischio tutto il processo elettorale che si conclude col voto del 24 dicembre prossimo

Fausta Speranza e Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Svolta preoccupante in Libia quasi alla vigilia della prima tappa sulla via della normalizzazione, ovvero il voto previsto il 24 dicembre prossimo. Un gruppo di uomini armati ha circondato l'ufficio del primo ministro libico, Abdul Hamid Dbeibah, a Tripoli. Ma è proprio il primo punto che è stato chiarito dal leader della milizia della Brigata Al-Samoud che ha circondato la sede del governo: secondo quanto riferisce Sky News Arabia, il capo Salah Badi ha dichiarato che "in Libia non ci saranno elezioni presidenziali”. "Chiuderemo tutte le istituzioni statali", ha annunciato. Badi, figura nella lista nera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dal novembre 2018. Ieri, secondo quanto riportato dall’emittente al Arabiya, aveva usato parole dure contro l'inviata delle Nazioni Unite, Stephanie Williams, che si era recata a Misurata per incontrare le autorità locali, ma anche i leader militari e di gruppi armati in vista delle elezioni, accusandola di essere una presenza criminale in Libia.

Black-out a Tripoli

Secondo i media locali, il presidente del Consiglio presidenziale, Mohammed al Menfi, e i membri dello stesso Consiglio sono stati trasferiti in un luogo sicuro, dopo aver ricevuto informazioni sull'intenzione delle milizie armate di assaltare le loro case. I media locali mettono in relazione quanto accaduto con la decisione di Menfi – nel suo ruolo di capo delle forze armate - di rimuovere il capo del distretto militare della capitale libica, Abdel Basset Marwan,  considerato troppo legato al periodo della guerra contro il generale Kalifa  Haftar. Una decisione contestata dalle milizie che ritengono di essere state private di un loro "protettore". Di certo c’è che Tripoli ha vissuto una notte con interi quartieri senza elettricità e mezzi blindati per le strade del centro.

A rischio il progetto della Libia unita

L'episodio della notte scorsa è il segnale preoccupante ancora una volta di quanti interessi in conflitto permangano ancora in Libia. Secondo Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro Studi Internazionali (Cesi), c'è il rischio della parcellizzazione del territorio. I poteri locali non accennano a fare un passo indietro di fronte alla possibilità di avere istituzioni nazionali unitarie, in cui evidentemente non si riconoscono. Il rischio è che si torni - afferma Iacovino - ad un confronto armato su larga scala con scontri sempre più violenti.

Ascolta l'intervista a Gabriele Iacovino

Un episodio, quello avvenuto in Libia, che purtroppo fa pensare a un tramonto delle speranze di stabilizzazione nel Paese praticamente a pochi giorni dalle elezioni generali?

Purtroppo si, se di speranze abbiamo potuto parlare nel corso di questi mesi. Abbiamo avuto l'idea che attraverso un più o meno celato accordo si potesse arrivare alle elezioni, ma di fatto gli avvenimenti della scorsa sera dimostrano ancora una volta quanto è instabile la situazione nel Paese, quanti interessi e influenze si vadano a dipanare sulla Libia e quanto gli stessi attori libici siano ancora in una fase di difficile contestualizzazione del potere, di lotte intestine, che di fatto continuano a bloccare una strutturazione delle istituzioni, ma anche la stessa stabilizzazione del Paese sempre ovviamente poi a discapito dei cittadini libici.

E’ come se si fosse organizzata una stabilizzazione voluta dall'esterno, ma mai veramente voluta all'interno?

Ma anche la stabilizzazione voluta dall'esterno è sempre stata una stabilizzazione che ha seguito le influenze degli attori che hanno proposto questa stabilizzazione. Lo stesso percorso che avrebbe dovuto portare alle elezioni e nelle prossime settimane, se vogliamo, è stato anche un’accelerazione, un tentativo per cercare di utilizzare lo strumento elettorale come anche grimaldello in vista di una stabilizzazione o almeno di dialogo tra le parti. Comunque il dialogo in Libia, per una serie di questioni che hanno profonde radici sociali, storiche ed economiche, non va avanti. Il rischio è sempre quello poi ritornare ad una lotta intestina, di ritornare a degli scontri. Il problema è che ogni volta che poi dalle parole si passa ai fatti il livello di scontro, livello di violenza sale sempre di più e quindi poi il rischio è che avvengano contrapposizioni sempre più violente. Ovviamente ci sono anche, tra virgolette, dei segnali positivi e questi segnali positivi sono relativi sempre un po' anche al perché è successo quello che è successo ieri sera, che sembra essere più uno scontro di potere interno alle milizie che controllano Tripoli, piuttosto che una reale volontà di colpo di stato ovvero di un'escalation su larga scala nel Paese.

La leadership dei miliziani, che hanno effettuato questo colpo di mano, ha affermato che non ci saranno elezioni e saranno esautorate tutte le istituzioni libiche. Quale scenario si prefigura nel futuro immediato?

Ovviamente quando gli attori libici parlano poi bisogna vedere anche quali siano le reali intenzioni di chi li sostiene. Parliamo di Turchia, del Qatar, che negli ultimi mesi hanno comunque cercato di facilitare un dialogo per una stabilizzazione del Paese, come dall'altra parte hanno fatto l’Egitto e gli Emirati. Ma in questo momento alzare il livello di scontro non conviene a nessuno, anche perché nessuno oggi ha la forza di controllare tutto il Paese. Il rischio più grande torna essere la presenza in Libia di questi poteri diffusi che controllano, ognuno dei quali, piccole parti del Paese e che rimangono comunque il più grande ostacolo per la stabilizzazione.

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16 dicembre 2021, 07:36