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La veglia di preghiera ad Addis Abeba per le  migliaia vittime nella regione del Tigray, ad un anno dall'inizio del conflitto (Eduardo Soteras / Afp) La veglia di preghiera ad Addis Abeba per le migliaia vittime nella regione del Tigray, ad un anno dall'inizio del conflitto (Eduardo Soteras / Afp)

Stato di emergenza in Etiopia: i ribelli vicini alla capitale

Ad un anno esatto dall’inizio del conflitto nel Tigray, la guerra ha assunto un carattere nazionale portando il governo a dichiarare lo stato di emergenza. Le Nazioni Unite chiedono un immediato cessate il fuoco, in un Paese dove la popolazione ha pagato già un prezzo altissimo per il conflitto nella regione più a Nord. L'intervista a Roberto Ridolfi, presidente di Link2007: "Favorire subito il dialogo e gli aiuti umanitari"

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Il governo etiope ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale con effetto immediato e le autorità di Addis Abeba hanno comunicato ai cittadini di prepararsi a difendere la capitale, Addis Abeba, poiché i combattenti della regione settentrionale del Tigray hanno minacciato di marciare verso la città. Ad un anno dall’inizio del conflitto nella regione più a Nord del Paese, la situazione sembra dunque precipitare.

Lo stato di emergenza

Il governo potrà ora istituire posti di blocco, interrompere i servizi di trasporto, imporre il coprifuoco e di intervenire militarmente in alcune zone. Lo stato di emergenza, che avrà la durata di sei mesi, comporta anche che chiunque sia sospettato di avere legami con gruppi “terroristici” potrebbe essere detenuto, anche senza mandato di arresto, mentre qualsiasi cittadino che abbia raggiunto l’età idonea al servizio militare potrebbe essere chiamato a combattere. “Il nostro Paese sta affrontando un grave pericolo per la sua esistenza, la sua sovranità e la sua unità”, ha detto il ministro della Giustizia, Gedion Timothewos, durante un briefing con i media statali.

L’avanzata dei ribelli 

Le notizie sono frammentarie, a causa anche della scarsa, pressoché nulla presenza di giornalisti sul territorio. Nel fine settimana, stando a quanto riportano le agenzie internazionali, i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF) e l’Esercito di liberazione degli Oromo (OLA), che avevano annunciato un’alleanza militare lo scorso agosto, hanno preso il controllo di Dessiè e Combolcià, due città che si trovano lungo l’autostrada che collega il Tigray ad Addis Abeba. I due gruppi sembrano ora muoversi verso sud, con l’intenzione di raggiungere la capitale e tentare di conquistarla.

Una significativa alleanza

In questi giorni l’alleanza tra il TPLF e l’Esercito di liberazione degli Oromo - che combatte per i diritti degli oromo, il più grande gruppo etnico dell’Etiopia - hanno detto di avere conquistato Combolcià e Dessiè e di avere l’intenzione di raggiungere Addis Abeba. Il significato di questa unione militare assume un particolare significato considerando che il primo ministro etiope, L’alleanza militare tra i due gruppi è ancora più significativa se si considera che il primo ministro Abiy Ahmed Ali è di etnia oromo.

Le reazioni internazionali 

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto "estremamente preoccupato" per l'escalation di violenza in Etiopia alla luce della dichiarazione dello stato di emergenza per la possibile avanzata delle forze ribelli del Tigray sulla capitale Addis Abeba. "È in gioco la stabilità dell'Etiopia e dell'intera regione", ha dichiarato in una nota il portavoce di Guterres, Stephane Dujarric. Il segretario generale dell'Onu ha anche chiesto "un dialogo nazionale inclusivo per risolvere questa crisi e gettare le basi per la pace e la stabilità in tutto il Paese". Un forte appello è arrivato anche dall’Unione Europea. "Chiediamo a tutte le parti in Etiopia di attuare un cessate il fuoco significativo con effetto immediato e di impegnarsi in negoziati politici senza precondizioni. Siamo pronti a sostenere tali sforzi”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, su Twitter. In queste ore è previsto l’arrivo dell’inviato statunitense per il Corno d'Africa, Jeffrey Feltman, in Etiopia. Lo ha annunciato un portavoce del Dipartimento di Stato americano. Infine, martedì il presidente americano Joe Biden ha detto che rimuoverà i privilegi commerciali che gli Stati Uniti mantenevano con l’Etiopia a causa delle “estese violazioni dei diritti umani riconosciuti internazionalmente” di cui si sono rese responsabili le forze di sicurezza etiopi.

Violati i diritti umani 

Omicidi illegali ed esecuzioni extragiudiziali, tortura, violenza sessuale e di genere, violazioni contro i rifugiati e sfollamento forzato di civili. C'è questo e molto altro nel rapporto di un'indagine congiunta della Commissione etiope per i diritti umani e dell'Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il documento evidenzia possibili crimini di guerra e contro l'umanità nella regione etiope del Tigray. "Poiché il conflitto si è intensificato, con i civili presi in trappola, è fondamentale che tutte le parti prestino attenzione ai ripetuti appelli per porre fine alle ostilità e cerchino un cessate il fuoco duraturo", ha affermato Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, commentando ieri a Ginevra il rapporto. L'indagine analizza la situazione in un periodo compreso tra il novembre 2020 e il giugno di quest'anno, ovvero dall'inizio del conflitto armato alla dichiarazione unilaterale di un cessate il fuoco da parte del governo etiope.

L'appello delle ong

In questi giorni anche le organizzazioni non governative di tutto il mondo hanno lanciato forti appelli perché sia tutelata la popolazione tigrina. Tra loro c’è Link2007, una rete italiana che riunisce 14 ong, molte delle quali impegnate da decenni sul territorio etiope. Nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, il presidente di Link2007, Roberto Ridolfi, individua due priorità nella crisi etiope e sottolinea l’importanza delle parole di Francesco per chi ogni giorno lavora nel contrasto a povertà e abusi.

Ascolta l'intervista a Roberto Ridolfi

Il timore che il conflitto regionale si estendesse all’intera nazione è diventato reale. Voi, insieme a molti altri, avevate posto la questione, sottolineando come le tensioni nel Tigray potessero condurre ad una situazione drammatica. A cosa stiamo assistendo e cosa occorre fare?

Sì, lo avevamo detto appellandoci ad un’azione diplomatica che però non c’è stata, almeno non a sufficienza. Ora è tutto più difficile, ma noi chiediamo ancora, fermamente, l’attivismo diplomatico europeo. Innanzitutto per attivare tutti i canali che consentono l’aiuto umanitario. Le faccio un esempio: al momento non è possibile trasferire del contante, allora come è possibile mettere del carburante nei veicoli necessari a portare il cibo nei villaggi? Questa è la prima cosa da fare: consentire l’aiuto umanitario alle popolazioni colpite. Parliamo di oltre 5 milioni di persone, di cui oltre 700mila vittime di una gravissima carestia. La seconda richiesta è l’attivare il dialogo politico, al quale possono dare il loro contributo anche le ong. Si tratta di un dialogo tra comunità, che va rilanciato in tutti i modi possibili. Noi di Link2007 abbiamo cinque, sei ong molto attive nell’area, tra cui il Cuamm. Quasi tutte hanno un’esperienza ormai cinquantennale in Etiopia e possono comprendere esigenze e possibilità di un dialogo vero ed efficace.

Ieri le Nazioni Unite hanno messo nero su bianco la violazione dei diritti umani che si registra in Tigray. Si ha però la sensazione che a volte l’Etiopia non sia posta come questione centrale nello scenario internazionale, una crisi talvolta dimenticata, sottovalutata?

Certo, e la cosa è assurda. Oltre cento milioni di persone abitano in un Paese dove non si è a rischio povertà, ma di morte per povertà. Ogni anno c’è un problema di carestia, dovuto all’acqua, alle cavallette o ai conflitti. L’Etiopia va rimessa al centro. Parliamo dell’unico Paese africano mai colonizzato, per questo la sede dell’Unione Africana è ad Addis Abeba. L’Etiopia va affrancata da una povertà che in alcuni casi è estremi. La pandemia di Covid-19 ha aggravato problemi già strutturali. C’è una totale mancanza di investimenti, non ci sono soldi ed è questo il modo migliore per distruggere la speranza. Sugli abusi i fatti parlano da soli, purtroppo. Non possiamo che condannare l’uso eccessivo della violenza: questa sospensione temporanea dei diritti umani deve finire subito.

In numerose occasioni il Papa ha lanciato appelli per la pace in Etiopia. Quanto sono importanti le sue parole?

Non lo dico io, lo hanno detto i grandi della Terra riuniti a Roma e a Glasgow in questi giorni. Le due encicliche, Laudato si’ e Fratelli tutti messe insieme, rappresentano la speranza di quello che l’umanità deve fare. C’è una qualità, una profondità che sono espressione di una visione senza la quale siamo perduti. O ci si salva tutti, o non si salva nessuno. Questo vorrei ribadire. Noi di Link2007, come rete di 14 ong storiche in Italia, abbiamo la responsabilità di mostrare la faccia, il sudore dell’Italia impegnata sia per l’ambiente che nella lotta alla povertà a agli abusi.

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04 novembre 2021, 12:02