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Si estende conflitto del Tigray: appello dei vescovi al cessate-il-fuoco

Almeno 20 civili uccisi e più di 54.000 persone costrette a lasciare le proprie abitazioni nella regione etiope di Afar, in seguito agli scontri tra ribelli del Tigray e forze filo-governative

Emanuela Campanile e Isabella Piro - Città del Vaticano

Anche ad Afar, il grande triangolo compreso fra l'altopiano etiopico e il mar Rosso, si combatte da sabato 17 luglio. Con gli ultimi attacchi il conflitto, iniziato 8 mesi fa nel territorio tigrino, si sta dunque estendendo nella zona nord-orientale dell’Etiopia. A sfidarsi su fronti opposti sono l’esercito regolare e il Fronte popolare di liberazione del Tigray. La Regione di Afar è considerata una zona strategica: una strada e la ferrovia collegano la capitale, Addis Abeba, al porto marittimo di Gibuti, unico punto di accesso al mare per l’Etiopia da quando, nel "93, l'Eritrea è diventata indipendente. 

Vittime e sfollati

Anche i civili sarebbero rimasti coinvolti nel fuoco incrociato sul nuovo fronte, almeno 20 le vittime e oltre 54 mila le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case. “La giunta ha attraversato il confine con Afar e ha attaccato la comunità pastorale innocente”, ha detto il funzionario dell’agenzia nazionale etiopeLa guerra tra i ribelli del Tigray e il governo centrale di Addis Abeba, fino ad ora ha generato migliaia di morti e circa 2 milioni di sfollati. Inoltre, più di 5 milioni di civili fanno affidamento su aiuti alimentari di emergenza.

L'appello dei vescovi a tutte le parti in causa

Di fronte a tale drammatica situazione, la Conferenza episcopale etiope (Cbce) ha diffuso, il 21 luglio, una dichiarazione in cui invoca la fine delle violenze ed auspica la riconciliazione. "Ci rattrista sentire parlare di guerra - si legge nel testo diffuso al termine dell’Assemblea episcopale ordinaria, svoltasi dal 13 al 16 luglio - mentre tutti noi vorremmo sentire parlare di pace. Come pastori, non possiamo non sentire l'angoscia e il dolore che la popolazione sta vivendo". Esprimendo, poi, vicinanza a coloro le cui vite sono state tragicamente colpite dal violento conflitto iniziato a novembre 2020, i presuli sottolineano: “Per alcuni, è già troppo tardi: preghiamo affinché il sacrificio delle loro vite non sia vano”. Quindi, un pensiero particolare la Cbce lo dedica all’Eparchia di Adigrat, la sede episcopale che copre la regione del Tigray: “Preghiamo specialmente per l’Eparca di Adigrat, Tesfasilassie Medhin, che soffre continuamente insieme al suo popolo, e per il clero, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli cattolici che hanno attraversato la guerra e l'annessa crisi umanitaria”. Di qui, l’appello a tutte le parti in causa affinché fermino le violenze e si impegnino per una coesistenza pacifica: “La guerra distrugge solo vite e proprietà - scrivono i vescovi - e la scelta da compiere non dovrebbe essere quella del conflitto, bensì quella della pace e della riconciliazione”, perché “la violenza non è mai un rimedio ai torti o una soluzione alle crisi”.

Non è mai troppo tardi per la pace

Ricordando, inoltre, che “non è mai troppo tardi per fermare la violenza, per riconoscere che l’unica via da seguire, per il bene del popolo, è quella della pacificazione che permette di soddisfare le esigenze di verità e di giustizia, nonché di chiedere e concedere il perdono”, la Chiesa cattolica etiope invita tutti a “fare ciò che è necessario per ripristinare la fiducia reciproca e per riconoscere gli altri come nostri fratelli e sorelle”. “Non importa chi siano gli altri e quanto profondi siano i nostri disaccordi – prosegue la dichiarazione – Conta risolvere qualsiasi differenza attraverso il dialogo e la negoziazione”. Intanto, le recenti tensioni stanno rendendo difficile anche l’invio di aiuti umanitari a tutto il Tigray, tanto che il Pam (Programma alimentare mondiale dell’Onu) ha sospeso le operazioni fino al ripristino delle condizioni di sicurezza. E a pagarne le conseguenze è la popolazione: secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, infatti, 5 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e 400mila tra loro sono a rischio carestia.

Riporre la speranza in Cristo

I vescovi incoraggiano i fedeli a “riporre la loro speranza in Gesù Cristo”, perché questo è “l’unico modo in cui possiamo guarire insieme come Paese, come società e come Chiesa”. “Siamo tutti fratelli e sorelle – incalzano i presuli – non si sono vincitori e vinti, non ci sono differenze”, perché anche se “vivere in pace e in armonia può sembrare un sogno”, tuttavia esso è “realizzabile se preghiamo e tendiamo le mani a Dio, Padre di tutti, e Gli permettiamo di plasmare i nostri cuori e le nostre menti per ragionare ed agire in pace e in fratellanza”. In tal modo, l’Etiopia sarà una nazione in cui “tutti gli abitanti si abbracceranno come fratelli e sorelle". La dichiarazione episcopale si conclude con l’invocazione al Signore, affinché riempia il cuore di tutti di “saggezza”, quella che permette di “scegliere la fratellanza piuttosto che l'odio e la vendetta” e che rende tutti “uno strumento di pace".

L'inizio del conflitto

Iniziato il 4 novembre 2020, dopo che il governo di Addis Abeba ha accusato il Tplf di aver perpetrato un attacco contro una base militare federale, il conflitto nel Tigray è proseguito a fasi alterne; a fine giugno, l’esecutivo etiopico ha dichiarato un cessate-il -fuoco unilaterale, ritirando le forze armate dalla regione, anche per facilitare l’invio degli aiuti alimentare e consentire alla popolazione di tornare all’attività agricola, a fronte dell’emergenza alimentare. Il Tplf non ha però accettato la tregua, facendo al contrario avanzare i propri gruppi armati fino ai confini con la regione Amhara, le cui truppe hanno combattuto, nei mesi scorsi, al fianco di Addis Abeba. Il 18 luglio, quindi, il premier etiopico Abiy Ahmed ha sollecitato contro il Tplf anche l’intervento di altre regioni del Paese.

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23 luglio 2021, 08:07