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Sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia, da sinistra, il cardinale Gualtiero Bassetti, monsignor Davide Milani e Pupi Avati. Foto Karen Di Paola Sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia, da sinistra, il cardinale Gualtiero Bassetti, monsignor Davide Milani e Pupi Avati. Foto Karen Di Paola

Bassetti e Pupi Avati a Castiglione Cinema: la Chiesa e i film che indagano l'umano

Ieri sera a Perugia l’apertura della quarta edizione del festival organizzato dall’Ente dello Spettacolo, che prosegue fino a sabato sera a Castiglione del Lago, sempre in Umbria. Il regista ha presentato il suo ultimo film “Lei mi parla ancora”: “L’amore ‘per sempre’ sembra anacronistico oggi - dice a Vatican News - ma io mi voglio illudere che ci sia qualcosa oltre la fine”

Alessandro Di Bussolo – Castiglione del Lago (Perugia)

Il cardinale e il regista, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana e arcivescovo di Perugia e Città della Pieve Gualtiero Bassetti, e Pupi Avati il bolognese che in Umbria ha girato tanti dei suoi film, perché “terra dalla grande forza sacrale”. Il loro "abbraccio" sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia - esaurito nei suoi 362 posti disponibili in tempo di pandemia - per l’apertura della quarta edizione di Castiglione Cinema – RdC incontra, “rappresenta plasticamente l’incontro tra Chiesa e cinema”. Così monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo della Cei, che organizza il festival che vuol essere proprio “un ponte tra cinema e Chiesa, per aiutare il mondo del cinema ad indagare sull’umano in maniera sincera e aiutare noi comunità di credenti a cercare nel migliore cinema la possibilità di un senso secondo l’antropologia cristiana”.

Bassetti: "Grazie Avati, anticonformista come il nostro Papa"

E i due protagonisti della serata perugina, 79 e 83 anni, sono “entrati abbracciati”, ricorda il cardinal Bassetti, perché “con Avati siamo già diventati amici, anche se è la prima volta che ci vediamo”. Il porporato, nel suo intervento, ricorda che il regista bolognese “ha saputo come pochi altri coniugare le esigenze espressive con quelle più strettamente spirituali, realizzando un cinema unico nella sua peculiare ricerca dell’uomo e del rapporto con Dio”. “Un regista spesso controcorrente – aggiunge - che ha sempre cercato una strada narrativa personale”. Grazie, prosegue il presidente della Cei rivolgendosi direttamente ad Avati, “perché lei è un anticonformista come il nostro Papa”. Il cinema di Pupi Avati, che ha saputo affrontare tutti i generi del racconto, conclude Bassetti, “si è sempre sviluppato ponendo al centro l’uomo, la famiglia, la società le tradizioni anche religiose, un cinema apparentemente fuori tempo, ma profondamente radicato nel presente”. 

L'abbraccio tra il cardinal Bassetti e Pupi Avati
L'abbraccio tra il cardinal Bassetti e Pupi Avati

Applausi e commozione per il film "Lei mi parla ancora"

L’incontro tra Avati e Bassetti va in scena alla fine della proiezione, applauditissima, di “Lei mi parla ancora”, ultimo film del regista, sceneggiatore e produttore (col fratello Antonio) che dal 1968 ha realizzato più di 50 opere tra cinema e televisione. Uscito su Sky in piena seconda ondata della pandemia, con le sale chiuse, ha raccolto più di 400 mila spettatori commossi ed entusiasti, come il pubblico del Morlacchi, per la storia d’amore “immortale” tra Nino (Renato Pozzetto) e Caterina (Stefania Sandrelli).

"Se ci ameremo per sempre, saremo immortali"

Un amore che sembra finire, dopo 65 anni, con la morte di lei, ma che Nino rivive raccontandolo ad un editor che vuole sfondare come romanziere, ingaggiato dalla figlia nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita dell’amata. Il film, delicato e struggente, ruota intorno alla promessa che la coppia si è fatta prima di sposarsi: se ci ameremo per sempre, come oggi, saremo immortali. E sulla frase, presa da Cesare Pavese, con la quale Nino saluta, al termine del romanzo e del film, il suo ghost writer, prima rifiutato e poi amato come un figlio: “L’uomo mortale non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.

Il dialogo tra Avati e il giornalista Pontiggia sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia
Il dialogo tra Avati e il giornalista Pontiggia sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia

Avati: impensabile l'assenza di mia moglie, il mio "hard disk"

Prima del film, nello stile di Castiglione Cinema, Avati si racconta al pubblico, dialogando con Federico Pontiggia, giornalista e critico della Rivista del Cinematografo, il secondo magazine di Cinema per anzianità al mondo con i suoi 94 anni, e realizzato dalla Feds. Partendo dal coraggio di affrontare un tema come quello dell’immortalità in piena pandemia. “Il giornalista Maurizio Caverzan - spiega il regista - mi ha fatto leggere un libro di Giuseppe Sgarbi e mi sono molto riconosciuto nel sentimento di rifiuto che ha provato questo anziano signore perdendo sua moglie dopo 65 anni di matrimonio. Non ci crede e si ribella”. “Ho provato allora a simulare su di me – prosegue - il fatto di perdere mia moglie (Nicola, n.d.r.), che è con me da 53 anni. Anche il solo immaginare la sua assenza è stata una cosa impensabile ed enormemente più grande della mia capacità di recepire il dolore. Definisco mia moglie come l’hard disk della mia vita e nei suoi occhi vedo tutte le fasi di me stesso”.

"Solo i sogni grandi si realizzano, non i piccoli"

Pupi Avati si definisce “affezionatissimo alla locuzione avverbiale del “per sempre”, e ci si aggrappa opponendosi alla fine di tutto “con la fantasia”. “Questo film va a toccare una parte nascosta, misteriosa e ignota di noi stessi che andava portata alla luce – insiste il regista - Noi non osiamo immaginare. Ricordate che solo i sogni grandi si realizzano e non quelli piccoli. I ragazzi di oggi contrariamente a noi, non hanno la sfrontatezza di sognare, si confrontano continuamente con la ragione. Ma bisogna essere un po’ pazzi e irragionevoli nella vita”. Come Lucio Dalla, col quale un giovanissimo Pupi suonava in una jazz band, “e non aveva mai i soldi per la ciotola di fagioli, tonno e cipolla che costava 50 lire. Eppure poi è riuscito a fare cose incredibili grazie alla sfrontatezza dei suoi sogni”.

Il pubblico in platea e nei palchi del Teatro Morlacchi di Perugia. Foto Karen di Paola
Il pubblico in platea e nei palchi del Teatro Morlacchi di Perugia. Foto Karen di Paola

Tanti film girati in Umbria, "terra ricca di sacralità"

Il regista, che ha scelto l’Umbria come location principale, insieme alle Marche, la Toscana e Ravenna, per il film che sta girando sulla storia di Dante Alighieri, conclude ribandendo il suo amore per l’Umbria “perché è una terra che contiene in sé la sacralità e nella quale percepisci immediatamente, perché qui sono nati i personaggi che stanno nella storia della spiritualità”. Nell’Alto Medioevo “che descrivo in Magnificat, ambientato in Umbria, c’era la sacralità degli oggetti del lavoro. Oggi io mi riscopro con la necessità di baciare i santi prima di andare a dormire, ma anche di salutare le foto che ho sulla parete in casa di chi è stato parte della mia vita, è un po’ la mia ‘Via degli angeli’. Perché anche loro mi parlano ancora”.

Milani (Feds): un film che racconta il mistero della famiglia

Anche monsignor Milani, a Vatican News, parla del film che ha aperto il festival prima delle giornate di venerdì e sabato a Castiglione del Lago. “Racconta il mistero della famiglia, non come ideologia, ma attraverso la vicenda d'amore di due persone che nella loro semplicità si dicono il “Per sempre” e lo vivono. E’ un film cristianamente laico, portato avanti senza omelie, ma profondamente cristiano per questo ‘per sempre’ possibile, non solamente per i cristiani”. E sul palco ribadisce la sua convinzione: “La ripartenza non avverrà partendo dal centro delle cose, ma nei luoghi in cui le persone sono capaci di stringersi intorno a una comunità che condivide avventure e sogni”. È bello, sottolinea il presidente dell’Ente dello Spettacolo, “che la voglia di rimettersi in moto parta dalla cultura e dal desiderio di incontrarsi. La ripartenza può avvenire se ritroviamo i motivi per vivere, e il cinema e la dimensione dell’incontro sono un fattore decisivo per questo”. 

Da sinistra, il sindaco di Castiglione Matteo Burico, Pupi Avati,, l'assessore Giottoli e monsignor Davide Milani. Foto Karen di Paola
Da sinistra, il sindaco di Castiglione Matteo Burico, Pupi Avati,, l'assessore Giottoli e monsignor Davide Milani. Foto Karen di Paola

Avati: l'utopia di rivedere chi hai amato anche dopo la fine

Al termine della serata, l’assessore al Turismo del Comune di Perugia Gabriele Giottoli consegna a Pupi Avati il Premio Castiglione Cinema 2021 – Rdc Incontra, con la motivazione che “Il suo ultimo film è un inesauribile lavoro di educazione allo sguardo, in grado di modificare la realtà osservata, di rinnovarla e fecondare l’immaginazione, così da riuscire a scorgere la grazia nell’ombra delle cose”. Ecco come il premiato Pupi Avati parla del suo film già uscito, e di quello che sta girando su Dante, a Vatican News:

Ascolta l'intervista a Pupi Avati

Il film me l'ha suggerito un giornalista che aveva letto questo libro del papà degli Sgarbi (Giuseppe, di Vittorio ed Elisabetta, n.d.r), che raccontava la storia di un amore che dura per sempre. Mi è sembrato così anacronistico nell’oggi, una sorta di provocazione, per cui meritava di essere in qualche modo scandalosamente proposto.

Cosa significa per lei “Per sempre”?

E’ il modo di vedere le cose dei bambini e dei vecchi, che in questo si assomigliano e riescono a comunicare.

Il protagonista si fa aiutare a scrivere un libro sull'amore per la moglie appena scomparsa. Raccontare un amore può aiutare ad elaborare il lutto?

Io credo di sì. Nella cultura contadina insegnavano che quando hai una sofferenza, un grande dolore devi condividerlo. E il modo migliore per farlo è raccontarlo.

Come ha rappresentato l’amore ‘per sempre’ in “Lei mi parla ancora?”

Attraverso l'utopia di volersi illudere, alla mia età, che esista qualche cosa che va oltre l’appuntamento con la fine, con lo spegnersi delle luci che è di tutti. Che ci sia la possibilità di illudersi, di rivedere gente persone, certi amici, certi parenti, certi congiunti che in un altrove anche dantesco ti stiano ad aspettare.

Pupi Avati sul palco del Teatro Morlacchi, foto Karen Di Paola
Pupi Avati sul palco del Teatro Morlacchi, foto Karen Di Paola

Nel film su Dante lei voleva indagare anche i dolori di quest’uomo che ha perso la madre da piccolo e poi la donna amata, Beatrice, quando era giovanissima e si era sposata con un altro. Sta riuscendo a farlo?

E’ quello che voglio, soprattutto. Perché se Dante ha avuto accesso a questa forma così alta di poesia, c’è arrivato attraverso il dolore. Perché il dolore purtroppo non è da augurare a nessuno, ma produce un miglioramento dell’essere umano.

Però in Dante c'è anche la fede che lo aiuta a superare il dolore?

Sì, la fede era un elemento condiviso e diffuso di quel tempo. Poi è evidente che un uomo di fede che mette all’Inferno tante persone che conosceva, è un’interpretazione della fede che oggi sarebbe probabilmente stigmatizzata.

Ci saranno anche i versi di Dante in questo film?

Certamente, non possiamo prescindere da certi momenti, certi appuntamenti con la poesia di Dante che ancora ci paiono sublimi.

Cosa le ha insegnato Dante?

Devo dire che mi ha dato una grande forza, perché se è riuscito lui, nelle condizioni così penalizzanti, così estreme, avendo contro tutto e tutti, nell'indigenza, nel pericolo, a realizzare poi quei capolavori, perché bisogna parlare al plurale, non abbiamo alibi, una nostra inadempienza nei riguardi della vita non trova giustificazione.

Perché ha deciso di girare qui in Umbria molte scene del film su Dante?

In Umbria c’è un mondo molto frammentato, dove il passato è stato trattenuto. Sì, la gran parte delle location sono tra l’Umbria, le Marche, una parte in Emilia che è imprescindibile perché Dante morì a Ravenna e un'altra parte in Toscana. Però le parti più consistenti sono in effetti in Umbria e nelle Marche.

Venerdì e sabato incontri e proiezioni a Castiglione del Lago

La quarta edizione di Castiglione Cinema 2021 - Rdc Incontra, il festival nato quattro anni fa in occasione del 90esimo anniversario della Rivista del Cinematografo, prosegue venerdì e sabato nella splendida cornice di Castiglione del Lago con gli eventi gratuiti in piazza. Tra i protagonisti personalità del mondo del cinema, della cultura e una rassegna cinematografica introdotta e commentata da registi e attori.

Simona Izzo e Ricky Tognazzi
Simona Izzo e Ricky Tognazzi

Ricky Tognazzi e Simona Izzo recitano in famiglia

In Piazza Mazzini, alle 18.30, è in programma l'evento “Questa sera si recita in famiglia” con Ricky Tognazzi e Simona Izzo intervistati dal giornalista e critico del Corriere della Sera Paolo Baldini. Cresciuti in due famiglie d’arte, lui il primogenito di Ugo, monumento della commedia all’italiana, lei una delle figlie di Renato, maestro del doppiaggio, continuano a vivere sotto il segno dell’arte. La loro infatti è la storia di un grande amore, sbocciato trent’anni fa, ma anche di un fecondo sodalizio professionale che ha prodotto film di impegno civile (Ultrà, La scorta, Vite strozzate) e commedie familiari (Maniaci sentimentali, Lasciami per sempre), emozionanti biografie (Il papa buono, Pietro Mennea) e melodrammi popolari (L’amore strappato, Svegliati amore mio).

Cosa sarà: la vita e la malattia per Francesco Bruni

Gran finale di giornata alle 20.30 nella suggestiva Rocca del Leone nella quale il giornalista e critico della Rivista del Cinematografo Valerio Sammarco dialogherà col regista Francesco Bruni nel talk “ la vita viene prima”. Dal legame con un altro grande livornese, il regista Paolo Virzì, alla scrittura di Montalbano passando per la fortunata attività di regista di commedie profondamente umane, dove la relazione tra i personaggi non è solo il motore delle storie, ma l’alfa e l’omega di ogni esistenza. Come accade nel suo ultimo film, “Cosa sarà”, che da’ il titolo anche alla quarta edizione di RdC incontra e che sarà proiettato sul grande schermo al termine del talk.

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18 giugno 2021, 16:47