Cerca

Distribuzione di cibo ad Alamata, città del Tigray (Eduardo Soteras, AFP) Distribuzione di cibo ad Alamata, città del Tigray (Eduardo Soteras, AFP)

Aiuti internazionali e dialogo: due passi avanti per il Tigray

Dopo l’arrivo del primo convoglio di aiuti umanitari internazionali, ci sarebbe l’accordo per una riunione d'emergenza dell'IGAD così come annunciato dal primo ministro sudanese. "L'unica soluzione per il Tigray è quella diplomatica", afferma nella nostra intervista padre Giulio Albanese

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Dopo oltre un mese dall’inizio delle ostilità, questa fine settimana è arrivato il primo convoglio carico di aiuti umanitari nel Tigray, la regione più a nord dell'Etiopia dove dal 4 novembre si consuma un sanguinoso conflitto. Il convoglio composto da sette camion, ha precisato il Comitato Internazionale della Croce Rossa, è stato organizzato dal governo di Addis Abeba e dalla Croce Rossa etiopica. Ad essere consegnati sono stati soprattutto medicinali e materiale sanitario per l’ospedale di Makalle, capoluogo del Tigray. Gli aiuti internazionali erano già attesi da una decina di giorni, ma a causa dei continui scontri in atto non era stato possibile procedere con le consegne dei materiali. Sempre nelle ultime ore, un nuovo passo avanti per la fine del conflitto è stato fatto anche dal punto di vista diplomatico.

Il dialogo

Il primo ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, ha affermato di aver concordato con la controparte etiope, il premier Abiy Ahmed, lo svolgimento di una riunione urgente di un blocco di Paesi dell'Africa orientale per risolvere la crisi nella regione del Tigray. Addis Abeba non ha al momento commentato l’annuncio di Hamdok circa la riunione dell’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo, l’IGAD. Un funzionario del governo sudanese avrebbe inoltre affermato all’agenzia AFP che l’incontro di ieri tra Hamdok e Abiy è stato “fruttuoso, non solo per la riunione di emergenza dell'IGAD”, ma anche sul rilancio di un comitato che lavori per delineare un confine condiviso. L'IGAD è stata fondata nel 1996 e riunisce le nazioni dell'Africa orientale di Etiopia, Sudan, Gibuti, Kenya, Somalia, Sud Sudan e Uganda.

Le preghiere del Papa 

"Il Santo Padre - ha comunicato lo scorso 27 novembre il direttore della Sala Stampa Vaticana, Matteo Bruni - segue le notizie che giungono dall’Etiopia, dove da settimane è in corso uno scontro militare, che interessa la Regione del Tigray e le zone circostanti. A causa delle violenze, centinaia di civili hanno perso la vita e decine di migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case". Durante l’Angelus dello scorso 8 novembre, Papa Francesco, riferendosi al conflitto in corso in Etiopia aveva detto:

Mentre esorto a respingere la tentazione dello scontro armato, invito tutti alla preghiera e al rispetto fraterno, al dialogo e alla ricomposizione pacifica delle discordie.

Le possibili tensioni tra Etiopia ed Eritrea 

Il nuovo conflitto esploso nella regione etiopica del Tigray potrebbe però essere motivo di ulteriore scontro anche tra Etiopia ed Eritrea. Se infatti Addis Abeba sta impegnando il suo esercito contro le milizie del Fronte di Liberazione popolare del Tigray (Tplf), sul terreno si registrano anche incursioni di truppe eritree, in una situazione ancora da chiarire del tutto. Per la soluzione di questo nuovo conflitto Papa Francesco ha rivolto le sue preghiere al Signore.

Gli scenari

Del ruolo dell'Eritrea nel conflitto parla anche padre Giulio Albanese, missionario comboniano, giornalista, per tanti anni in Africa. "Non dobbiamo dimenticare Asmara, certo la riunione dell'IGAD sulla carta fa ben sperare, anche perché l'unica soluzione per questo conflitto è la via diplomatica", afferma nell'intervista a Vatican News. 

Ascolta l'intervista a padre Giulio Albanese

Secondo padre Albanese, gli aiuti internazionali arrivati in queste ore "sono un qualcosa di assolutamente necessario, una condizione imprescindibile, ma - avvisa - non sono certo la soluzione per porre fine a quanto sta accadendo nel Tigray". A pagare il prezzo più alto è ancora una volta la popolazione. "Il conflitto colpisce le persone più fragili, i civili e le notizie che ci arrivano - sottolinea - sono solo una minima parte di ciò che si verifica sul terreno. Anche la copertura mediatica internazionale non è facilitata a causa della pandemia". "Il Tigray - conclude l'esperto di Africa - rischia di essere molto pericoloso per l'intera regione". 

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

14 dicembre 2020, 11:30