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Rifugiati etiopici ai confini con il Sudan Rifugiati etiopici ai confini con il Sudan 

Conflitto nel Tigray. Il vescovo di Emdibir: con la guerra siamo tutti sconfitti

Il dramma umanitario che si sta consumando nella regione etiopica, dove da tre settimane è in corso un conflitto tra le forze Tplf e l'esercito nazionale, ha mobilitato il Consiglio di Sicurezza dell'Onu. "Speravamo in una condizione di maggiore democrazia nel Paese, invece non è così", lamenta monsignor Ghebreghiorghis. Il suo grido per la pace

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Si è riunito oggi, in modalità virtuale, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul conflitto nella regione del Tigray, in Etiopia. E’ il primo confronto sui combattimenti che da tre settimane stanno provocando migliaia di sfollati, oggi se ne contano quarantamila, in fuga verso il Sudan. 

La richiesta di accessi per aiuti umanitari

La preoccupazione sollevata dagli operatori umanitari dell'Onu riguarda il fatto che i rifornimenti per i soccorsi di emergenza nello Stato regionale etiope del Tigray stanno finendo. Un portavoce dell'agenzia per gli affari umanitari dell'Onu (Ocha), Saviano Abreu, ha dichiarato di non aver potuto inviare personale o approvvigionamenti per mancanza di libertà di movimento nella zona. Intanto, Amnesty International ha diffuso un appello a tutte le parti in conflitto affinché proteggano i civili e garantiscano l'accesso degli osservatori sui diritti umani. Anche nell’ambito del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea, ieri la vice ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, ha invocato un intervento urgente, con azioni concrete, per alleviare le sofferenze dei civili coinvolti e per mitigare l’impatto dell’afflusso dei rifugiati nei Paesi vicini. Inoltre ha invitato a continuare a tenere alta l’attenzione in modo concertato per garantire l’assistenza alle persone più vulnerabili.

I civili pagano il prezzo più alto

Nonostante le autorità etiopi affermino che le loro forze hanno preso di mira solo la leadership, le forze e le milizie alleate del Tigray, sono state denunciate gravi violazioni e bombardamenti indiscriminati da parte dell’esercito nazionale su case, chiese, moschee, scuole e altre strutture civili. Dall’altra parte, il premier etiope ha accusato i leader del Tplf di star usando siti religiosi, hotel, scuole e persino cimiteri come nascondigli e i residenti della capitale Mekele come scudi umani. "Siete a un punto di non ritorno", ha dichiarato annunciando l’ultimatum di 72 ore che scade domani. A dirsi rassicurato perché la comunità internazionale si sta interessando alla questione è monsignor Musié Ghebreghiorghis, vescovo di Emdibir.

Ascolta l'intervista a monsignor Ghebreghiorghis

Il presule invia i suoi messaggi dalla sua diocesi che è a oltre mille chilometri dalla regione dissidente. “E’ una cosa molto triste per noi, quello che sta succedendo nel Tigray”, commenta, spiegando anche che si tratta di una regione molto importante con la presenza di diversi luoghi turistici. “Avevamo tante aspettative per una vita democratica più sostenuta in Etiopia dopo l’ascesa del primo ministro Abiy Ahmed - ammette - purtroppo però ci sono sempre degli ostacoli”. Il presule spiega che, secondo il governo, l’azione di risposta dell’esercito ha l’obiettivo di riportare l’ordine nella regione, “perché, se si continua di questo passo, il Paese si frantumerebbe”.

L’appello delle Chiese: “Con la guerra siamo tutti sconfitti”

“Stiamo pregando perché possa finire presto questa guerra, perché – come si dice spesso in Africa – quando due elefanti lottano, quello che soffre di più è l’erba che pestano sotto i piedi”, questa l’immagine evocata dal vescovo etiope. “Questi conflitti armati fanno soffrire le donne, i bambini, gli anziani, le persone semplici che non sanno neanche la ragione per cui stanno soffrendo”, spiega. “Non ci doveva essere questa guerra. Speriamo che finisca presto con il minor danno possibile”. Il presule ricorda che la Chiesa cattolica, appena scoppiato il combattimento, ha scritto un appello, condiviso dalla Conferenza episcopale etiope, dalla Chiesa ortodossa, dalle Chiese evangeliche e dai musulmani, "perché ci sia la pace e si risolva questo problema con il dialogo, perché il conflitto armato porta solo distruzione. Con la guerra siamo tutti sconfitti”. Quanto inciderà sul clima di altissima tensione? “Il problema - risponde monsignor Musié Ghebreghiorghis - è che quando c’è un esercito nazionale che si sente tradito, ferito, si fa fatica a fermarlo. Vedremo cosa succederà nelle prossime ore. Sembra che per quelli che sono scappati nel Sudan, l’esercito etiopico sia ben intenzionato a riportarli indietro”. 

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24 novembre 2020, 16:31