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Chiara Castellani: ho realizzato il mio sogno di fare il medico in Africa

Nella Repubblica Democratica del Congo è molto complessa la situazione epidemiologica. Oltre al coronavirus, il Paese fa i conti anche con ebola e morbillo. Ne parla nell'intervista il medico missionario italiano che da 40 anni si prende cura dei più deboli, prima in America Latina, poi in Africa

Debora Donnini - Città del Vaticano

“Una privilegiata” per aver potuto realizzare quello che era il suo sogno fin da bambina: andare in Africa e fare il medico. Così si racconta nell’intervista Chiara Castellani, medico missionario di 64 anni. Prima in Nicaragua, poi da 29 anni nell’attuale Repubblica democratica del Congo. Una vita spesa per gli altri. Dalle sue parole si sprigionano una passione e un amore per chi incontra, che non lasciano per nulla indifferenti. “Quando hai un sogno che ti spinge, tutto diventa più facile”, spiega rispondendo alla domanda da dove le venga quella straordinaria forza che la sostiene, instancabile, nel suo lavoro in Africa,  nonostante l’incidente che l’ha costretta ad una protesi ad un braccio.

Ascolta l'intervista a Chiara Castellani:

La complessità della situazione nella Rd Congo

Oggi Chiara collabora con il vescovo della diocesi di Kenge. Attualmente si occupa dell’ufficio delle opere mediche missionarie della diocesi ma continua, dove serve, anche il suo lavoro di medico sul territorio. In giugno, per motivi familiari, è tornata in Italia, ma già il prossimo 13 settembre è pronta a tornare nella Repubblica Democratica del Congo dove, intanto, ad agosto è stato interrotto il lockdown. Ad oggi, nel Paese africano, si contano 10mila casi di contagio con circa 250 morti accertati ma meno di 700 casi sono stati segnalati nelle ultime due settimane, con una media quindi di circa 50 casi giornalieri. In apparenza la curva è in fase di discesa ma, spiega la Castellani, “la possibilità di fare tamponi e confermare le infezioni da Covid-19 è molto limitata proprio perché fino a qualche settimana fa c'era una sola struttura abilitata che però doveva preoccuparsi anche di seguire i casi di ebola”. È infatti appena finita la seconda epidemia di ebola che dal 20016 “fino a marzo-aprile ha fatto più di 4mila morti”, mentre contemporaneamente il morbillo ha causato più di 7mila morti accertati e la malaria resta la principale causa di morte. Senza dimenticare, poi, la questione HIV. Un quadro epidemiologico molto complesso, quello che descrive, quindi, la Castellani, dove emerge anche che il problema riguardo al coronavirus è che non si fanno abbastanza test perché ci sono limitazioni concrete, pratiche, e forse “anche perché non è la priorità assoluta”.

Le difficoltà dei test

Dal 15 agosto hanno riaperto le frontiere. “Sicuramente l’epidemia non è conclusa perché in questi giorni è stato segnalato un caso in una zona vicina alla diocesi”, racconta la Castellani. Ci sono Stati africani che hanno effettuato un buon numero di test, cioè dove ci sono stati più casi come Nigeria, Ghana, Egitto, Sudafrica. Diversa la situazione in Paesi più poveri come la Repubblica Democratica del Congo e non solo, che non hanno la capacità materiale di confermare attraverso i test. La Castellani segnala anche la questione degli scioperi di medici e infermieri: erano stati promessi fondi per affrontare l’emergenza, ma non sono mai arrivati.  E si sofferma proprio sulla questione del mancato pagamento, per i giovani medici e infermieri, dei salari, raccontando che il suo gruppo, che ha cominciato a ricevere il salario verso il 2007-2008, è l’ultimo personale sanitario assunto dallo Stato: “gli ultimi ad essere pagati - afferma - e siamo ora tutti con i capelli bianchi”.

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31 agosto 2020, 07:40