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2019.02.07 Insegna Ospedale Bambino Gesù, Roma 2019.02.07 Insegna Ospedale Bambino Gesù, Roma 

Bambino Gesù, effettuati quattro trapianti da un unico donatore

Stanno tutti bene i quattro ragazzi, dai sei ai ventuno anni, che la scorsa settimana hanno ricevuto un organo da un solo donatore. Quattro trapianti, effettuati in 48 ore, dall’équipe medico-chirurgica dell’Ospedale della Santa Sede

Eliana Astorri - Città del Vaticano

Erano in attesa da mesi di un cuore, un fegato e due reni, i quattro pazienti operati e che ora stanno recuperando le funzioni dell’organo trapiantato. Si tratta di una paziente di 21 anni, già trapiantata 11 anni fa ma andata incontro ad un rigetto, che ha ricevuto un cuore e un ragazzo di 19 anni che ha avuto un fegato. Due reni sono stati trapiantati in un bambino di 6 anni e un ragazzo di 17. Sulle loro condizioni e le modalità di intervento, ci riferisce il professor Marco Spada, responsabile di chirurgia epato-bilio-pancreatica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Ascolta l'intervista al prof. Spada

Di quali patologie soffrivano per aver bisogno di un trapianto di cuore?

R. – E’ una ragazza che aveva già subito, anni fa, un primo trapianto per una malformazione cardiaca congenita che, nel tempo, ha sviluppato un rigetto cronico. Una complicanza, fortunatamente, non più frequente che porta progressivamente a un danneggiamento del trapiantato e, quindi, è stato effettuato proprio per questa ragione. Nel caso del trapianto di fegato, sta diventando sempre più frequente, questi pazienti sono pazienti che non hanno un danno a carico del fegato, ma hanno la mancanza di una sostanza che viene prodotta nel fegato e, quindi, il trapianto consente di fatto di fare una terapia genica per correggere la malattia metabolica. Nel caso specifico del nostro paziente, era affetto da acidemia propionica e questa malattia, spesso, coinvolge altri organi e altri sistemi, anche il cuore e l'apparato cardiocircolatorio. Ed è qui l'eccezionalità: affiancare il fegato, supportando la funzione del cuore, di una delle procedure di trapianto con la circolazione extracorporea, una tecnica utilizzata nell'ambito cardiochirurgico. Un trapianto che è stato effettuato in collaborazione anche con i colleghi cardiologi e cardiochirurghi. Infine, due studenti, entrambi in dialisi con una insufficienza renale cronica causata in un caso da una sindrome emolitico uremica e nell'altro da una nefropatia da IgA. Il trapianto permetterà loro di non avere più bisogno della dialisi e questi pazienti potranno condurre una vita molto più tranquilla e più semplice.

In uno dei due interventi al rene è stata usata la macchina per perfusione. Di cosa si tratta?

R. – E’ una tecnologia innovativa che sta modificando e rivoluzionando l'attività di trapianto d'organo negli ultimi anni e che, sostanzialmente, ci consente di conservare in modo molto più efficace gli organi che preleviamo dai donatori deceduti, prima di trapiantarli. Mentre fino a pochi anni il metodo di conservazione era l’ipotermia, cioè tenere gli organi nella soluzione di conservazione a 4 gradi centigradi. Queste macchine consentono proprio di far circolare all'interno dell'organo o la soluzione di conservazione fredda che viene arricchita di ossigeno, oppure di fare circolare all'interno dell'organo sangue ossigenato. Entrambi i casi ci consentono di conservare molto più a lungo gli organi ed in modo anche molto più efficace e anche di valutare la funzionalità, la vitalità dell'organo, mentre noi li perfondiamo. Grazie a questa tecnologia siamo in grado di trapiantare più organi, di usare organi che precedentemente non avremmo utilizzato e, quindi, in ultima analisi, di fare un numero maggiore di trapianti, con risultati che sono migliori grazie alla migliore modalità di conservazione che viene offerta da questi sistemi di perfusione.

In un intervento di trapianto le figure professionali coinvolte sono tante, decine, ognuno con il proprio compito. Come fate a gestire voi chirurghi tutte queste professionalità? Parliamo degli anestesisti e rianimatori, radiologi, autisti, nefrologi….

R. - Il sistema di attività di trapianto è molto complesso e coinvolge numerose professionalità. Fra queste vi sono proprio le figure che si chiamano coordinatori dei trapianti. Sono generalmente infermieri che si sono specializzati proprio per svolgere questa attività di coordinamento, che riguarda proprio l’assemblare e il coordinare le attività che vengono svolte dai diversi specialisti. Il trapianto non è solo il momento del gesto chirurgico, dell'operazione. Quando ci troviamo in sala operatoria c'è tutta un'attività che precede il trapianto, che è quella della gestione del paziente in terapia intensiva che può diventare un donatore, la raccolta del consenso informato, della allocazione degli organi che vengono prelevati. Esiste una rete nazionale dei trapianti che è estremamente ben organizzata nella quale tutte queste diverse parti, le rianimazioni, i centri trapianti, sono coordinati da centri di coordinamento regionali e poi da un centro di coordinamento centrale che è il Centro Nazionale Trapianti e questo consente di avere un buon livello di donazione anche se questa è distribuita in modo diverso sul territorio italiano nelle diverse regioni. Consente di distribuire gli organi ai programmi di trapianto nei pazienti che, in quel momento, ne hanno maggiormente bisogno e permette anche di avere ottimi risultati con l'attività di trapianto che viene svolto in Italia Ormai i pazienti che ricevono un trapianto d'organo sono pazienti che hanno probabilità di vivere in condizioni di vita normali che supera il 90-95% di tutti i pazienti che vanno incontro ad un trapianto.

Oggi esiste una minore renitenza nel sottoscrivere la donazione degli organi?

R. – Esiste una non buona informazione. Chi ha dei dubbi sulla donazione li ha perché non è ancora diffusa la conoscenza e la cultura da un lato della donazione in termini di certezza sul fatto che chi dona gli organi è un paziente che è in morte cerebrale e non ha una possibilità di sopravvivenza, e dall'altra anche dei risultati del trapianto. Ancora spesso si pensa al trapianto come ad un trattamento di frontiera, ad un trattamento che non offre buoni risultati, quando invece non è così. E’ questa mancanza di cultura e di informazione ciò che gioca a sfavore della donazione.

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06 luglio 2020, 16:15