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Rapporto Amnesty 2019, la nuova stagione del Sudan Rapporto Amnesty 2019, la nuova stagione del Sudan

Amnesty International: il 2019 anno di “attivismo e repressione"

Lo scorso anno ha visto scendere in strada milioni e milioni di persone, che hanno voluto così rivendicare i loro diritti. Una tale moltitudine di persone non si vedeva dagli anni 2010-2011, ma i governi hanno aperto il fuoco contro di loro. La denuncia nell’annuale rapporto dell’organizzazione per i diritti umani, presentato oggi in video conferenza

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

L’attivismo, soprattutto quello dei giovani, è il filo conduttore del rapporto Amnesty International. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani individua in questo l’asse portante del report che parla di un numero così alto di persone scese in piazza come non si vedeva dal 2011, latori delle stesse richieste globali di allora: giustizia, libertà, dignità, fine della corruzione e della violenza.

La brutalità della repressione ha attraversato le piazze del mondo

“In piazza – spiega il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury – è scesa una nuova generazione, successiva a quella protagonista delle proteste delle primavere arabe, dei movimenti ‘occupy’ delle capitali europee e americane, ma con le stesse rivendicazioni e che però ha incontrato una repressione feroce, molti governi hanno dato l’ordine di sparare contro i propri cittadini”. Da Hong Kong a Beirut, da Santiago del Cile a Teheran, si sono registrate le manifestazioni e la brutalità con la quale sono state fermate”. I governi, sottolinea ancora Noury, “aprendo il fuoco contro i loro cittadini, hanno perso ulteriormente fiducia e credibilità”. Le violazioni dei diritti umani sono proseguite a vario titolo e sotto varie forme in quasi tutti i Paesi, compresi quelli europei. In Venezuela è proseguita la crisi umanitaria, con 4 milioni di persone in fuga, che si è sommata alla crisi dei diritti umani. In Israele è andata avanti la politica di costruzione di insediamenti nei territori occupati, in Brasile sono continuate le politiche ostili ai diritti umani, a questo si aggiunge il perdurare di molti conflitti, a partire da quelli in Siria e Yemen, proseguendo poi con quelli nell’Africa subsahariana. In Europa si segnalano politiche che hanno allontanato alcuni Paesi dallo stato di diritto, con misure contrarie ai diritti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. In diversi Paesi europei si è criminalizzata la solidarietà. “In Italia, per tutto il 2019, le navi delle ong – precisa Emanuele Russo, presidente di Amnesty Italia – sono state ostacolate da minacce di chiusura dei porti e da ingiustificati ritardi nelle autorizzazioni all’approdo. Il 2019, inoltre, si è chiuso col rinnovo della cooperazione tra Italia e Libia, per il controllo dei flussi migratori”.  

Ascolta l'intervista con Riccardo Noury

Il Sudan, una storia “di dolore e di successo”

Ci sono però anche storie di  riscatto, come quella del Sudan che nel 2019 ha visto la caduta di Omar al-Bashir. “Si è aperta una stagione nuova in quel Paese – precisa Noury – di ‘successo’, con un governo di transizione che, pur tra mille incertezze, qualcosa di buono ha iniziato a farlo. Il ‘dolore’ dipende dalla morte delle oltre 170 persone e dalle migliaia di feriti che hanno fatto cadere al-Bashir”.

La pandemia di Covid-19 evidenzia la diseguaglianza

L’allarme suona ancora più forte ora a seguito della pandemia di Covid-19 che, avverte il direttore generale Gianni Rufini, segna “il serio rischio di un rafforzamento dell’identità nazionale, con un generale consenso delle persone a perdere il diritto alla libertà e alla democrazia in nome della prevenzione dell’epidemia. E con altre evidenti conseguenze come atti di stigmatizzazione verso chi viene ritenuto responsabile di aver portato la malattia, e di discriminazione nell’assistenza, come in molti Paesi del sud del mondo, dove a pagare questo sono le donne e le minoranze”. A tutto questo vanno aggiunte le azioni di leader oscurantisti che speculano sull’epidemia, le limitazioni e le proibizioni di diffondere notizie su Covid-19 adottate in molti Paesi, in cui sono addirittura stati arrestati giornalisti e blogger rei di averne parlato e accusati di “disfattismo e boicottaggio”. “L’epidemia – è la conclusione del direttore Rufini – ha messo di fronte al più grande problema che c’è: quello della diseguaglianza, una distorsione che va profondamente corretta se si aspira ad un mondo migliore”.

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04 giugno 2020, 16:24