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Coronavirus: cautela sull'immunità

Il professor Roberto Cauda, nella nostra intervista, spiega la questione scientifica, ancora in divenire, circa la possibilità che un soggetto guarito da Covid-19 possa infettarsi di nuovo. I test sierologici possono evidenziare la presenza di anticorpi, ma non ci sono ancora certezze che questi neutralizzino il ritorno del virus

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Non imminente, per ora, l’idea che avere anticorpi dia una sorta di patente di immunità a chi è stato malato. La questione vede a lavoro gli scienziati di tutto il mondo. Ad oggi si devono attendere i risultati delle sperimentazioni cliniche, come afferma il professor Roberto Cauda, Ordinario di Malattie Infettive dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che coglie l’occasione per ricordare la lotta alla malaria, di cui il 25 aprile è stata celebrata la Giornata Mondiale:

Ascolta l'intervista al professor Cauda

 

Professor Cauda, chi ha contratto il Covid-19 e ne è guarito, potrebbe tornare ad infettarsi?

R. - Questa è una domanda aperta che non ha, al momento, ancora una risposta certa. Tutto ruota attorno al valore che noi diamo alla presenza degli anticorpi. In questi giorni si fa un gran parlare, non solo in Italia ma praticamente in tutto il mondo, sul valore dei test sierologici, cioè quei test che mettono in evidenza gli anticorpi. Per la stragrande maggioranza delle malattie la presenza degli anticorpi è duratura nel tempo e assicura un'immunità. Questo noi ancora non lo sappiamo per quello che riguarda il coronavirus del Covid 19, non sappiamo quale sia il livello anticorpale che permette il raggiungimento dell'immunità e non sappiamo se gli anticorpi che vengono evidenziati da questi test sono anticorpi neutralizzanti il virus o di altra natura. Personalmente, io aspetto le risposte che verranno dalle sperimentazioni cliniche. In questi giorni si parla di centinaia di migliaia di persone di diverse regioni italiane che saranno sottoposte alla valutazione con gli anticorpi e da questi dati potremmo ricavare una duplice informazione: una sicura immediata, cioè quanto il virus ha circolato. Mi spiego meglio: se in una determinata area geografica, in una determinata città, il campione sottoposto  alla vaccinazione ci dirà che c'è un 20% di soggetti, possiamo ipotizzare che questo 20% di soggetti abbia o contratto la malattia in forma evidente oppure in forma silente con il problema che tutto questo ha rappresentato in termini di trasmissione del virus. L'altro elemento che ci potrebbe dire, e qui  il condizionale è d'obbligo, è se questi soggetti nel tempo si potranno o meno reinfettare…

…Come è già successo…

R.- …Sì…se noi guardiamo alla Cina il numero di soggetti che si sono reinfettati è un numero estremamente esiguo, tanto esiguo da essere stato oggetto di pubblicazioni e sempre con un grande punto interrogativo, cioè si trattava di soggetti di cui c'era stata la reinfezione quindi gli anticorpi, ammesso che ci fossero, non avevano funzionato, oppure una recidiva di soggetti magari che avevano ancora il virus non a livello del naso o della faringe, quindi non evidenziato dal tampone, ma al livello del polmone che poi ha ridato malattia. Ripeto, si tratta di un numero estremamente esiguo, per questo io pur non essendo per natura una persona che vuole anticipare quelli che sono i dati della scienza ma sulla base dei dati epidemiologici, penso, potrei anche sbagliare ovviamente, che la presenza degli anticorpi può voler dire immunità e, quindi, protezione.

A tutt’oggi, non avendo un’evidenza scientifica, di conseguenza nella Fase 2 anche i guariti dovranno continuare ad osservare il distanziamento sociale e indossare la mascherina nei luoghi chiusi?


R. - Per quello che mi riguarda sì, perché, se non c'è quella patente di immunità di cui abbiamo tanto parlato le settimane scorse e che al momento i dati scientifici ancora non possono confermare, è chiaro che noi non abbiamo la certezza che questi soggetti si possano reinfettare e, quindi, per massimo scrupolo, devono indossare la mascherina e osservare tutte le misure che osserverebbero se non avessero avuto in precedenza la malattia. 

Professor Cauda, il coronavirus ha oscurato la ricorrenza della Giornata dedicata alla malaria…

R. - Questa è una riflessione che io facevo proprio quando ho sentito nei giorni scorsi Papa Francesco che nel Regina Coeli domenicale , come primo ricordo, ha fatto menzione della Giornata mondiale della Malaria. Ovviamente non è questa la sede per dire se questa malattia è più importante dell’altra, tutte le malattie sono egualmente importanti però bisogna che la pur giusta preoccupazione, il pur giusto interesse per il Covid-19, non ci faccia dimenticare che c’è una larga parte del mondo, nella fattispecie se parliamo di malaria, nella quale la mortalità è elevatissima, la contagiosità è elevatissima e, quindi, come considerazione generale il Covid-19 è certamente una malattia che merita il massimo dell’attenzione ma questo, per riprendere le sue parole, non deve oscurare altre malattie, nella fattispecie la malaria, ma anche altre malattie a grande diffusione come l’Aids, il morbillo che ancora oggi causano molti casi e molti morti perché sarebbe a mio giudizio un errore.

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02 maggio 2020, 08:00