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Uganda -  distribuzione cibo e materiale sanitario Uganda - distribuzione cibo e materiale sanitario 

Africa, battuta d’arresto delle missioni sanitarie

Il Covid-19 sospende le missioni sanitarie dei medici dell’Università Cattolica Sacro Cuore che, attraverso il suo Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale, sono attive da anni in Uganda, Tanzania e Ghana. La preoccupazione e le previsioni del professor Roberto Cauda

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Ci sono medici e operatori sanitari volontari che ciclicamente si recano in tante aree del continente africano per trasferire le proprie conoscenze ai loro colleghi in loco, in modo che possano operare autonomamente. Alcune di queste missioni sono sovvenzionate dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana, attraverso l’erogazione di fondi per i Paesi a risorse limitate, previsti dall’8 per mille donato alla Chiesa cattolica. Oggi anche questa realtà subisce una battuta d’arresto e chiede di essere riorganizzata.

Il professor Roberto Cauda, Ordinario di Malattie Infettive dell’Università Cattolica, che ha diretto le missioni per 12 anni fino al 2018, nella nostra intervista confida la sua speranza  che l’emergenza passi al più presto e l’auspicio di poter  riprendere i contatti interrotti dal virus.

Ascolta l'intervista al professor Cauda

R - In Ghana il compito di trasferimento di conoscenze è terminato. In Uganda e Tanzania siamo tuttora operativi. In particolare, in Tanzania siamo collegati all’Ospedale dei Padri della Consolata, sito a Ikonda che è un’area remota a 800 km dalla capitale Dar es Salaam. Mentre in Uganda, dove abbiamo delle iniziative ancora in atto, abbiamo subìto una battuta d’arresto dovuta alla presenza di Covid-19. Siamo operativi sia nella capitale Kampala, sia nella città di Gulu. In particolare in questo momento, vorrei ricordare le attività che sono in atto in Uganda a favore della popolazione più debole, più vulnerabile della società ugandese, vale a dire le donne, nei confronti dell’infezione da Hiv”.

Che notizie ha, ad oggi, da questi Paesi?

R. - Le notizie che filtrano non sono molte, ma non certo per la reticenza o per la volontà di nascondere da parte dei governi. Quello che sappiamo in questo momento è quello che leggo dai giornali, in particolare, quelli dell’Uganda che seguo quasi quotidianamente, il Monitor e il New Vision, che sono giornali web che trattano del Covid-19. I numeri che però, a mio giudizio, sono sottostimati, parlano di 52 casi in Uganda, ma per la stessa ammissione dei contatti che ho, è probabile che il numero dei contagiati sia superiore. Anche perché, evidentemente, in queste aree esistono delle difficoltà già di per sé presenti, che l’emergenza Covid ha amplificato.

Non sono popolazioni in grado di affrontare un’emergenza di questo tipo. Sono popolazioni che non possono curare nemmeno malattie comuni per la mancanza di farmaci, cosa accadrà allora?

R. - Ovviamente la situazione è variegata nelle diverse aree geografiche dell’Africa. E’ un continente e non si può generalizzare e uniformare le sanità dei diversi Paesi. Ce ne sono di più avanzate, altre che sono sicuramente più arretrate. E’ chiaro che c’è una fondamentale differenza rispetto all’epidemia di ebola di alcuni anni fa. La differenza è che, allora, l’Europa e il Nord America, che sono tra i maggiori donatori di risorse a questi Paesi, non erano colpiti dall’infezione. Quindi, potevano essere parte di quel gruppo di solidarietà internazionale che oggi, probabilmente, è ancora efficace, efficiente, ma risente innegabilmente della prova che questi Paesi hanno a casa loro. Credo, onestamente, che la popolazione giovane dell’Africa, sia a mio giudizio meno vulnerabile di quanto non siano le popolazioni dell’Europa e degli Stati Uniti, dove c’è una quota parte di soggetti più anziani che hanno di per sé forme più gravi e sono più fragili. Ma questo è soltanto in teoria. Dovremmo vedere, e speriamo di non vederlo mai, cosa accadrà pure in Africa e, soprattutto, bisognerà tenere conto della limitatezza delle risorse e delle difficoltà diagnostiche che è certamente evidente in tutti i Paesi e che, in Africa, può essere ancor più evidente.

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16 aprile 2020, 10:00